Il resto lo fa il solito effetto
Orwell: il Jobs Act, espressione che in lingua inglese non esiste (solo
la docilità delle redazioni di stampa e tv ha permesso di
ufficializzare con solennità una perla da spaghetti inglisch) elimina le
garanzie? I tg affermano lo stesso, con un po’ di contorsioni di
parole, che così si creano posti di lavoro “stabili”. Peccato
che in questo genere di contratto il licenziamento possa avvenire dal
tramonto all’alba. Ma tanto i sindacati si guardano bene dal dirlo nello
spettacolo dei Tg. Perché? Quando la segretaria nazionale della CISL
prende mensilmente più del presidente della Repubblica è evidente che il
consenso dei sindacati non è stato conquistato, con le politiche sul
lavoro, ma monetizzato permettendo la crescita di un solo tipo di
stipendio: quello dei livelli alti del funzionariato sindacale.
Ma è proprio su produzione e lavoro, se
si esce dal recinto magico dei tg e della stampa, che la comunicazione
del governo è improbabile. Senza recitare il rosario dei numeri,
teniamoci su argomenti elementari. Cominciamo dalla produzione: nel periodo 2008-2014 è calata di circa, facciamo cifra tonda, il 25%.
Se il governo Renzi riuscisse a raddoppiare l’attuale aumento della
produzione, per recuperare il calo produttivo dei sei anni precedenti,
impiegherebbe un quarto di secolo. Se lo mantenesse costante, sui
livelli di oggi, allora toccherebbe il mezzo secolo. Sono previsioni
elementari, basate su dati reali, che fanno capire però la realtà
drammatica della crisi. Ma quando un paese, su questioni sistemiche,
riesce solo a darsi risposte minimali, cercando di leggere fatti e dati
con giudizi senza respiro (e non accade solo ai governi), mancare di
vedere il crepaccio che è sotto i piedi rappresenta solo la norma.
Crepaccio da cui quasi tutti si ritraggono inorriditi, nascondendolo
prima possibile, visto che, nella scatola degli attrezzi delle culture
politiche dell’ultimo quarto di secolo, non ci sono strumenti per la
risoluzione di crisi epocali.
E siamo così alla rimozione completa dei problemi reali, non solo da parte del governo, anche sul
piano delle previsioni che riguardano il mercato del lavoro. Si
è così fatto sparire dalla scena lo stesso FMI, oracolo delle politiche
liberiste. Il FMI, infatti, afferma che all’Italia ci vorranno almeno
20 anni per recuperare i posti di lavoro persi nel periodo 2008-2014.
Poletti si è ben guardato dal polemizzare con il fondo monetario
internazionale, almeno pubblicamente, più facile prendersela con il
presidente dell’Istat. E così il governo in economia oscilla sull’orlo
del crepaccio, con qualche segno più nell’export dovuto all’euro e al
petrolio deboli, mentre nella propaganda vola. All’abisso che sta giusto
dietro la scenografia de “la volta buona” ci penserà poi. O ci dovrà
pensare qualcuno che proprio non potrà evitarlo.
I problemi si fanno ancora più
grossi quando si inquadra come le politiche economiche di Renzi,
esecutore di ciò che emerge nella dialettica servo-padrone che c’è tra
Roma e Bruxelles, esistono naturalmente per alimentare la propaganda di
Salvini. Il leader della peggiore destra emersa, in termini di
consistenza elettorale, dal dopoguerra. Una destra, non solo
esplicitamente alleata con un gruppo fascista militante, ma che
rappresenta una regressione antropologica persino rispetto al
berlusconismo. Dove il berlusconismo, infatti, governava nell’illusione,
ben alimentata finché è stato possibile, di un “nuovo miracolo
italiano” (prodotto di propaganda di cui il renzismo è evidente
sottomarca) la destra di Salvini cresce alimentando la ricerca del capro
espiatorio, offrendolo ad una società terrorizzata dalla crisi (e qui
siamo ai classici del fascismo oggi riproposti dando del “razzista” a
chi critica simili, tragiche, stupidaggini). Come per la credenza nei
miracoli, e quelli promessi dal berlusconismo hanno talmente funzionato
da essere assunti a programma di governo dal partito avversario, anche
quella nel capro espiatorio mette radici che durano nel tempo. Anzi, in
tempi di crisi la pratica della caccia e dell’esecuzione, a volte
simbolica altre materiale, di un responsabile “che turba l’ordine” può
innescare velenose dinamiche sociali che durano a lungo.
