Dovremo imparare a raccontare Barzellette per miliziani,
titolo di un libro assai ironico e illuminante dello scrittore e
giornalista libanese Mazen Maarouf. Sono i miliziani, come avviene da
decenni, i co-protagonisti irrinunciabili delle partite belliche e
geopolitiche che si giocano dalla Siria alla Libia, dall’Iraq allo
Yemen. Per Putin e i suoi alleati è arrivata la tempesta perfetta:
pandemia, guerre vere, battaglia sul petrolio e mercati occidentali in
malora.
Una partita dura e quelli che la giocano senza rendere conto a
nessuno sono zar, raìs e regimi autocratici. Dall’Algeria all’Egitto,
dall’Iraq al Sudan, sono in corso le scosse di assestamento delle
primavere arabe e il coronavirus indebolisce le opposizioni che
vorrebbero la riforma o lo smantellamento dei poteri in carica.
Mohammed bin Salman, il principe assassino mandante dell’omicidio
Khashoggi, a Riad ne ha approfittato per far fuori altri membri della
corona e 300 funzionari che non gli versavano le tangenti: chiaro il
messaggio del maggiore acquirente di armi occidentali.
Putin, in vista del referendum costituzionale di aprile per
incoronarlo zar a vita, “vede” intanto il traguardo di rafforzare la sua
presenza nel Mediterraneo, a colpi di basi militari, gas e petrolio
sostenuti da una diplomazia cinica e realistica.
Una fase favorevole anche a Pechino la cui presenza in Italia è già
vista in Usa ma anche a Bruxelles come un golpe medicale: «Oggi le
mascherine, domani Huawei» dichiara il politologo Ian Bremmer su
Formiche, punta di lancia nostrana dell’atlantismo duro e puro. Pechino
proverà a giocare il ruolo di investitore in titoli di Stato e asset
strategici dei Paesi europei piegati dal coronavirus. È nel nuovo ordine
delle cose.
Si combatte per accaparrarsi quote di mercato e quote di Mediterraneo
mentre restano le sanzioni americane all’Iran ed europee a Damasco e
gli Usa si disputano la loro presenza militare in Iraq a colpi di
missili e droni: questa è la «guerra di Soleimani», cominciata il 3
gennaio scorso con l’uccisione del generale iraniano a Baghdad. Come
conseguenza gli Usa hanno appena deciso di ritirarsi da tre basi
irachene su otto: Al Qaim, Kirkuk e il Qayara Airfield. Mentre l’Iran,
triturato dalle sanzioni e ora dalla pandemia, si sta giocando, per la
prima volta dagli anni '60 la carta dei prestiti del Fondo
monetario: se andrà in porto sarà una «normalizzazione» della repubblica
islamica ma non la sua fine. La Cina continuerà a sostenere Teheran,
anello strategico della Via della Seta. Per Trump, nell’anno elettorale,
si profilano forse guai maggiori che per gli ayatollah.
Dei profughi, a milioni in situazioni disperate, ormai si interessano
soltanto quelli che li manovrano, da Erdogan ad Assad, a Putin: gli
stessi europei sotto sotto pensano cinicamente che il Coronavirus
sistemerà da solo la questione. Ma il lacerante appello dell’Unhcr
riportato domenica dal manifesto nell’articolo di Chiara Cruciati ci
dice che non basterà chiuderci in casa. Busseranno, insieme agli altri,
alla nostra porta.
Quando l’Europa si rialzerà dal ventilatore della sopravvivenza da
coronavirus e dalla crisi economica troverà un panorama dove non
controllerà più i processi in corso.
Mentre qui chiudono le frontiere, in Medio Oriente e sulla Sponda Sud
a viaggiare freneticamente – pure a confini chiusi – sono rimasti
eserciti e miliziani, di vecchio e di nuovo conio.
Dalla Siria alla Libia si profila un asse Russia-Assad-Egitto, che
comprende anche Iran e Hezbollah, per ostacolare la penetrazione turca
nel Mediterraneo.
Il capo dei servizi egiziani, generale Abbas Kamel, si è recato a
Damasco per incontrare il suo omologo siriano Ali Mamluk per contrastare
l’influenza turca nel Mediterraneo orientale e in Libia. L’incontro,
certo non il primo, è avvenuto prima che Putin raggiungesse un fragile
accordo con Erdogan su Idlib.
Assad per negoziare con Erdogan sul Nord della Siria vuole avere
dalla parte il mondo arabo, persino le ostili monarchie del Golfo. Ecco
la manovra. Al Sisi, con Emirati e Arabia Saudita, sostiene le truppe di
Khalifa Haftar e Assad, alleato della Russia, ha stabilito relazioni
diplomatiche formali con il governo di Tobruk contro quello di Tripoli
di Sarraj, tenuto in vita dalla Turchia.
E non basta. Russia e Hezbollah libanesi, vicini all’Iran, hanno
cominciato a reclutare “civili” siriani da inviare a sostegno di Haftar.
In Siria sono stati aperti dal governo e dai russi centri di
reclutamento di nuovi miliziani da inviare a Haftar. Alla mobilitazione
partecipa anche Hezbollah. Del resto la Turchia ha inviato altri
mercenari dal nord della Siria a Tripoli e Misurata: milizie jihadiste
filo-turche della regione siriana di Idlib e a nord di Aleppo, cui si
aggiungono centinaia di consiglieri militari turchi.
La «guerra dei vasi comunicanti», tra Siria, Libia, Iraq, continua
anche con il virus: tenetevi pronti perché anche noi tra un po’ dovremo
sapere raccontare barzellette ai miliziani del nuovo ordine sotto casa.
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