05/02/2018
If the kids are united... Il corteo antifascista genovese del 3 febbraio
Il corteo antifascista di sabato 3 febbraio a Genova ha visto la partecipazione di ben più di 5.000 persone che si sono concentrate prima delle tre del pomeriggio nella centrale Piazza De Ferrari e hanno “sfilato” per la Superba, ritornando lì dov’era iniziato il corteo poco prima delle 8 di sera, quando il cordone che chiudeva il corteo è entrato in piazza cantando Bandiera Rossa.
De Ferrari è la piazza in cui il 30 giugno del ’60, a causa della calura estiva, le forze dell’ordine stanziate in città per il previsto e mai celebrato congresso del Movimento Sociale Italiano, furono “invitate” dai Camalli a fare un tuffo nella fontana posta al centro: Genova è stata l’innesco dei moti del Luglio ’60 che hanno fatto cadere il governo Tambroni (un monocolore DC con l’appoggio dei neo-fascisti di Almirante).
Poco distante, all’altezza del Ponte Monumentale, è riprodotto il testo della resa che il generale tedesco Meinhold firmò a Remo Scappini, operaio comunista empolese durante la seconda guerra mondiale: Genova fu l’unica città dove la Croce Uncinata si arrese al Comitato di Liberazione Nazionale locale.
Da quel ponte è stato srotolato al passaggio del corteo nel tratto terminale della manifestazione un gigantesco striscione: Genova Antifascista, mentre un partigiano intonava dal microfono dell’amplificazione alcuni canti di battaglia della Resistenza e l’acre odore dei fumogeni impregnava l’aria.
L’apertura delle tre sedi neo-fasciste (Forza Nuova, Casa Pound e Lealtà e Azione) è uno sfregio alla memoria viva della città, in particolare quella che i “fascisti del Terzo Millennio” – coccolati da una parte dell’establishment politico-culturale della sedicente “sinistra” – hanno inaugurato a pochissima distanza da Piazza Alimonda, dove nel Luglio del 2001, durante le mobilitazioni contro il G8, venne ucciso Carlo Giuliani e in cui a poca distanza, alcune settimane fa, una squadraccia proveniente da quella sede ha accoltellato un compagno dell’Assemblea Antifascista, aggredendo un piccolo gruppo di attivisti che stava attacchinando.
Si tratta della seconda aggressione fascista “impunita”, dopo quella consumata ai danni di un’altra compagna nel corso dei mesi estivi.
La presenza minacciosa dei fascisti in città è stata utilizzata per cercare di restringere i margini di azione politica della “sinistra di classe”, con una notevole responsabilità dei media locali che hanno di fatto avvallato una sorta di riedizione della strategia della tensione in sedicesimo, rispolverando “la teoria degli opposti estremismi”. I media locali (Il Secolo XIX in particolare) hanno fatto dell’ingiustificato terrorismo psicologico nei giorni precedenti alla manifestazione, ipotizzando la possibilità di uno scenario “apocalittico” per il corteo solo per disincentivarne la partecipazione popolare.
D’altra parte i corpi intermedi della sinistra istituzionale, in particolare la dirigenza dell’ANPI e della CGIL, hanno disertato l’appuntamento sfilandosi un poco prima dell’inizio della caccia alle streghe mediatica dalla manifestazione.
Il PD, a livello comunale – in una sorta di prova tecnica di futura ampia coalizione – faceva approvare insieme alla maggioranza di centro-destra (con l’astensione dei Fratelli d’Italia) una ambigua mozione “cerchiobottista” in cui è emersa una condanna bipartisan del neo-fascismo così come, di fatto, dell’antagonismo sociale.
Con questo operato ha contribuito di fatto a relativizzare il pericolo fascista in città proponendosi come antidoto politico contro “tutti gli estremismi”.
In realtà, vanificato il tentativo di utilizzare il corteo come una sfilata pre-elettorale dai contenuti alquanto annacquati, è partito il fuoco incrociato contro gli organizzatori: il livello di partecipazione alla manifestazione e le capacità organizzative dell’Assemblea Antifascista, in tutte le sue varie componenti hanno, di fatto, delegittimato ulteriormente il carrozzone del centro-sinistra cittadino.
È stato un corteo realmente popolare, dove anche la presenza di militanti e di attivisti da tutta Italia è stata diluita all’interno della compatta e determinata marea umana che ha attraversato la Superba.
Si può ipotizzare che il significato della partecipazione popolare vada ben al di là dei parametri antifascisti “classici”, ma esprima una volontà di protagonismo su quei contenuti urlati a gran voce dai manifestanti e dagli interventi che si sono alternati al microfono.
Un ottimo segnale che insieme alle responsabilità organizzative di cui ognuno si è fatto carico per la buona realizzazione del corteo, e che hanno coinvolto non solo i militanti strictu sensu ma una gamma più ampia e ricca di attivisti pronti a “misurarsi sul pezzo”, ha dimostrato che si può fare meglio anche e soprattutto senza l’appoggio diretto o indiretto del centro-sinistra nelle sue molteplici morenti espressioni, anche se si ha in tasca la tessere dell’ANPI o della CGIL.
Una altro dato che emerge, forte e chiaro, è la distanza sempre più abissale tra un ceto politico ed establishment culturale di una “sinistra” ridotta a mera espressione delle élites urbane residenziali e il popolo delle periferie, molto poco avvezzo al bon ton politico e al fair play nei confronti di chi identifica anche solo istintivamente come proprio nemico o organico ad esso.
In questo arco è compresa anche una buona parte dell’apparato mediatico, parte integrante della macchina del fango che non ha smesso di funzionare anche dopo la manifestazione, o chi vuole speculare a fini elettorali sull’antifascismo dopo anni (diciamo decenni) di silenzio complice nei confronti dell’emergere del neo-fascismo, attuando allo stesso tempo uno sdoganamento delle politiche fasciste sul corpo vivo della classe in un mix letale con le politiche di austerity.
Bisogna essere grati all’Assemblea Antifascista, perché forse Genova ha davvero cambiato pagina: la politica della strada ha spodestato quella di palazzo.
È questo blocco sociale che può battere i chiodi sulla tomba del neo-fascismo così come sulla “sinistra inutile”; è questa rinnovata unità di intenti con un orientamento tra l’indifferente, il diffidente e l’ostile con “tutta la vecchia merda” (K.Marx) della politica cittadina che può prendere forma non tanto una opposizione credibile, quanto un’incredibile opposizione.
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