Per collocare le mie valutazioni sulle misure messe in atto per il Cov19 farò alcune considerazioni sui processi reali che stiamo vivendo in una ottica di critica dell’economia politica e sanitaria.
Partiamo dal metodo: la realtà è quella “cosa” che esiste anche se uno non ci crede. Essa ha la caratteristica di essere concreta si diceva una volta, oggi diremmo sistemica, cioè di essere sintesi di molte determinazioni e retroazioni che ne determinano il divenire, sua ulteriore importante caratteristica, tanto che esistono processi più che fatti, mentre queste caratteristiche della realtà producono di per se incertezza nella conoscenza che ne sviluppiamo.
Anche l’epidemia di coronavirus è un processo nuovo che è in divenire e questo aumenta l’incertezza: noi dobbiamo sempre tenere presente la quota di incertezza che esiste nelle nostre conoscenze, l’importanza del dubbio verso le asserzioni definitive e la coscienza del fatto che se dubitare serve a riempire alcuni vuoti di questa incertezza, al contempo apre nuovi campi di approfondimento e quindi crea nuovi campi di incertezza complessiva.
Per dare una base reale alla discussione faccio riferimento all’esperimento naturale che si è realizzato sulla nave da crociera giapponese tra gennaio e febbraio 2020, dove c’erano circa 3500 persone a bordo tra ospiti e crew, che sono state esposte per un tempo prolungato al Covid 19 e di cui si è accertato tramite tampone che 758 (un quinto) erano suscettibili ed hanno sviluppato contaminazione, infezione e malattia, con una quota del 10% che è andato incontro a sintomi importanti, di cui 1-2% gravi e 6 morti, con una mortalità dello 1,71 x mille ed una letalità reale dello 7,9 per mille.
Se noi trasportiamo questi dati sui 900.000 umbri, tanto per fare un riferimento ad una formazione economico sociale definita, noi abbiamo un atteso di 195.000 suscettibili che andranno incontro a contaminazione, infezione e malattia, con circa 20.000 sintomatici, 2000-4000 accessi in terapia intensiva e 1543 morti.
Questo serve a dare una idea del processo che potrebbe svilupparsi in un contesto definito – “nella nostra realtà” – prendendo a riferimento alcuni parametri, questi poi potranno essere giudicati più o meno adeguati e più o meno sottostimati, ma le dimensioni del processo cui stiamo assistendo sono di questo ordine di grandezza e sono assolutamente non trascurabili.
Passando alle misure di contenimento centrate sulla interruzione dei contatti interpersonali, ritengo che le dimensioni del processo in divenire ne giustifichino pienamente l’adozione ed è il caso di notare che nell’individuarle si è fatto riferimento all’evidenza disponibile: se si consulta il “Manuale per il controllo delle malattie infettive” si parla di “quarantena assoluta”, dove deve avvenire l’interruzione dei contatti interpersonali.
È importante valorizzare il fatto che nella crisi i cinesi siano andati a studiare l’evidenza disponibile traducendola in raccomandazioni di sanità pubblica tanto forti quanto difficili da mettere in atto, perché richiedono il coinvolgimento attivo della popolazione ed il riallineamento delle varie sfere sociali rimodulando gli effetti dei determinanti in modo da far prevalere il campo politico e scientifico su quello economico.
Nessuno lo aveva mai tentato prima su una popolazione intera per una malattia a trasmissione aerea. Evidentemente nella Repubblica Popolare Cinese (ma più in generale in Asia abbiamo visto RPC, Vietnam, Taiwan e Corea del Sud reagire bene al Covid 19) l’esperienza della Sars del 2003 ha portato a studiare misure e piani di intervento da adottare in casi analoghi, che poi sono state brillantemente messe in atto nel caso di specie, in cui si è saputa dare priorità alla salute di tutti rispetto ai soldi di pochi.
