Diciamo subito che questo articolo non parla di Salvini. Qui si registrano semplicemente una serie di strappi con la cultura politica consolidata nell’Occidente capitalistico in regime di democrazia parlamentare.
Da quando si è insediato il governo grillin-leghista, infatti, la retorica abituale della destra contro immigrati, istituzioni sovranazionali, moneta unica, ecc, è diventata fattore pesantemente in conflitto con le responsabilità istituzionali di un qualsiasi ministro facente parte di un governo.
Elenchiamo qui soltanto alcuni dei passaggi che ci sembrano più rilevanti al fine di individuare un senso in questa apparente follia:
– le Organizzazioni non governative (Ong), che per un quarto di secolo erano servite da “testa di ponte” in una serie di paesi “non allineati” per giustificare successive aggressioni militari in nome della “difesa dei diritti umani”, sono state velocemente inscritte nella lista dei “complici degli scafisti”;
– il salvataggio in mare dei naufraghi è diventato quasi un reato, anziché un obbligo previsto da leggi e consuetudini millenarie (“il codice del mare”);
– le competenze specifiche del ministero dell’interno sono state verbalmente (e in qualche caso anche praticamente) estese ad ambiti propri di altri ministeri (le infrastrutture nel caso dei porti, la difesa nel caso delle navi militari, la giustizia nel caso degli “arresti” da effettuare su una nave in base a voci di “dirottamento e ammutinamento”, ecc);
– la “chiusura dei porti” ha toccato il vertice con il blocco per giorni di una nave della Marina Militare Italiana – un mezzo delle “nostre” Forze armate, non una nave da diporto privato – che ha costretto Mattarella a premere su Giuseppe Conte (presidente del consiglio a sua insaputa) per metter fine a una situazione ridicola su cui mezzo mondo ci stava perculando;
– le minacce del ministro dell’interno – palesemente rivolte contro presidente della Repubblica e del consiglio – per aver preso decisioni “al posto mio”.
Non ne abbiamo elencate altre decine per non tediare i lettori, anche perché ogni giorno ha la sua croce e quindi anche la sua puttanata governativa.
La domanda cui vorremmo provare a rispondere è però precisa: chi inanella una serie così devastante di “incidenti di percorso”, “scontri istituzionali”, “invasioni di campo”, c'è o ci fa?
Le violazioni palesi degli equilibri tra poteri dello Stato sono così tante, infatti, che si possono spiegare o con l’ignoranza totale dei fondamentali di “educazione civica” (una volta insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado), o con la lucida volontà di mettere in discussione – definitivamente – un assetto costituzionale.
“A sinistra”, per riflesso quasi pavloviano, si tende istintivamente a privilegiare la prima ipotesi, altamente autoconsolatoria. Se il nemico è stupido o ignorante, è semplice sentirsi migliori di lui e, operativamente, non fare nulla perché tanto “cadranno presto da soli” (un po’ come “il capitale lavora per noi” di negriana memoria...).
Una variante della stessa tendenza liquida frettolosamente questa resistibile ascesa del “ministro delle interiora” come fascismo. Le assonanze linguistiche e la scala dei valori, in effetti, hanno forti somiglianze con il montare della reazione di quasi un secolo fa. Ma il contesto entro cui vengono attivate parole d’ordine in qualche modo simili è del tutto diverso. Anzi, opposto.
Il fascismo storico è stata una reazione capitalistica all’avanzare del movimento operaio in tutta Europa; movimento che poteva contare finalmente su un caposaldo di grande potenza ideale e anche militare come l’Unione Sovietica, appena sorta dalla Rivoluzione del ‘17. Il fascismo storico, di conseguenza, doveva realizzare due obiettivi: sconfiggere il movimento operaio organizzato (partiti e sindacati conflittuali) e modernizzare la società e lo Stato con grandi piani di ricostruzione-riconversione-ristrutturazione su base nazionale. I metodi, è noto, sono stati brutali e criminali; la Storia non è del resto un pranzo di gala...
Oggi il movimento operaio organizzato (partiti e sindacati conflittuali) è ridotto da tempo al lumicino, altamente frammentato e spesso pago della polverizzazione in orticelli quasi sempre sterili (le differenze tra “sterili e non” si vedono nelle rare mobilitazioni di piazza, non nei documenti programmatici). La legislazione del lavoro non prevede quasi più diritti esigibili, così come le norme conferiscono alle innumerevoli polizie poteri abnormi e quasi totale impunità (solo i casi di omicidio possono diventare “problematici”, come nel caso di Stefano Cucchi, ma a volte neppure in questi...). Il diritto di manifestare per l’opposizione è già così ristretto (scelta dei percorsi, modalità di svolgimento, identificazione totale degli arrivi da fuori città, ecc.) che difficilmente si può ridurre ancora senza finire per somigliare come una goccia d’acqua alla Turchia del neo-sultano Erdogan.
