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05/08/2015

In Yemen hanno perso tutti

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

La resistenza Houthi sta cedendo. Dopo quasi un anno di conflitto, scoppiato per la chiusura totale del governo Hadi e dell’Arabia Saudita, sua padrona e protettrice, verso le legittime richieste di inclusione mosse dal movimento sciita, la potenza di fuoco messa in campo da Riyadh dal 26 marzo sta avendo i suoi frutti. Ad uno ad uno cadono le zone conquistate dai ribelli: prima il porto di Aden, lunedì la base militare di al-Anad e ieri la provincia di Lahj.

La caduta di al-Anad è stata annunciata ieri dal ministro della Difesa yemenita: dopo la potente controffensiva lanciata lunedì, ieri le forze governative sono entrate nella base, usata dagli Usa per guidare i droni anti-al Qaeda. Secondo Ali al-Ahmadi, portavoce delle forze di resistenza popolare (i movimenti secessionisti) che hanno guidato l’operazione, ieri mattina erano pochissime le sacche di ribelli che ancora resistevano a sud della base. All’azione avrebbe preso parte anche una brigata emiratina: se fino a poco tempo fa, la coalizione negava di avere truppe sul terreno, ora la loro presenza è palese. Le truppe inviate dagli Emirati sarebbero arrivate lunedì a Aden, portandosi dietro carri armati e veicoli blindati.

Fonti vicine al governo yemenita hanno riportato ieri della riconquista dell’intera provincia di Lahj, dove al-Anad ha sede: «Lahj è totalmente sotto il controllo della resistenza popolare e dell’esercito nazionale pro-Hadi». Secondo la stessa fonte, la provincia sarebbe stata ripulita dalla presenza Houthi, notizia che fino a ieri sera non era confermata.

A negare la sconfitta Houthi è stata l’agenzia Saba, legata ai ribelli, secondo la quale il movimento «ha fermato tutte le offensive contro la base». Il movimento nega ma sa di aver poche possibilità di piegare la violenza dei sauditi, acceccati dalla rabbia per l’accordo firmato dall’Iran a Vienna con il 5+1 e quindi decisi a vincere la guerra che loro stessi hanno scatenato contro l’invisibile nemico iraniano. Già alcuni giorni fa il leader del movimento, Abdel Malik al-Houthi, aveva aperto ad una soluzione diplomatica con il presidente esiliato Hadi. Sabato in un intervento su al-Masirah Tv, al-Houthi ha chiamato al negoziato mediato da una parte neutrale, araba o internazionale. Ovvero l’Onu che da tempo colleziona buchi nell’acqua in campo yemenita.

Resta da vedere se un Hadi tornato in gioco accetti ora un negoziato che, dicono fonti arabe, sarebbe stato promosso dagli Houthi anche per un indebolimento interno al proprio fronte: starebbero aumentando, scrive il quotidiano Asharq al-Awsat, gli screzi tra ribelli e forze fedeli all’ex presidente Saleh in merito a chi avrebbe giurisdizione sulle comunità occupate. Alcuni membri delle Guardie Repubblicane di Saleh avrebbero inoltre abbandonato le file Houthi e rifiutato di prendere ordini dai comandanti dei ribelli perché convinti che le sconfitte siano dovute alla debolezza militare del movimento.

Cammina da sud a nord, roccaforte Houthi, la controffensiva delle forze governative e dell’ampio fronte che direttamente e indirettamente le sostiene: l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, i movimenti secessionisti meridionali e al Qaeda nella Penisola Arabica. Un fronte composito e instabile che fa immaginare che il conflitto non si chiuderà con l’eventuale sconfitta Houthi. I ribelli pagheranno il prezzo della guerra civile: resteranno esclusi dal potere politico ed economico, le loro voci saranno represse, subiranno la vendetta politica di Riyadh. Già in questi 4 mesi di operazione militare, l’Arabia Saudita (che si tiene stretto lo Yemen garantendogli la liquidità necessaria a non affondare) ha imposto come condizione alla consegna degli aiuti finanziari che questi non fossero distribuiti alle province occupate dagli Houthi. Una condizione che non solo ha affamato la popolazione, ma che è modello per il futuro: il movimento sciita subirà le conseguenze della vicinanza all’Iran e resterà escluso dalla redistribuzione dei ricchi fondi sauditi.

Ma a perdere sarà anche la famiglia Saud. Se l’operazione “Tempesta Decisiva” si concluderà con la vittoria militare, Riyadh pagherà per aver sollevato il vaso di Pandora. Gruppi secessionisti e al Qaeda non abbandoneranno le armi: i primi proseguiranno con rinnovata forza e potere contrattuale verso una nuova divisione tra nord e sud, mettendo sul tavolo il ruolo giocato contro gli Houthi; la seconda non cederà senza combattere la storica provincia di Hadramaut, dove legandosi politicamente alle tribù locali sta amministrando risorse naturali e comunità.

Chissà cosa ne penserà Washington su cui pesa la colpa di non aver fermato la mano saudita quando era il momento. Ora, nel paese che ritiene il modello della guerra a distanza ad al Qaeda, si ritrova con un nemico più potente e più ambizioso.

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