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01/08/2014

Gaza - Mohammed Deif, il leader militare, blocca la tregua umanitaria

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Il vero lea­der di Hamas in que­sto momento è Moham­med Deif, il capo delle «Bri­gate Ezze­din al Qas­sam», braccio armato del movi­mento isla­mico, impe­gnate nello scon­tro mili­tare più duro e pro­lun­gato avuto con le forze armate israe­liane dalla loro for­ma­zione nel 1992. I mezzi d’informazione hanno sottovalutato l’importanza del mes­saggi di Deif che mar­tedì sera hanno dif­fuso la radio e la tele­vi­sione di Hamas. Non si è messo in rela­zione diretta quel mes­sag­gio con il caos di annunci e smen­tite regi­strato qual­che ora prima al Cairo, quando nel pome­rig­gio è stata rife­rita la dispo­ni­bi­lità di tutte le fazioni pale­sti­nesi, Hamas incluso, a fer­mare le osti­lità, seguita da una secca smentita.

A bloc­care il via libera alla tre­gua uma­ni­ta­ria di 24 ore, da esten­dere fino a 72 ore, è stato l’intervento di Moham­med Deif che, a sera, ha addi­rit­tura scelto di appa­rire pub­bli­ca­mente (cosa raris­sima) per riba­dire che Hamas non accet­terà «nes­sun cessate-il-fuoco senza la fine dell’aggressione (mili­tare israe­liana) e senza l’eliminazione dell’assedio», vale a dire del blocco della Stri­scia di Gaza da parte di Israele e dell’Egitto. Parole che hanno messo a tacere il lea­der politico di Hamas Kha­led Meshaal e il suo vice Musa Abu Marzouq.

Ormai è evi­dente che in Hamas ha preso il soprav­vento l’ala mili­tare. Meshaal e Abu Mar­zouq, ci spiega una nostra fonte di Gaza che ha chie­sto l’anonimato, sono favo­re­voli a una via d’uscita alla crisi da con­cor­dare con le altre forze pale­sti­nesi, a comin­ciare da Fatah di Abu Mazen. «I due ci dice la fonte sono con­vinti che Hamas non riu­scirà ad otte­nere ciò che ha chie­sto ad ini­zio dello scon­tro armato con Israele, a comin­ciare dall’apertura totale dei vali­chi, e che l’emergenza umani­ta­ria (pro­vo­cata dall’attacco di terra israeliano,ndr) se con­ti­nuerà ad aggra­varsi non potrà che ritor­cersi con­tro Hamas». Meshaal – ha aggiunto la fonte – «ritiene che la situa­zione si sia comun­que mossa e che l’avvio di una trat­ta­tiva rap­pre­senti comun­que un rico­no­sci­mento del movi­mento islam­ico che, per­tanto, potrà uscire dall’isolamento poli­tico in cui è stato tenuto nell’ultimo anno. In que­sto qua­dro, pensa Meshaal, la ricon­ci­lia­zione nazio­nale pale­sti­nese va rilanciata e non abbandonata».

Risul­tati, ipo­te­tici, che non sono nep­pure presi in con­si­de­ra­zione dall’ala mili­tare che nelle tre settimane di scon­tro con Israele ha con­qui­stato ulte­riori posi­zioni in Hamas e messo nell’angolo Meshaal e Abu Mar­zouq, a van­tag­gio dei diri­genti di Gaza, a comin­ciare dall’ex pre­mier Ismail Haniyeh e dall’ex mini­stro degli esteri Mah­mud Zahar, che ora sta rea­liz­zando la sua ven­detta politica dopo essere stato messo ai mar­gini due anni fa dai lea­der in esilio.

Moham­med Deif, 54 anni, sfug­gito nel set­tem­bre 2002 ad un «omi­ci­dio mirato» da parte di Israele che lo ha lasciato disa­bile fisi­ca­mente, ha ripreso il pieno con­trollo del brac­cio armato di Hamas dopo l’uccisione di Ahmed Jaa­bari nel novem­bre 2012 (all’inizio dell’offensiva aerea «Colonna di Difesa»). È stato uno dei teo­rici, assieme a Nidal Farhat e Adnan al-Ghul, del programma mis­si­li­stico che ha dotato Hamas di razzi, pro­dotti local­mente o giunti a Gaza attra­verso i tun­nel con l’Egitto, che nelle ultime tre set­ti­mane hanno rag­giunto città israe­liane distanti anche 200 km dalla Stri­scia. Razzi che si sono dimo­strati un’arma di forte pres­sione psi­co­lo­gica sulla popolazione di Israele e che unita alle azioni di com­mando attuate dalle unità spe­ciali di «Ezze­din al Qas­sam», in cui sono rima­sti uccisi nume­rosi sol­dati israe­liani, hanno fatto cre­scere il pre­sti­gio dell’ala armata del movi­mento a danno della diri­genza politica.

Deif e gli altri coman­danti mili­tari affer­mano che «Hamas sta vin­cendo» e che le sof­fe­renze della popo­la­zione di Gaza sono un prezzo da pagare per la vit­to­ria finale, anche se a conti fatti il movimento isla­mico sino ad oggi non ha otte­nuto la rea­liz­za­zione di nean­che una delle sue richie­ste. Dall’altro lato c’è Israele che punta pro­prio sui bom­bar­da­menti sem­pre più indi­scri­mi­nati, sull’emergenza uma­ni­ta­ria e le sof­fe­renze di oltre 200mila sfol­lati per costrin­gere Hamas ad accet­tare un ces­sate il fuoco incon­di­zio­nato. Una tena­glia che schiac­cia la popo­la­zione civile palestinese.

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