Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

06/03/2020

Israele - Dopo le elezioni è ancora stallo

Benyamin Netanyahu ieri è tornato a proclamarsi vincitore del voto del 2 marzo e a mettere ai margini la minoranza palestinese con cittadinanza israeliana (21% della popolazione) che ha visto crescere la sua rappresentanza alla Knesset (da 13 a 15 seggi). “Abbiamo vinto tra i (partiti) sionisti, gli arabi non sono parte dell’equazione”, ha affermato ieri il premier israeliano rivolgendosi ai rappresentanti delle formazioni di destra nazionaliste e religiose alleate del Likud, il suo partito.

Eppure per il premier israeliano non sono tutte rose e fiori. Proprio il successo della Lista araba ha ridimensionato la vittoria delle destre rendendo più complicata la scalata alla maggioranza di Netanyahu. La Commissione elettorale deve ancora verificare l’1 per cento dei voti e si attende il dato ufficiale delle elezioni. Gli esperti però non prevedono scossosi, quindi il blocco delle destre ha ottenuto solo 58 seggi, tre in meno di quelli necessari per dare vita a una maggioranza di governo.

Lo stallo politico in cui si ritrova Israele dalla fine del 2018, aperto dal partito ultranazionalista laico Yisrael Beitenu, guidato da Avigdor Liebarman (nemico giurato degli palestinesi in Israele), non è stato superato. E Netanyahu ora deve affrontare anche un altro ostacolo. Benny Gantz, leader della lista centrista Blu Bianco, avversaria del Likud, intende dare appoggio a una proposta di legge che, se approvata, impedirà a una persona incriminata di poter diventare primo ministro e ad un premier in carica di formare un nuovo governo. Legge che prende di mira proprio Netanyahu incriminato lo scorso novembre per corruzione, frode e abuso d’ufficio. “Gantz vuole rubarmi la vittoria elettorale, la sua mossa mina le basi della democrazia. Non ci riuscirà, il popolo israeliano ha espresso chiaramente la sua volontà politica”, ha protestato il premier. Gantz gli ha risposto invitandolo “a bere un bicchiere d’acqua e ad attendere i risultati ufficiali delle elezioni”.

La legge in cantiere non è l’unica difficoltà spuntata sulla strada del primo ministro. Ieri si è appreso che il capo dello stato israeliano Reuven Rivlin, secondo i tempi previsti dalle legge elettorale, dovrà affidare l’incarico per la formazione del nuovo governo il 17 marzo, proprio il giorno in cui il Netanyahu andrà sotto processo. Ciò mentre crescono le polemiche per il tentativo che il Likud sta facendo per convincere – dietro la promessa di ministeri e altri incarichi di rilievo – alcuni deputati eletti con i partiti di opposizione ad unirsi alla destra in modo da permettere la nascita di una maggioranza di governo guidata da Netanyahu.

Nel quartier generale dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), si seguono con attenzione e una evidente delusione gli esiti delle elezioni israeliane. Il presidente Abu Mazen in silenzio auspicava un successo dell’opposizione e l’uscita di scena di Netanyahu, suo nemico giurato. Sebbene anche Benny Gantz, un ex capo di stato maggiore, si sia detto favorevole al piano di Donald Trump che prevede l’annessione a Israele di una buona porzione della Cisgiordania, l’Anp comunque ritiene il capo di Blu Bianco un interlocutore più ragionevole di Netanyahu.

In queste ore cresce la pressione della popolazione palestinese a sostegno della ripresa dei contatti tra l’Anp e Hamas per arrivare all’unità nazionale che si è interrotta 13 anni fa con gli scontri armati tra il partito Fatah e il movimento islamico (che da allora controlla la Striscia di Gaza). La Russia, sempre più protagonista in Medio Oriente, sembra intenzionata a recitare un ruolo anche nel riavvicinamento tra Anp e Hamas. Nei giorni scorsi il ministro degli esteri Lavrov ha ricevuto a Mosca il capo di Hamas, Ismail Haniyyeh, e, secondo alcune fonti, potrebbe organizzare nei prossimi mesi una conferenza per favorire la riconciliazione nazionale palestinese.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento