A tre giorni dal referendum arrivano pessime notizie, per il governo, dal fronte dell'occupazione. Naturalmente i media di regime provano a ribaltare la frittata, enfatizzando oltre misura il “calo della disoccupazione giovanile”. Vediamo perciò in dettagli la nota dell'Istat, per distinguere il grano (la verità) dal loglio (la propaganda filogovernativa).
Dice l'Istat: “Nel mese di ottobre la stima degli occupati cala lievemente rispetto a settembre (-,1%, pari a -30 mila unità). La flessione è attribuibile alle donne a fronte di una sostanziale stabilità per gli uomini e riguarda tutte le classi di età ad eccezione degli ultracinquantenni. Diminuiscono, in questo mese, i dipendenti a tempo indeterminato, mentre crescono quelli a termine e restano stabili gli indipendenti. Il tasso di occupazione è pari al 57,2%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali rispetto a settembre”.
Tradotto dallo statistichese stretto: ci sono 30.000 occupati in meno, in un solo mese, soprattutto donne e giovani. Gli unici a reggere sono gli ultracinquantenni, perché – come abbiamo spiegato spesso – l'esperienza nel mestiere è preferita dalle aziende in tutte quelle mansioni non brutalmente “di fatica muscolare”. Il saper fare, insomma, risulta comunque più “produttivo”, anche dal punto di vista imprenditoriale, anche se ovviamente costa un po' di più.
La stessa diminuzione degli occupati viene confermata dal dato trimestrale: “Nel complesso del periodo agosto-ottobre si registra un calo degli occupati rispetto al trimestre precedente (-0,2%, pari a -34 mila), che interessa gli uomini, le classi di età fino a 49 anni e i lavoratori indipendenti, mentre segnali di crescita si rilevano per donne, over 50 e lavoratori dipendenti”. Qui cambiano leggermente le percentuali per classi di età e genere, ma agosto è un mese “strano”, rispetto agli altri, perché si satura di lavori stagionali (che di preferenza riguardano giovani e donne; dalla ristorazione all'alberghiero, o comunque nel rampo turistico).
Non manca il solito dato apparentemente contraddittorio: “La stima dei disoccupati a ottobre diminuisce (-1,2%, pari a -37 mila), dopo l'aumento del 2,2% registrato nel mese precedente. La diminuzione è attribuibile alle donne (mentre si registra una lieve crescita tra gli uomini) e si distribuisce tra le diverse classi di età ad eccezione degli ultracinquantenni. Il tasso di disoccupazione risulta pari all'11,6%, in calo di 0,1 punti percentuali su base mensile”.
Com'è possibile che calino contemporaneamente sia gli occupati che i disoccupati? Non c'è nulla di strano, se non i criteri statistici stabiliti da Eurostat (l'organismo comunitario del ramo), che fanno riferimento a due bacini diversi invece che – come sarebbe logico attendersi, trattandosi della stessa popolazione – a uno soltanto.
In pratica, gli occupati sono dati in cifra assoluta (22milioni e 750mila, all'incirca; tenendo comunque presente che per essere considerati tali basta aver lavorato anche una sola ora nella settimana della rilevazione); mentre il tasso di occupazione (57,2%) mette in relazione quella cifra assoluta con quella, altrettanto assoluta, della popolazione in età lavorativa (dai 15 ai 64 anni, convenzionalmente). Se si fosse conseguenti, il tassodi disoccupazione sarebbe del 42,8%. Ma da questo bacino bisogna ovviamente escludere gli studenti della scuola dell'obbligo, i disabili, ecc. Quindi, per stabilire il tasso di disoccupazione ufficiale, si usa un altro criterio: si prende la cifra degli iscritti alle agenzie del lavoro, quindi persone ufficialmente alla ricerca di un lavoro, e si calcola la percentuale in relazione alla somma che viene fatta con gli occupati. Tutti gli altri cittadini, non occupati né iscritti alle agenzie del lavoro, vengono classificati e conteggiati come “inattivi”. Né-né...
Capito questo, ecco che diventa chiaro il mistero del calo contemporaneo di due insiemi che dovrebbero invece avere una dinamica opposta. “La minore partecipazione al mercato del lavoro a ottobre, in termini sia di occupati sia di persone in cerca di lavoro, si associa all'aumento della stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,6%, pari a +82 mila). Tale crescita compensa in parte il forte calo registrato a settembre (-0,8%).” E ancora “Il tasso di inattività sale al 35,1%, in aumento di 0,2 punti percentuali.” Cresce dunque, e di molto, l'esercito dei disoccupati reali che non vengono conteggiati come tali. Uscendo dalle percentuali, stiamo parlando di oltre 10 milioni di persone che – per età e salute – potrebbero benissimo lavorare, ma hanno smesso persino di cercare un lavoro. Non proprio un dato di cui andare orgogliosi, ma che viene pudicamente occultato.
In ogni caso, e tenendo presenti i criteri statistici folli imposti anche all'Istat, il saldo annuale dà ancora un segno positivo per gli occupati (anche per una sola ora alla settimana!): “Su base annua si conferma la tendenza all'aumento del numero di occupati (+0,8% su ottobre 2015, pari a +174 mila). La crescita tendenziale è attribuibile ai lavoratori dipendenti (+194 mila, di cui +178 mila permanenti) e si manifesta sia per la componente maschile sia per quella femminile, concentrandosi principalmente tra gli over 50 (+376 mila). Nello stesso periodo calano gli inattivi (-2,2%, pari a -308 mila) e aumentano i disoccupati (+1,3%, pari a +38 mila).”
E i giovani? “A ottobre il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, cioè la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati), è pari al 36,4%, in calo di 0,4 punti percentuali rispetto al mese precedente. Dal calcolo del tasso di disoccupazione sono per definizione esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi.”
E dunque, “Il tasso di occupazione dei 15-24enni diminuisce di 0,1 punti percentuali, mentre quello di inattività aumenta di 0,4 punti.” Ormai si può capirlo facilmente. La disoccupazione giovanile è “scesa” non perché ci siano più giovani al lavoro, ma perché sono aumentati quelli che hanno smesso di cercarlo.
Vi sembra una buona notizia? A noi – e a quei giovani – non sembra proprio che lo sia...
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