Nelle scelte della RPC assume risalto la centralità dei fini sociale e della cornice applicativa in cui i primi hanno determinato il funzionamento dell’intera società e questa cornice applicativa si chiama PROGRAMMAZIONE: nel caso della RPC emerge la potenza della cooperazione sociale in un quadro in cui la programmazione è esperta perché è stata già in grado di far uscire 800 milioni di persone dalla povertà e soprattutto è forte perché regola tutte le sfere sociali. Qui trovano piena applicazione i manuali dell’OMS su promozione salute e prevenzione primaria che parlano di “salute in tutte le politiche”: c’è stata una programmazione che ha applicato criteri sociali in tutte le politiche, il che ha portato oltre a risultati importanti per la salute dei cinesi ad innovare la teoria e la pratica della “sanità pubblica” globale arricchendo le nostre conoscenze su come fare prevenzione primaria in caso di malattie infettive che si trasmettono per via aerea.
Dall’altro lato noi assistiamo al fatto che nel capitalismo c’è uno spossessamento della cooperazione sociale che depotenzia le misure di prevenzione ed i loro effetti: abbiamo visto emergere con grande chiarezza il modello cinese e quello inglese nelle prese di posizione di Boris Johnson, leader del governo di destra inglese che – avendo vinto da poco le elezioni politiche – può trascurare di prendere posizioni “elettoralisticamente produttive” e si colloca sulla linea del capitalismo finanziario della City per cui una quota di persone possono anche morire, importante è non bloccare i processi di accumulazione.
Questo da l’idea della crisi di egemonia in cui si trova oggi il capitalismo che continua a produrre disastri e crisi come se il tutto non lo riguardasse: a latere della crisi climatico ambientale ora assistiamo al dissolvimento della transizione epidemiologica per cui non sono più solo le malattie cronico degenerative a determinare lo stato di salute, ma tornano in gioco per effetto congiunto di accumulazione per sfruttamento e spossessamento di vita e natura e globalizzazione della circolazione di merci e capitali, malattie infettive che a loro volta retroagiscono sugli assetti sociosanitari rendendoli inadatti alle nuove condizioni epidemiologiche, come appare con tutta evidenza dalla crisi del modello ospedaliero a fronte della COVID 19 ma ancor più della insufficienza delle azioni preventive rivolte ai soli determinanti distali.
L’irrisione che ha raccolto il modello inglese e il prevalere a livello globale del modello cinese in cui l’interesse generale governa i determinanti economici, sbriciolano la disgiunzione tra potere ed esperienza che da trentanni ci mostra le elite sorridere beffarde ed orgogliose mentre la disuguaglianza aumenta e la crisi climatico ambientale avanza: la supremazia forzosa del mercato nonostante i suoi costi sociali ed ambientali si scontra finalmente con la potenza della cooperazione sociale in condizioni di programmazione esperta.
Bisogna anche chiedersi come sia potuto avvenire che l’Italia abbia potuto sottrarsi in queste scelte che hanno polverizzato la supremazia dell’economico, restituito ruolo alla politica e dato un primo colpo durissimo all’egemonia del neoliberismo.
Qui assumono valore sia la presenza al governo di forze politiche che, come i 5S, rappresentano la classe media impoverita, sia la capacità del servizio sanitario nazionale di valorizzare le evidenze nelle scelte di sanità pubblica in quanto istitutivamente orientato a fini sociali, nonostante forze politiche bypartisan espressione delle elite neoliberiste abbiano infierito per decenni sul nostro SSN con criminali politiche distruttive quali definanzimento programmato, blocco delle iscrizioni all’università, blocco del tour over, privilegi ai fondi assicurativi ed alle strutture private (ah, il secondo pilastro...), selezione dei quadri dirigenti basta sul principio di obbedienza e non di competenza.
Molte e molti politici e tecnici della sanità devono solo vergognarsi e chiedere scusa.
Poi occorre anche riflettere sul perché – se l’Italia con le sue scelte politiche difende la salute di tutti e quindi l’interesse generale – assistiamo alla intollerabile discriminazione dei lavoratori di fabbrica, che pagano cosi il prezzo dell’essersi affidati a rappresentanze politico sindacali neoliberiste, con l’augurio che riescano a sbarazzarsene al più presto.
