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11/12/2019

Scienza e guerra. Sul dibattito aperto aperto da Angelo Baracca

di Vincenzo Brandi

Al Direttore ed alla Redazione di Contropiano

L’articolo di Angelo Baracca “Scienza e Guerra” pubblicato da “Contropiano”, così ricco di notazioni interessanti, e quindi molto utile come base di discussione, suscita però qualche perplessità perché alcune posizioni in esso contenute fanno riaffiorare vecchi equivoci e posizioni fondamentaliste in cui in passato sono caduti alcuni settori di quella che per comodità chiamiamo genericamente cultura di “sinistra”.

Un primo punto, che Baracca definisce “quantitativo”, sottolinea quanto siano stretti i rapporti tra scienziati e settore militare, molto di più di quanto la gente non pensi di solito. Baracca fornisce anche degli esempi: Archimede che costruisce macchine che distruggono le navi romane che assediano Siracusa; Lazare Carnot che si interessa, come Ministro della Guerra, di fornire armi alle armate rivoluzionarie francesi. Per dire il vero questi esempi non sembrano particolarmente felici.

Penso che Archimede facesse bene a contribuire alla difesa della sua città minacciata dall’imperialismo romano, e che Carnot facesse bene a dare il suo contributo alla difesa della Rivoluzione, come del resto anche il suo collega il matematico rivoluzionario Monge, che si interessava della produzione di polvere da sparo e munizioni per le truppe.

Ricordo che anche il programma di produzione della bomba atomica fu avviato da una lettera di Einstein (che era un pacifista, socialista ed antinazista) al Presidente Roosvelt. In essa Einstein si diceva preoccupato per le voci dell’inizio di un programma nucleare militare tedesco. Per fortuna questo programma fu affidato ad Heisenberg (grande scienziato teorico, ma pessimo sperimentatore) e non se ne fece niente. Solo in seguito Einstein ed altri scienziati, visto anche l’uso terroristico fatto delle bombe atomiche ad Hiroshima e Nagasaki (anche per intimidire preventivamente l’URSS), si tirarono indietro.

Non si possono nemmeno criticare quegli scienziati sovietici che misero a punto le bombe atomiche e le bombe termonucleari sovietiche per ottenere una situazione di equilibrio che ha mantenuto di fatto la pace per 40 anni. Dopo la caduta dell’URSS si è scatenato l’inferno, con le ripetute aggressioni all’Iraq, alla Jugoslavia, alla Libia, Siria, ecc., colpi di stato in Georgia ed Ucraina, oggi in Bolivia, altri tentati in Venezuela, ecc. La spesa militare degli USA e degli alleati della NATO nel tentativo di mantenere l’egemonia sfiora i tre quarti della spesa militare globale.

Appare quindi anche velleitario fare appelli per il disarmo nucleare che non tengano conto del contesto in cui le conoscenze scientifiche sono utilizzate per fini militari. Solo una variazione decisa del contesto politico potrebbe portare al disarmo, alla pace, ed un uso diverso della scienza.

Ma penso che il punto più importante trattato da Baracca sia il secondo, quello da lui definito “qualitativo”. Si legge di una “predisposizione della scienza (quella nostra Occidentale, o del capitalismo), nel suo stesso impianto metodologico, verso l’aggressione all’Uomo e alla Natura.

La scienza non è un’attività meramente conoscitiva che indaga la Natura in sé, sempre immutabile; piuttosto l’Uomo sociale si rapporta ai fenomeni naturali con modalità diverse nei diversi contesti storici e sociali, i quali pongono finalità diverse, che richiedono metodi scientifici nuovi”.

La prima parte di questo discorso ricorda sostanzialmente le posizioni proto-romantiche di Rousseau, notoriamente critico verso la scienza e addirittura contrario all’istruzione pubblica (ogni ragazzo avrebbe dovuto essere guidato da un istitutore privato in lunghe passeggiate istruttive). Queste posizioni sono state sostanzialmente riprese dalla Scuola di Francoforte con il libro di Horkheimer ed Adorno che critica l’Illuminismo e la scienza (“Dialettica dell’Illuminismo”) e da Marcuse con “L’Uomo ad una dimensione”, divenuti la bibbia della parte più fondamentalista del movimento del ’68 (cose che ricordo bene per averne fatto parte, data la mia non più tenera età).