Come le politiche di Renzi alimentino la destra economica, assieme al consenso politico, di Salvini è presto detto.
In due modi. Il primo è sul piano dello smascheramento della
propaganda, il secondo è su quello delle politiche possibili. Ed
entrambi i modi possono saldarsi, e fare sinistro cortocircuito, a causa
degli scenari che si profilano in economia.
Già, perché quando la Federal
Reserve alzerà i tassi, e se si manterrà il rallentamento della
“crescita” dei paesi emergenti, al governo Renzi non rimarrà neanche il
sospiro di qualche segno più dovuto al dollaro e al petrolio deboli.
Perché l’aumento dei tassi di interesse della Fed comporterà una
rivalutazione del debito pubblico italiano. Mentre il rallentamento
della crescita dei paesi emergenti (il manifatturiero cinese a luglio ha
toccato -8% e sono dati ufficiali), rischia di creare, direttamente o
indirettamente, problemi permanenti a tutte le economie dell’eurozona.
Tanto più che, per aiutare il manifatturiero, il governo cinese ha
svalutato la propria moneta*. Rischiando di innescare una guerra
valutaria globale che, contenente o meno un rialzo dei tassi di
interesse Fed in risposta al fenomeno, rischia di comportare comunque
una nuova compressione di salari e consumi in Italia.
Facile intuire che, di fronte ad
un nuovo periodo di allargamento della crisi, la propaganda di Salvini,
che fa leva su una società impaurita e impoverita, si legittimerà
ulteriormente come elemento di smascheramento delle chiacchiere del
governo, e come fabbrica di capri espiatori visibili, e attaccabili, sui
territori. Se il renzismo ha giocato, fino ad adesso, su
Salvini come miglior avversario, che ti fa fare il pieno di consensi
perché inaccettabile, è possibile che presto il PD debba fare i conti
con le conseguenze del giocare all’apprendista stregone.
Infatti, senza una ricaduta materiale, la
propaganda de “la volta buona” è la logica sociale, molto potente, del
capro espiatorio, assieme a quella della frustrazione che si fa rabbia, può trovare egemonia fino a diventare maggioritaria. Ma il
problema non sta solo nel fatto che, alimentando la crisi con politiche
di privatizzazioni e tagli, Renzi finisce per costruire nuovi argomenti
per una ulteriore legittimazione di Salvini. Il problema più grosso è il
secondo. L’annunciata propaganda PD di taglio delle tasse, nonostante
le tasse siano veramente alte, sarà un fallimento economico qualunque
misura verrà presa. Tagliando le tasse dovendo mediare con
Bruxelles, quindi senza sforare sul deficit e privatizzando, si
aiuteranno solo i grandi capitali italiani a speculare, in Italia o
all’estero, o a delocalizzare la produzione. Ma soprattutto, pur
legittimando spettacolarmente il taglio delle tasse, il PD taglierà
comunque meno di quanto chiesto da Salvini (una flat tax da economia
alla cilena al 20% per tutti). Il rischio è quindi che, di fronte ad un
allargamento della crisi apertasi con il 2008, con due distinte
propagande sul taglio delle tasse in aperta concorrenza, si ottenga una
vera e propria spirale di distruzione della ricchezza economica diffusa
del paese. Come avvenuto quasi ovunque si è praticato politiche del
genere. Una spirale attivata con il PD che insiste sul taglio spettacolo
delle tasse, già annunciato da Renzi a Milano in luglio, come misura
risolutiva. Tagliando però sempre meno di quanto chiesto da Salvini, la
flat tax al 20% è roba da misura di guerra, e impiccandosi nella logica,
tutta a favore della propaganda della Lega, dell’incattivirsi nella
strada degli ulteriori tagli alle tasse non appena le misure si
riveleranno per come sono: inique, inefficaci, pericolose e capaci solo
di arricchire l’uno per cento del paese.