Soprattutto, la tendenza generale non è quella della “modernizzazione” reazionaria in vista di una crescita economica forzata mediante investimenti pubblici e su base nazionale. Al contrario, i governi nazionali obbediscono ciecamente a un programma “europeo” di taglio alla spesa pubblica, privatizzazioni-liberalizzazioni-delocalizzazioni che stanno velocemente desertificando questo e altri paesi, trasformandolo in una sorta di landa deindustrializzata e riconvertita a mega-Disneyland turistico-culturale-gastronomica. Stanno gestendo i passaggi, insomma, verso la riconversione in “paese minore”, ospitale con i capitali da investimento e i flussi turistici e dunque fondato su salari da fame, contratti precari (per “indigeni” come per gli immigrati, comunque pagati ancor meno), “tolleranza zero” con i deboli.
Tutto questo col “fascismo storico” c’entra poco, anche quando gli somiglia fortissimo, perché non c’è nessuna ambizione imperialistica da straccioni, nessun piano di sviluppo militarizzato, nessuna capacità egemonico-culturale (Marinetti e il futurismo sembrerebbero dei giganti del pensiero, oggi). Nessuna “fosca grandezza”, insomma, per quanto disegnata su fondali di cartone, “otto milioni baionette” e “spezzeremo le reni” all’ultimo della fila... Solo declino, emigrazione giovanile, impoverimento dei poveri e disuguaglianze in crescita. Con il fallimento sullo sfondo.
Sul piano strettamente economico-finanziario, infatti, il governo grillin-leghista è assolutamente appecoronato alle disposizioni della Troika. L’incarico di dirlo esplicitamente tocca sempre e solo al ministro mediaticamente meno esposto, ossia a quello dell’economia, il “tecnico” Giovanni Tria (un altro “politicamente irresponsabile”, non eletto e non depositario di alcun pacchetto di voti), che al massimo – come i predecessori Padoan, ecc. – si barcamena tra richieste di maggiore spesa provenienti dai “colleghi” ministri e pretese di “manovre correttive” emanate da Bruxelles.
Se così, dunque, a che servono le sparate quotidiane dei ministro dello strillo?
A preparare le prossime elezioni, dicono in molti. E in effetti è difficile immaginare una felice e lunga coabitazione tra leghisti rampanti e pentastellati in debito d’ossigeno. Ma anche volendo accettare questa lettura, per fare cosa?
E’ evidente che anche un probabile futuro governo monocolore di destra si troverebbe davanti gli stessi limiti dell’attuale, anche se con qualche competizione interna in meno. I “vincoli esterni” restano lì ad impedire di realizzare qualsiasi promessa elettorale, sia questa la flat tax o la “cancellazione della Fornero”. Lo sanno tutti, anche i leghisti al governo...
E allora, a nostro avviso, non resta che una spiegazione.
Tutte queste forzature istituzionali preparano un terreno e un momento: quello in cui anche questo governo (o la sua parte più trombonesca), davanti al montare dei mugugni sociali che avranno verificato lo scarto tra promesse elettorali e fatti concreti, arriverà a dire: “con queste regole costituzionali è impossibile governare, dunque proponiamo una riforma costituzionale”. Nel solco di quella renziana-piduista bocciata il 4 dicembre 2016, o una versione anche più reazionaria.
Del resto, l’Unione Europea si sta dimostrando largamente “accogliente” per quelli descritti fin qui come “pericolosi populismi”. Una volta accettate le regole finanziario-economiche non ci sono altre vere pregiudiziali. Volete buttare a mare i “negri”? Potete farlo. Anzi, come ministri dell’interno di altri paesi (Germania e Austria, ma anche Francia e gruppo di Visegrad) vi diamo anche una mano... Basta che rispettiate alla lettera il Fiscal Compact, l’obbligo al pareggio di bilancio, lo squilibrio strutturale tra le varie economie del continente.
L’opposizione a questo esito non esiste, lo sappiamo. Non lo sarà Sergio Mattarella, che agisce solo sulle situazioni pericolosamente ridicole o per ricordare la forza del condizionamento sovranazionale; la sua figura, per chi ama le analogie, comincia a somigliare a quella di Hindenburg. Non lo farà “l’Europa”, che da sempre non prevede il rispetto della volontà popolare e deve gestire interessi concreti, non valori ideali. Non lo farà, naturalmente, la “sinistra europeista”, che ha gestito il processo di declino reazionario fino a sei mesi fa, inciampando e cominciando a declinare proprio sulla “riforma costituzionale” che non è riuscita a far passare.
Senza alcuna suggestione “complottistica”, ci sembra proprio che – fallito quell’obbiettivo – “i mercati” e la Ue abbiano deciso di spostare con oculatezza il proprio investimento, abbandonando a se stessa sia l’antica opzione democristiana che – soprattutto – quella “socialdemocratica” (ormai esaurite proprio a causa del loro “europeismo”), e puntando sull’avanzata delle destre razziste e xenofobe, ma tenute “sotto controllo”.
Da un Matteo all’altro, per ottenere lo stesso risultato.
L’opposizione reale va tutta costruita, ma con qualche idea chiara in testa.
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