«Siamo contrari a qualsiasi intervento armato, sia dall’esterno che
all’interno. La rivoluzione siriana deve trovare la strada in modo
pacifico». Così dice al manifesto Haytham Manna (nella foto),
rappresentante del Comitato nazionale di coordinamento per il
cambiamento democratico in Siria (Cncd).
Lo abbiamo incontrato a Roma ieri, ospite di un convegno sulla
primavera araba organizzato dalla comunità di Sant’Egidio. Una giornata
di riflessione per «fare del Mediterraneo un luogo d’incontro, e per non
lasciare solo il popolo siriano», ha affermato il ministro per
l’integrazione e la cooperazione, Andrea Riccardi, in apertura. Uno
spazio di confronto tra religione e laicità, che ha ospitato
intellettuali, donne e uomini politici provenienti dal Libano,
dall’Iraq, dall’Egitto…
«La primavera araba ha definitivamente inaugurato la stagione
dell’unità fra islam e democrazia», ha dichiarato Rashid Ghannushi,
leader del partito islamico Ennahdha, risultato vincitore (lo scorso
ottobre) dalle elezioni per la Costituente in Tunisia. Intanto, le madri
dei migranti tunisini dispersi in Italia e in Tunisia manifestavano
contro «l’inadempienza del governo».
All’incontro era atteso anche Burhan Ghalioun, leader del Consiglio
nazionale (Cns): la parte più intransigente dell’opposizione siriana,
nato a Istanbul alla fine di agosto. Sarebbe dovuto arrivare da Parigi,
dove risiede e lavora come docente di sociologia politica a La Sorbona,
ma non è venuto. A Parigi risiede anche Haytham Manna, un passato
giovanile nel Partito comunista siriano. Oggi, si definisce
«un’indipendente che in Francia ha votato a sinistra». D’altro canto –
precisa – al Cncd partecipano anche le componenti comuniste siriane.
Secondo alcune fonti, un gruppo di soldati francesi è stato
arrestato in Siria mentre addestrava l’opposizione armata
fondamentalista. Uno schema già visto nella vicenda libica…
Il ministro degli esteri Alan Juppé non sopporta le ragazze velate
nei licei dell’Esagono, però non si fa scrupoli di finanziare la destra
islamica e neo-liberista in Siria. Forse crede di essere ancora nel 1940
e di avere sempre il mandato sul nostro paese. Diciamo chiaramente che
non ci servono consigli, né aiuti interessati, solo la solidarietà
concreta dei movimenti progressisti arabi e nel mondo. Con il suo
atteggiamento repressivo e securitario, il regime è il primo
responsabile dell’inasprimento, anche armato, del conflitto. Però
esistono interventi esterni che ci danneggiano: allontanano da noi gran
parte delle masse pacifiche e creano divisioni con le altre comunità
esistenti nel paese. Siamo allergici all’esempio libico.
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, 49 ufficiali turchi
sarebbero stati arrestati in Siria mentre portavano armi ai ribelli
islamici, spalleggiati dal Mossad. A cosa mirano queste ingerenze, a
“balcanizzare” il paese?
Siamo il terzo paese al mondo per numero di rifugiati interni,
soprattutto palestinesi. Il regime li ha accolti perché il nostro popolo
ha sempre appoggiato i palestinesi. Per il resto, respingiamo ogni
manovra esterna, non vogliamo la cosiddetta mediazione della Turchia,
respinta sia dai cristiani, che dai kurdi e dagli armeni, i quali hanno
minacciato di darsi alla macchia se prendesse piede la versione di
Ankara. Abbiamo chiesto al Cns garanzie precise sul rifiuto
dell’intervento militare e sulla desacralizzazione della vita civile e
dello stato. Ghalioun ha firmato. Non vogliamo corridoi umanitari che
mascherino l’intervento di soldati stranieri. La Siria non deve
diventare un’arena politica per le grandi potenze. Abbiamo coniato uno
slogan: grazie Turchia, ma la soluzione è siriana. La nostra rivoluzione
– basata sui principi progressisti di dignità e libertà – è autentica.
Il referendum di domenica ha detto sì alla nuova costituzione. Un passo avanti verso la distensione?
Niente affatto. Sono modifiche di facciata, non c’è stato un vero
processo costituente. In base a quelle norme, i dirigenti
dell’opposizione potrebbero al massimo diventare sindaci del proprio
villaggio, non avere cariche politiche o amministrative a livello
nazionale. Vogliamo un processo di transizione dalla A alla Z. Vogliamo
uno stato democratico che risponda ai bisogni della popolazione e non la
reprima, che abbia buoni rapporti sia con Russia e Cina che con gli
Stati uniti. Per questo sosteniamo il piano della Lega araba, che è
stato accettato da tutti, anche dal regime. Chiediamo alla Russia e alla
Cina di spendersi perché si arrivi a una conferenza fra le parti. Per
farla finita con la famiglia Assad.
Una soluzione sul modello yemenita?
No, sul modello siriano.
Nessun commento:
Posta un commento