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18/03/2020

Decreto “Cura Italia”, la cura non c’è

Ieri in conferenza stampa il Presidente del Consiglio Conte e i Ministri Gualtieri e Catalfo hanno illustrato le linee chiave del “Cura Italia”. Un piano da 25 miliardi di euro, che, a detta del Ministro dell’Economia Gualtieri, dovrebbero produrre “flussi” per un totale di 350 miliardi. “Flussi” che per ora rimangono mera ipotesi e promesse simili nel recente passato sono svanite come un bel sogno. Una cifra, dunque, assolutamente insufficiente dinanzi all’emergenza che stiamo affrontando. A maggior ragione se si tiene in conto che il PIL giornaliero dell’Italia è pari a circa 5 miliardi di €. Considerato il fermo di molte attività nel Paese, la somma stanziata può forse servire per lenire le ferite per 10 giorni, non di più.

A partire dalla sanità, dove appare stridente il contrasto tra la retorica che vuole medici e personale sanitario “eroi della patria” e gli scarsi fondi e i progetti a loro destinati dal “Cura Italia”: pochi miliardi – 3,5mld tra sanità e protezione civile! – e sì ad assunzioni, ma solo a tempo determinato, quando appare chiara a tutti la necessità di un piano di decine di migliaia di assunzioni a tempo indeterminato, per far sì che il bisogno di salute venga soddisfatto nel tempo.

La sola misura interessante è quella che prevede la possibilità di requisizione di strutture, personale e macchinari della sanità privata, così che possano essere messe al servizio della lotta al coronavirus. Una misura cui va data immediata applicazione, soprattutto in quelle regioni (Puglia, Campania, Lazio, ecc.), in cui il privato detiene una quota tutt’altro che trascurabile dei posti letto in terapia intensiva, ad esempio.

C’è una cosa che, in termini generali, il “Cura Italia” non fa: curare. Mancano infatti investimenti per risanare, ricostruire, ripartire, all’insegna dell’uguaglianza e della giustizia sociale.

COSA SERVE AL NOSTRO PAESE?

Sono tempi eccezionali. Servono allora misure altrettanto eccezionali. Non si può essere timidi; occorre lanciare un piano ambizioso, un “Piano per il Futuro” per salute, lavoro, ambiente, che sappia affrontare l’emergenza, gettando però anche le basi per il futuro. Il punto di partenza è non tenere più in conto vincoli di bilancio, “fiscal compact” e tutti quei limiti imposti dai nostri governi e dall’Unione Europea e il cui rispetto oggi significherebbe null’altro che morte.

Servono soldi quindi, tanti. Un prelievo d’emergenza sui redditi più alti contribuirebbe a trovare i fondi necessari per finanziare misure a favore dei più deboli e dei meno garantiti. È il momento della solidarietà nazionale, è il momento che anche i più ricchi, finalmente, contribuiscano in misura delle loro possibilità.

Serve inoltre una politica che individui i settori strategici e cominci a costruire per essi piani di nazionalizzazione – come col Cura Italia il governo fa per Alitalia – che però non carichino semplicemente sul pubblico il peso di fallimenti dei privati, ma che possano essere occasione di creazione di lavoro e ricchezza.

Servono investimenti massicci per lavoratori e lavoratrici. Per l’emergenza innanzitutto: i 10 miliardi stanziati sono anche qui insufficienti. Anche noi abbiamo chiesto alcuni provvedimenti d’emergenza: l’estensione e generalizzazione della cassa integrazione, il blocco dei licenziamenti (che il “Cura Italia” ferma per due mesi), e ora ne rivendichiamo la piena e immediata esigibilità senza freni burocratici o imprenditoriali. Da misure d’emergenza vanno rese misure di medio-lungo periodo, dal momento che il predicato “ritorno alla normalità” è tutt’altro che dietro l’angolo e bisogna esser pronti ed evitare che il peso ricada sulle spalle delle fasce più deboli della nostra popolazione.

Serve lanciare e finanziare un “reddito d’emergenza” che possa garantire continuità di reddito a tutti coloro che stanno perdendo o perderanno il lavoro, fermare gli sfratti, garantire il diritto alla casa che deve venire prima delle regole del mercato. I 200 milioni per il “reddito di ultima istanza” farebbero ridere se non ci fosse da piangere. Al contempo, i 100€ in busta paga per chi ha lavorato nel mese di marzo suonano come uno schiaffo in faccia ai lavoratori, una monetizzazione del rischio di esser contagiati e allo stesso tempo vettori di contagio. Un’offesa che offende nel profondo, nella dignità prima di ogni altra cosa.

Insomma, se questo decreto è la cura prevista per l’Italia ci sono forti rischi che il paziente, già malmesso, muoia. Per “salvarlo” occorre avere a cuore l’interesse dei molti e non dei pochi, e avere il coraggio di fare scelte di rottura radicale col passato, con l’adorazione del dio profitto, con i vincoli e i mandati degli organismi sovranazionali. Dai governi europei non ci aspettiamo nulla, ma la mobilitazione delle masse popolari può, in questo momento, cambiare il corso della storia. Noi ci siamo.

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