Anche in Germania il coronavirus inizia a cambiare la vita sociale ed economica cui siamo stati abituati. I numeri ci parlano di oltre 8.000 casi la sera di lunedì 16 marzo, secondo le statistiche ufficiali fornite dall’Istituto Robert Koch.
Le zone di maggior contagio rimangono quelle periferiche, vale a dire la Renania Settentrionale – Vestfalia (al confine con Belgio e Olanda, paesi che hanno già dichiarato la chiusura forzata delle attività e la quarantena totale o semi-totale), la Baviera (vicina ad Austria e Repubblica Ceca) e il Baden-Württemberg (che confina con la Francia e la Svizzera), confermando dunque i dati del contagio degli ultimi giorni.
È passata una settimana dalla prima dichiarazione pubblica in merito al contagio nel paese. L’11 marzo infatti la Cancelliera Angela Merkel e il Ministro della Salute Federale Jens Spahn si erano dichiarati pronti all’emergenza sia a livello sanitario che economico, affermando tra l’altro che le frontiere non sarebbero state chiuse. Non sta andando proprio come avevano ipotizzato. Anzi, stiamo assistendo a una vera e propria escalation di segno opposto.
Domenica sera (il 15 marzo) il ministro dell’Interno federale ha annunciato che a partire da lunedì mattina “le persone che non hanno una ragione particolare per farlo, non potranno varcare le nostre frontiere”. Solo i lavoratori transfrontalieri possono dunque attraversare il confine, ma è bene ricordare che già dalla settimana scorsa essi sono oggetto di pressioni, controlli e imposizioni molto pesanti (quel “intanto prendetevi ferie...” non l’abbiamo sentito solo noi italiani).
In questo momento la Germania ha predisposto il blocco quasi totale con Francia (che ha dichiarato l’etat d’urgence), Lussemburgo (che ha annunciato l’etat de crise), Svizzera (che ha dichiarato l’etat d’urgence), Austria (che sta procedendo a chiudere anch’essa le frontiere e ha ordinato la quarantena) e Danimarca (frontiere chiuse e quarantena totale anche qui), mentre rimangono aperti i confini con Paesi Bassi (in cui però le attività sono chiuse), Polonia (che ha l’intero governo in quarantena), Belgio (che ha dichiarato anch’esso l’etat d’urgence) e Repubblica Ceca (che però aveva già dichiarato la chiusura delle sue frontiere la settimana scorsa).
C’è di più. A seguito della riunione di lunedì in videoconferenza tra il Presidente francese Macron, la Cancelliera Merkel e la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, è stato deciso che le frontiere dello spazio Schengen in Europa verranno chiuse per 30 giorni, sospendendo la libera circolazione delle persone in entrata e in uscita dall’Unione Europea. Insomma, le frontiere non sono proprio spalancate...
In questa situazione non stupisce che, nonostante alle merci sia stata data la possibilità di circolare normalmente e agli stabilimenti industriali di continuare a produrre (è risaputo che l’economia tedesca non è proprio brillante dal 2008... quindi meglio non fermare la produzione, soprattutto se punti tutto sull’export), qualche scricchiolio si inizia a sentire anche nelle “eccellenze” industriali del paese.
Secondo i media tedeschi, il gruppo Volkswagen starebbe pensando di interrompere la produzione in molte fabbriche in Germania e in Europa. Finalmente una buona notizia, direte voi, una notizia che ci mostra come anche nel capitalismo le imprese private pensano alla salute dei propri dipendenti e chiudono per tutelarli e tutelarsi. Non siate ingenui... per sua stessa ammissione infatti, il colosso si sta preparando a bloccare la maggior parte dei propri impianti europei in funzione del fatto che la pandemia ha interrotto le catene di approvvigionamento e ha fatto precipitare la domanda. Insomma, non arrivano i pezzi e si immagina che i lavoratori di mezza Europa, costretti a stare a casa o licenziati, non comprino più.
In un mondo globalizzato a stampo capitalista è così. Se l’epidemia colpisce i villaggi africani puoi fregartene e organizzare al massimo una raccolta fondi in televisione, ma quando scoppia nel paese che traina il mondo e poi travolge l’Europa diventa tutto più difficile, e ti accorgi che l’interconnessione delle economie è reale, complessa, ricercata.
Dunque “la produzione verrà interrotta nei nostri stabilimenti spagnoli, portoghesi, slovacchi e italiani (Lamborghini e Ducati)” ha dichiarato il Ceo Herbert Diess, aggiungendo che “la maggior parte degli altri stabilimenti tedeschi ed europei inizierà a prepararsi a sospendere la produzione, probabilmente per due o tre settimane“. Se non saranno messi in campo ammortizzatori sociali veri, si prospettano settimane di ferie “consigliate” per molte migliaia di lavoratori nel prossimo futuro.
Dal punto di vista delle disposizioni istituzionali riguardo l’alterazione della vita quotidiana, per ora ogni Lander va per conto suo. È questa la condizione in cui si ritrova la Germania al suo interno. Nello Stato federale infatti le dichiarazioni dei ministri centrali non per forza si trasformano in disposizioni da seguire.
Con ciò che stiamo vedendo in queste settimane in Italia non abbiamo sicuramente il diritto di dare patentini di serietà. L’autonomia differenziata (intanto quella sostanziale, in attesa di quella legale...) sta producendo una schizofrenia che ben poco sa di organizzazione statuale, con ordini e contrordini, dichiarazioni e smentite continue da parte dei vari organismi dello Stato. Ma noi italiani si sa, siamo fatti così, un po’ caciaroni per natura, e certamente trent’anni di privatizzazioni, esternalizzazioni e tagli devastanti ai servizi - sanitari, scolastici, d’assistenza, ecc. - nazionali non hanno aiutato.
I tedeschi, invece, molti se li aspettavano di tutt’altra pasta. E sbagliavano. Il ministro federale della Salute ha dichiarato nel week-end l’annullamento di ogni evento sportivo e culturale, ma si è dimenticato di non aver alcun potere per imporlo. Situazione attuale: il Borussia Dortmund gioca a porte chiuse mentre il Lokomotive Leipzig con lo stadio mezzo pieno, e intanto i cinema sono chiusi a Berlino ma aperti in Saarland.
In questo arlecchino di disposizioni, sembrava che ai tedeschi non sarebbe toccata la quarantena. E invece da martedì mattina i cittadini sono stati chiamati a “restare a casa e rinunciare alle vacanze previste”. Stesso copione che nel resto d’Europa dunque: vai a lavorare facendo attenzione, ma rinuncia a tutto il resto per serietà.
Insomma anche la Germania non se la passa bene e aspetta l’arrivo della pandemia senza predisporre una resistenza adeguata. Il contesto economico in cui si muove questo virus certo non aiuta i bravi (neo-, ultra-, ordo-) liberisti, perché una recessione mondiale non è quel che si dice un toccasana né per un continente martoriato da politiche d’austerità né per il Paese la cui leadership è stata il traino di queste stesse politiche.
Se ben guardiamo ciò che manca, in Germania come in tutto il vecchio continente, è uno strumento che è stato distrutto scientificamente (o per dirla bene, a colpi di governance tecnicocratica) negli ultimi trent’anni: uno Stato che possa vantare una dimensione pubblica preponderante su quella privata. Alle nostre latitudini uno strumento come questo non esiste più. Uno Stato. E che possibilmente sia Sociale.
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