Il 5 maggio del 1818 nasceva Karl Marx, sono passati due secoli ed egli è oggi più attuale che mai. È sicuramente più attuale oggi che negli anni passati nei quali metà dell’Europa era governata da stati socialisti e l’altra metà dal compromesso tra capitale e lavoro, che aveva dato origine allo stato sociale. Il marxismo era la cultura egemone di un grande processo di emancipazione dei popoli in tutto il mondo, della liberazione dal colonialismo, della costruzione di società indipendenti ed in conflitto rispetto ai centri di potere del capitalismo mondiale.
Paradossalmente questa forza politica e culturale del marxismo ne trascurava il nocciolo fondamentale, quello dello sfruttamento del lavoro come obbligo e caratteristica fondamentale della società capitalista. Solo minoranze radicali, poi diventate molto influenti con il movimento mondiale del 1968, avevano concentrato il proprio interesse sull’alienazione e sulla continua espropriazione che per sua stessa natura il capitalismo produce verso il lavoro. Eppure anche chi più si concentrava sul nucleo del pensiero di Marx ne trascurava una parte altrettanto importante. Il capitalismo per sua natura ha bisogno di accrescere continuamente lo sfruttamento del lavoro e di sottometterlo sempre di più alla propria organizzazione produttiva, e ha la necessità di farlo su scala mondiale.
Ecco, questo punto che oggi noi chiamiamo globalizzazione, allora nel momento di massima egemonia culturale del marxismo, non veniva colto. Le ragioni erano ovviamente storico politiche, la rivoluzione sovietica e la sconfitta mondiale del fascismo avevano fermato l’espansione del capitalismo su scala mondiale. Così pure l’emancipazione del mondo coloniale. E poi le lotte operaie e sociali nei paesi più sviluppati avevano posto limiti, poi si disse lacci e lacciuoli, al potere del mercato capitalista. Quindi il Marx che descrive il meccanismo dello sfruttamento come una sorta di virus che non può che dilagare in tutto il mondo, bene quel Marx era considerato in fondo quasi come superato da una realtà ove invece quel virus pareva circoscritto, certo ancora forte e pericoloso, ma in via di circoscrizione e persino di debellamento.
“Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto essa si deve ficcare, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere relazioni.
Sfruttando il mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi.”
Con queste parole nel 1848, anche qui c’è un anniversario, nel Manifesto del Partito Comunista, Marx ed Engels annunciavano il mondo di oggi. 170 anni fa il capitalismo era insediato solo in poche regioni europee e degli Stati Uniti, la classe operaia era composta da poche decine di milioni di persone in una popolazione la cui grande maggioranza, anche in Europa, era dedita all'agricoltura. Eppure il genio di Marx e quello di Engels seppero cogliere dall’analisi minuziosa di queste parti, ancora relativamente piccole, delle società di allora il destino di tutto il pianeta: de te fabula narratur, aggiunsero poi a chi li accusava di esagerare con le loro visioni.
Fino agli anni '70 del secolo scorso il capitalismo sembrava in ritirata o comunque sotto crescente condizionamento, il mondo sembrava avviarsi verso un crescente imbrigliamento degli spiriti animali del mercato, lo faceva anche e soprattutto grazie a tutto ciò che il marxismo aveva promosso ed evocato, anche smentendo così le previsioni di Marx. Ma poi ci fu la reazione.
Nel 1973 il feroce colpo di stato in Cile attuato da Pinochet con il sostegno degli Stati Uniti, segnò un punto di svolta dei rapporti sociali ed economici mondiali. La dittatura cilena fu la prima cavia mondiale del ritorno al capitalismo spietato e selvaggio analizzato da Marx. Sul mare di sangue dei marxisti, proprio così venivano definiti i sostenitori del governo socialista di Allende, sullo sterminio del movimento operaio, fu costruito il primo esperimento liberista. Poi con Reagan negli Stati Uniti e con Thatcher in Gran Bretagna il capitalismo liberista dilagò nelle capitali del mondo occidentale e aggredì tutti i suoi avversari: le classi lavoratrici, i paesi a sistema socialista, quelli ex coloniali. Li aggredì e vinse. Contrariamente a quanto pareva cinquanta anni fa il capitalismo trionfante non era quello Keynesiano, quello del compromesso sociale, il neocapitalismo si diceva allora. No, era il veterocapitalismo più feroce quello che riprendeva il dominio del mondo.
“Del ritornar ti vanti e procedere il chiami”. Così Giacomo Leopardi ne La Ginestra accusa il suo secolo “superbo e sciocco” cioè la restaurazione del primo ottocento dopo la rivoluzione francese. Allora come oggi un gigantesco processo tecnologico si accompagnava ad una regressione profonda sul piano politico e culturale. La restaurazione capitalista che oggi subiamo ha imposto il ritorno al sistema economico sociale di sfruttamento globale analizzato e combattuto da Marx.
Questa restaurazione su scala mondiale del capitalismo ottocentesco non è avvenuta per opera delle forze spontanee del mercato, come invece vanta la sua propaganda. Sono stati l’azione della politica, l’intervento degli stati e le costruzioni istituzionali a liberare il capitalismo dai freni che gli erano stati imposti da cento anni di lotte e rivoluzioni. È l’uso dello stato a favore del mercato, teorizzato da Von Hayek, la privatizzazione del pubblico, che hanno ordinato il ritorno al capitalismo selvaggio e liberista, ciò che è stato chiamato ordoliberismo. E istituzioni burocratiche ed autoritarie come l'Unione Europea son servite a smantellare le conquiste sociali nei paesi ad essa aderenti. E sotto il comando UE la Grecia è diventata la nuova cavia per i più feroci esperimenti sociali.
Lo stato, le istituzioni e la politica hanno svolto il lavoro sporco della restaurazione capitalista, fornendo ad essa gli strumenti materiali e la copertura ideologica. Il pensiero unico liberista è diventato il senso comune delle società devastate dalla restaurazione dello sfruttamento più feroce. Ed i governi sono tornati ad essere quei “comitati di affari della borghesia” del Manifesto del 1848.
La dittatura del mercato e del profitto sembra aver trionfato. Non ci sono alternative, ci spiegano ogni giorno dai massmedia da quarant’anni. Ma al mondo che oggi venera il peggio della filosofia di Adam Smith bisogna ricordare che Karl Marx è venuto dopo il teorico supremo del libero mercato, e ne ha smontato pezzo per pezzo la costruzione ideologica e politica. Proprio la restaurazione del capitalismo di Smith rende oggi Marx più attuale che mai.
La sconfitta del socialismo, in tutte le sue versioni, nel secolo scorso è stata unicamente politica, è stata determinata dalla maggiore forza e violenza del capitalismo. È stata la lotta di classe mondiale a segnare la vittoria della borghesia. Per ora, perché la storia umana insegna che ciò che la politica, cioè l’agire umano, distrugge, la politica stessa può riedificare. Dopo decenni di restaurazione capitalista sono lo stesso perdurare ed aggravarsi della crisi mondiale che preparano il ritorno di una politica opposta a quella che ha sinora trionfato. Le cose possono e debbono cambiare perché le leggi del mercato nascondono in realtà rapporti tra persone, e quando le persone se ne rendono conto, beh allora il regime del profitto e dello sfruttamento svela tutta la sua mostruosità da abbattere.
Nella necessità del ritorno di una politica rivolta contro il dominio del mercato c’è tutta la forza e l’attualità di Marx. Buon compleanno a Marx, il suo pensiero è giovanissimo.
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