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03/08/2016

Banche sulla graticola, tra arresti e tonfi in Borsa

I media mainstream nazionali, all’indomani dei risultati (stranamente positivi) degli stress test della Bce sul sistema bancario europeo, a fronte di una caduta verticale delle quotazioni dei rispettivi titoli in Borsa, si chiedevano “come mai gli investitori non si fidano delle banche italiane?”

Nemmeno di quelle tedesche o francesi, a dirla tutta (basta vedere gli andamenti di Commerzbank e Deutsche Bank), ma con alcune sostanziali differenze. Si sa, e lo hanno fatto capire persino a Matteo Renzi, che le banche tedesche hanno giocato un po’ troppo con i prodotti “derivati”, al punto che la sola Deutsche Bank ha pasticciato con 75.000 miliardi di simile spazzatura. Per farsi un’idea: il Pil annuale italiano viaggia intorno ai 1.600 miliardi, quello della Germania supera di poco i 3.000. Non esiste insomma alcuna possibilità di salvare DB se si verificasse – è solo questione di tempo... – un crack anche piccolo nel settore “derivati”.

Ma le banche italiane, si dice ancora, sono diverse. Non hanno grandi esposizioni sui “derivati”, al massimo un (bel) po’ di “sofferenze”, ovvero di prestiti che fanno fatica a essere restituiti.

Vero. Ma le varie inchieste giudiziarie, che hanno mandato in galera o comunque fuori dai cda un bel po’ di banchieri italici, hanno messo in luce una fogna che la dice lunga sull’impossibilità per il capitale globale di prendere in seria considerazione “gli imprenditori” e i banchieri di questo paese.

Con Banca Etruria ed altri banchette provinciali si era avuto un robusto assaggio delle relazioni pericolose tra istituti di credito, imprenditori e politica (con la famiglia Boschi in pole position, come ricorderete). L’arresto, due giorni fa, di Vincenzo Consoli (nella foto), ex padre padrone di Veneto Banca, ma che continuava a “influenzarla” anche da defenestrato, ha messo in luce meccanismi assolutamente discrezionali e del tutto estranei a qualsiasi gestione capitalista di un’impresa qualsiasi. Figuriamoci di una banca.

Lasciamo per un attimo la parola a Ilaria Sacchettoni e Fiorenza Sarzanini, due compulsatrici professionali di atti giudiziari per conto del Corriere della Sera:
Una banca gestita come un feudo. Un amministratore delegato che, con la sua «presenza egemonica», accentrava «il potere decisionale e direttivo» nelle proprie mani ritagliandosi un ruolo «di assoluto predominio» rispetto al resto del board.

Veneto Banca era già compromessa nel 2013, due anni prima dell’immissione sul mercato di una nuova tranche di azioni dal valore drogato: fra le patologie diagnosticate dagli ispettori di Bankitalia spiccano – assieme all’«inefficacia dell’azione di controllo del collegio sindacale» – le carenze nelle procedure di concessione del credito «caratterizzato da elevata rischiosità nonché da eccessiva concentrazione dei finanziamenti in un unico settore quello edile/immobiliare». Vuol dire che i prestiti venivano concessi agli amici, soprattutto costruttori e immobiliaristi, senza troppe verifiche, spesso senza il minimo approfondimento. E quando arriva il fallimento, andava a fondo anche il valore patrimoniale dell’istituto.

Sono proprio i funzionari di Bankitalia a segnalare che tra i clienti «incagliati» c’è la «Pia Acqua Marcia» di Francesco Caltagirone Bellavista che, coinvolto nel crac della società titolare del porto turistico di Fiumicino, sarà arrestato a marzo 2013. Il suo gruppo, esposto con Veneto Banca per 50 milioni di euro, non ha però subito declassamenti: invece di inserirlo nell’elenco degli indesiderati il vertice dell’Istituto lo ha lasciato galleggiare fra i clienti affidabili. È la «strategia dell’opacità»: per evitare che emerga la realtà sulle maggiori perdite rispetto a quelle contabilizzate, i vertici trascurano anche di aggiornare il loro elenco dei clienti inaffidabili. Accade anche con l’immobiliarista Vittorio Casale e la sua «Operae srl» arrestato per il crac della «Hotel Dolomiti srl» titolare del famosissimo albergo Cortina D’Ampezzo esposto per ben 78 milioni di euro con l’istituto. Gli ispettori rilevano anche «il frequente rilascio di linee di credito» a mogli e figli dei consiglieri di amministrazione «talvolta in violazione del testo unico delle banche». Così al figlio di Luigi Terzoli viene concessa un’apertura di credito pari a un milione e 600mila euro. In realtà la lista dei beneficati è molto più ampia: Giuseppe Stefanel, Gianfranco Zoppas, Marco De Benedetti e Gianpiero Samorì ma anche Denis Verdini e Giancarlo Galan. Questo il passato ma il presente?

Secondo la gip Passamonti non c’è spazio per formulare un giudizio di discontinuità: «Anche la recente, mutata composizione del cda non consente di ritenere esclusi i ravvisati profili di rischiosità, soprattutto in ragione del sopravvenuto ingresso nell’organo deliberativo di alcune persone che risultano rappresentativi di due realtà associative hanno saldato gli interessi di svariati azionisti come Giovanni Schiavon e Matteo Cavalcante rispettivamente a capo di “Azionisti Veneto Banca” e “per Veneto Banca”».
Si noterà che le due giornaliste si dilungano molto su imprenditori di medio livello, come Vittorio Casale, mentre citano appena nomi sicuramente più allettanti come Verdini, Galan, De Benedetti, Stefanel, Zoppas, ecc. Ovvero l’elite dell’imprenditoria nazionale e un certo demi monde di faccendieri in forte odor di massoneria, “entrati in politica” con l’avvento di Berlusconi.

Ma soprattutto si deve notare la discrezionalità assoluta con cui le “erogazioni di prestiti” venivano – e sono – concesse dalle banche italiane. Per lo meno verso un certo tipo di “clientela vip”. Sappiamo bene quanto sia complicato, specie oggi, ottenere un prestito se sei un lavoratore dipendente. Non basta più una sola busta paga, e neanche due; pretendono “garanzie” patrimoniali, fidejussioni, garanti terzi, ecc. Questo se chiedi piccole cifre, per l’acquisto di casa o – sempre più spesso – per far fronte a malattie più o meno gravi.

Al contrario, se hai un nome ben inserito nella catena del “chi conta”, non ci sono problemi. Vuoi un milione, cinque, cinquanta? Si può fare, in qualche modo li recuperemo, la fantasia della finanza è immensa...

La banalità del male in abito gessato, tra uffici dorati e corridoi infiniti. Per gli squali di più grandi proporzioni, quelli che dominano le borse mondiali, questi sono giochetti da dilettanti, banchieri da strapazzo, mezzucci da “furbetti del quartierino”. E si regolano di conseguenza...

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