La seconda parte del discorso (certamente funzionale alla prima, ed anch’essa molto in voga nel ‘68) mette in dubbio sostanzialmente l’obiettività della scienza, ed anche indirettamente della conoscenza comune (ricordo che “scienza” viene dal verbo latino “scio” che significa semplicemente “conoscere”). Direi di lasciare queste posizioni ad ambigui e discutibili filosofi statunitensi come Kuhn (che sosteneva che la scienza sarebbe determinata nelle varie epoche da paradigmi culturali incomunicabili tra loro indotti dalle credenze religiose, morali, politiche dell’epoca considerata), o Goodman (che sosteneva che il mondo è creato da noi, da quello che pensiamo e facciamo), o Hanson (che sosteneva che è la teoria che noi scegliamo arbitrariamente a creare i fatti, e non viceversa).

Sorvolo su tutto l’immenso oceano delle vecchie filosofie idealiste, da Platone, a Berkeley, a Fichte, ecc. e su tutte le filosofie irrazionaliste, da Schopenauer ad Husserl, Bergson, Heidegger, ecc. Pur tenendo conto dell’influenza dei dati culturali ambientali, penso sia preferibile attenersi a quanto diceva ad esempio il grande matematico, e fisico, Poincarè: alla base della conoscenza sono i fatti registrati dall’esperienza.

La scienza (la cui base è sempre sperimentale, da Galilei, a Faraday, ad Helmholtz, a Marie Curie, a Rutheford, ecc.) è la loro interpretazione, che può essere a volte errata o parziale, ma che al fondo ha una sua obiettività perché il mondo esterno materiale è unico, ed è quello che è, ed i fenomeni sono ripetitivi, conoscibili ed interpretabili.

Le rivoluzioni scientifiche avvengono sostanzialmente per il verificarsi di nuove esperienze, magari con strumenti più perfezionati, che ci costringono a modificare teorie precedenti, che in genere restano valide entro certi ambiti. Tipico esempio è il passaggio dalla meccanica newtoniana e galileiana alla teoria della relatività. Newton era perfettamente consapevole di non aver dato una spiegazione del meccanismo di trasmissione delle forze gravitazionali da lui descritte come forze istantanee a distanza. Preferiva non fare ipotesi (“Hypotheses non fingo”) e lasciare (esplicitamente) il compito ai posteri.

Il passaggio si è avuto quando alcune esperienze sui fenomeni elettromagnetici, l’esperienza di Fizeau sui raggi luminosi nell’acqua corrente, le esperienze di Michelson e Morley con l’interferometro, hanno fatto capire a Lorentz, Poincarè, ed infine ad Einstein, che bisognava tener conto della velocità delle onde elettromagnetiche e gravitazionali. Anche nella Rivoluzione copernicana in realtà il grande matematico e astronomo egiziano Claudio Tolomeo e Copernico (e poi Galilei) parlavano la stessa lingua. Tolomeo calcolava ingegnosamente la posizione di Sole e pianeti partendo da un sistema di riferimento terrestre; Copernico adottava un riferimento solare. Solo oltre un secolo dopo Copernico, i filosofi italiani della natura (Bernardino Telesio, Bruno, Campanella) hanno scatenato la polemica contro i residui aristotelici della Chiesa, provocandone la reazione.

Possiamo in definitiva valutare l’uso più o meno distorto che si fa della scienza, o criticare quegli scienziati che si mettono al servizio di governi aggressivi che producono terribili armi biologiche, o delle multinazionali che producono dannose OGM. Ma la scienza e la conoscenza sono sempre quelle perché la realtà materiale è unica (e lo dico anche da ex-ricercatore in pensione). Sono la politica e la società che dovrebbero incrementare l’uso di tecnologie benefiche e valutare (da un punto di vista scientifico, e non emozionale) i pericoli insiti in certe ricerche ed in certe tecnologie, ma senza ricadere in impossibili sogni neo-romantici.

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