Tutto perché il Pd non ha un
piano B rispetto a quanto vuol fare – una mistura che esce dalle
direttive di Bruxelles, da un occhiolino alla finanza angloamericana e
dal provincialismo da talk show – che si tradurrà nel tentativo
permanente della “volta buona che le tasse si tagliano davvero”.
Renzi farà così perdere a questo paese ulteriori, e considerevoli,
forze produttive e ricchezze non solo economiche ma anche di capitale
umano e di capacità acquisizione di tecnologie. Alimentando la
propaganda economica del taglio delle tasse, facendo così il gioco di
Matteo Salvini che “le tasse le vuol tagliare davvero”. In questi anni, a
partire dalla crisi degli spread del 2011, in molti hanno cercato di
individuare l’Heinrich Brüning italiano. Ovvero il cancelliere le cui
politiche economiche, tra il 1930 e il 1932, furono talmente devastanti
da fornire solidi argomenti all’ascesa del nazismo in Germania.
Differentemente da Renzi, esperto nella sola arte dell’intrattenimento,
Brüning aveva una solida preparazione economica e fiscale. Ma similmente
a Renzi, e qui qualche campanello d’allarme dovrebbe suonare, la sua
concezione del governo era basata su una radicalizzazione dei poteri del
premier. Tanto che lo stesso Brüning si definì promotore di una
“democrazia autoritaria”, che è prototipo della renziana “democrazia
che decide” più di quanto si voglia ammettere. Ogni “volta buona”, che
si sia a Weimar o tra Firenze e Roma, richiede infatti una mano ferma.
Salvo quando arriva poi qualcuno che, smettendo di giocare con le
costituzioni e con l’opinione pubblica, la mano ferma ce l’ha davvero.
Renzi, di fronte alle nuove nubi
che avvolgono l’economia globale, risulta quindi il migliore alleato di
Salvini: promuove una concezione fallimentare dell’economia,
alimentando la propaganda della frustrazione e del risentimento della
Lega, e legittima il taglio delle tasse radicale voluto dal leader del
Carroccio, colpo forse letale alla tenuta sociale del paese,
perseverando in uno spettacolo del taglio delle imposte che non porterà
frutti. C’è solo da sperare che lo scenario si congeli perché,
se il parolaio di Palazzo Chigi è costretto, dallo scenario economico, a
giocarsi qualche carta della disperazione allora i danni arrivano sul
serio.
Certo, da sinistra, di sicuro
con una qualche riedizione delle retoriche viste negli ultimi 20 anni
non si batte né Renzi né Salvini. Né, tantomeno, si inverte il declino
della produzione di ricchezza di un paese che è IL problema chiave
dall’inizio degli anni ’90. Figuriamoci poi affrontare la
realtà nella sua interezza ovvero quella che vuole che questo modello di
sviluppo sia condannato, che la governance continentale multilivello si
rivela un problema e non una soluzione etc. Ma qui si andrebbe fuori
ascolto visto che stiamo parlando di un paese in cui i pragmatici
credono di volare basso mentre, semplicemente, si stanno preparando per
la picchiata. Di sicuro mancherà la noia nella prossima stagione, che
sarà bene scarsissimo. Su questo si potrebbe scommettere, e fare la
fila, in qualsiasi agenzia che accetti puntate in argomento.
Redazione, 12 agosto 2015
* su questo le chiavi di lettura sono un po' più complesse
Nessun commento:
Posta un commento