Per concludere:
a) l’Italia non è la Cina;
b) le misure:
– arrivano in ritardo con importanti parzialità sociali e territoriali;
– sono applicate a macchia di leopardo le indicazioni del modello cinese, soprattutto per quanto riguarda l’approccio estremamente proattivo alla diagnosi precoce, al tracciamento dei positivi ed all’isolamento degli stessi (la promiscuità intrafamiliare potrebbe garantire l’ulteriore diffusione dl virus anche nel lock down generale);
– sono in ogni caso misure che orientano la nostra formazione economico sociale alla tutela della salute collettiva e quindi c’è stato uno spostamento di baricentro, come emerge con chiarezza confrontando la politica italiana con quella inglese;
c) ma la cosa più importante è che si afferma la potenza della cooperazione sociale in un contesto di programmazione esperta e politicamente orientata da fini sociali, che evidentemente ha pienamente raggiunto – grazie alla potenza di calcolo oggi disponibile – la capacità di tenere conto delle principali variabili che determinano il reale, falsificando sia le giustificazioni di Von Hayek sulla supremazia del mercato rispetto ad una programmazione incapace di tenere conto della complessità del reale, sia quelle della Thatcher sulla inesistenza della società, la cui eccedenza è tale da conficcare un paletto di frassino nel cuore di entrambi ed anche di dare la prima seria lezione a quella che doveva essere la “nuova ragione del mondo”;
d) vedremo ora cosa riusciranno a fare i paesi capitalisti;
e) il mercato non è in grado di proteggere la salute di tutti e di rappresentare l’interesse generale;
f) la potenza della cooperazione sociale in un contesto di programmazione esperta rappresenta un modello prezioso nella crisi climatico ambientale che il capitalismo vorrebbe gestire con il mercato e di cui possiamo immaginare gli esiti catastrofici;
g) la fobia dell’organizzazione politica e della programmazione vanno abbandonate a favore di posizioni più riflettute perché attente alla realtà, abbandonando posizioni idealistiche centrate sulla onnipotenza della spontaneità, studiando meglio e a fondo, fuori dagli stereotipi e da posizioni fideistiche il modello cinese di programmazione sociale e, se ne siamo capaci, di migliorarlo, tenendo presente che si è fatto le ossa su 1,5 miliardi di persone e che è il modello più promettente per risolvere i problemi che affliggono 7,5 miliardi di persone, quale la crisi climatico ambientale;
h) l’ultimo elemento riguarda la soggettivazione moltitudinaria che l’epidemia di Covid sta determinando: qui, accanto alle cautele che ci vengono giustamente segnalate circa i rischi legati allo stato di eccezione che possono portare ad ulteriori processi di assoggettamento e disciplinamento, dobbiamo tenere presente che in realtà la crisi del modello generale di società che diventa ogni giorni più chiaro con i crolli in borsa che riflettono l’empasse globale della accumulazione finanziaria ed il blocco della quotidianità ci pongono i problemi di:
– come affrontare la crisi climatico ambientale – qui basta sentire la radio al mattino in cui le persone dicono “Ma in Cina funziona” , “C’è un modello cui riferirsi”... –;
– come produrre e distribuire reddito per tutti, che deve sviluppare il discorso già avviato con il reddito di quarantena e attivare percorsi di riappropriazione della ricchezza sociale fissata negli asset di borsa che gli attuali detentori non riescono più a valorizzare nelle mutate condizioni;
– come ridare senso alla vita ed alla nostra interazione con l’ambiente, dove il lavoro che stiamo facendo con l’ecodistretto, operativo a Terni dove ha portato alla chiusura di un inceneritore e allegato anche alla proposta dei comitati ambientali umbri circa il nuovo piano regionale dei rifiuti, assume una sua importanza crescente quale modello alternativo in grado di riparare le disfunzioni della gestione neoliberista dei territori.
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