di Francisco Soriano
“La classe operaia non esiste più”: è questa la retorica e la menzogna che sembra aver ottenuto il risultato tanto agognato, cioè quello di pietrificare una falsità con la sua ossessiva ripetizione traducendola finalmente in una verità inconfutabile.
Intanto basterebbe farsi qualche domanda o interpellare qualche statistica, in merito al fenomeno delle “uccisioni sul lavoro” e non sempre e solo per sbandierare i numeri dei prodotti interni lordi o le indicizzazioni delle operazioni borsistiche per ostentare risultati o terrorizzare con paure indiscriminate le persone. Negli ultimi sei mesi sono morte 561 operaie e operai sul lavoro. Basta confermare questo dato tragico e disumano per sostenere che la classe operaia esiste ancora?
Molto spesso ci tocca assistere, con la ferma denuncia di questa mattanza, al fastidio e all’alzata di spalle dei sacerdoti del neoliberismo, di coloro i quali appartengono a questa florida categoria di mistificatori, per vocazione e per interesse: gli sfruttatori.
Gli sfruttatori, tanto per rimanere nell’ambito semantico del termine, fanno semplicemente parte della categoria di coloro che, per costruirsi condizioni di dominio, prestigio e beneficio, utilizzano altre persone al fine di vedere realizzati i propri sogni di benessere. Altre questioni e domande potrebbero porsi, con un minimo di emozione e di risentimento, laddove ci sentissimo in dovere di chiedere se la schiavitù sia stata abolita o, almeno, se qualcosa sia stato pensato affinché questa orribile pratica possa essere definitivamente debellata. Non abbiamo una risposta definitiva ma possiamo ritenere che la democrazia è un bell’evento, una tavola imbandita con il bianco candore di bei tessuti, magari con ricami in bella mostra, pietanze strepitose e posate messe al punto giusto, ma altro non è se non vuoto, ipocrisia, tradimento. È proprio tutto questo e anche molto peggio se, in queste condizioni, persone muoiono schiacciate o stritolate o asfissiate dalle macchine: anche queste ultime non esisterebbero più, così magistralmente sostituite da mezzi di automazione indolori e in armonia con il creato.
Così tanto per elencarne “qualcuno”, gli ultimi di una lunga lista delle ultime settimane di persone morte (il termine “morte” non è quello giusto e ha un significato fuorviante), di operaie e operai mentre svolgevano la loro attività lavorativa: Salvatore Rabbito, schiacciato da una ruspa in retromarcia mentre stava contribuendo alla realizzazione della “Tibre”, la bretella che collega Parma e La Spezia con l’autostrada del Brennero; Layla El Harim, tagliuzzata da una fustellatrice nell’azienda Bombonette di Camposanto, a Modena; Luana D’Orazio, uccisa all’orditoio schiacciata mentre era intenta a lavorare a Oste di Montemurlo, in provincia di Prato; Bujar Hysa, schiacciato da un coil d’acciaio, lavoratore per conto di una ditta esterna nello stabilimento Marcegaglia, a Ravenna; Alessandro Brigo e Andrea Lusini, morti per asfissia in una vasca di un’azienda che produce mangimi, la DI.GI.MA di Villanterio, in provincia di Pavia. Un uomo d 36 anni di cui non si conoscono ancora le generalità è deceduto dopo essere precipitato da un’altezza di 8 metri in un’azienda di San paolo d’Argon, in provincia di Bergamo, metri all’interno della Toora Casting di via Mazzini, che produce componenti d’alluminio per auto. A San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia, un operaio di 47 anni è morto dopo essere stato schiacciato da una lastra di calcestruzzo all’interno del cantiere in cui stava lavorando. Il diciottenne Simone Valli è precipitato ed è morto in un canalone, guardiacaccia neoassunto che risiedeva a Teglio con il padre Giacomo, operaio della Secam e sua madre Cecilia. I dati 2021 dell’Inail ci dicono che sono rimasti uccisi 185 persone sul lavoro in soli 3 mesi, una media di 2 morti al giorno. I numeri dei decessi di questi mesi raggiungono un altro primato: + 9,4% rispetto allo stesso periodo del 2020. Anche questi numeri sono drammaticamente reali.
La realtà ci consegna queste tristi cifre e impone di riflettere su una verità inconfutabile: le operaie e gli operai esistono. Inoltre se si guarda con onestà alla “proletarizzazione” di intere categorie di lavoratori, si percepisce quanto nel mondo del lavoro gli “operai” siano aumentati di numero: è così per gli insegnanti che percepiscono poco più di 1.300 euro al mese, o le centraliniste dei call-center, le badanti e gli operatori ecologici e sanitari, le ragazze e ragazzi in maggior numero pakistani, iraniani e bengalesi che, con i volti stravolti e digrignanti, si trascinano su biciclette al limite della sopportazione umana prodigandosi nella consegna di pasti a domicilio.
In Italia e in Occidente, fieri portatori dell’idea illuministica dell’uguaglianza e della solidarietà, tradita prestissimo sull’altare del suo vero messaggio che era quello di costruire un capitalismo e liberismo basato sullo sfruttamento, esistono forme di schiavitù raccapriccianti, ripugnanti e disumane. La schiavitù esiste, non bisognerà arrossire. Gli schiavi sono esseri umani, donne e uomini che in una orribile scala di valori di tipo economico e sociale risiedono nella parte più bassa e dimenticata della società: un esempio emblematico è rappresentato dai raccoglitori di pomodori. Il nome dell’ultimo ucciso da un lavoro disumano prodotto da un sistema schiavistico, sotto il sole pugliese, per più di dieci ore al giorno e per pochi euro all’ora, era Camara Fantamadi: è successo a Tuturano, in provincia di Brindisi. Camara è morto di stenti, stroncato da un infarto sulla sua bicicletta di ritorno a casa. Quest’uomo ha pagato profumatamente i suoi aguzzini in Libia che, dopo torture e prigionie, lo hanno condotto in una terra promessa dove di vero c’erano solo le sue braccia e il lavoro che lo hanno ucciso per pochi euro. Ci sono ancora i baroni, i latifondisti, i caporali e la schiavitù. Questa non è retorica perché i responsabili del suo decesso sono altri uomini che della sua morte non provano alcuna commiserazione. Questa è schiavitù, senza forme lessicali edulcorate e senza interpretazioni determinate dal misterioso disegno del destino.
Per la cronaca bisognerà ricordare l’evento lacrimale della ministra delle politiche agricole dello scorso governo “Renzi”, Teresa Bellanova, impegnata (così sostenne pubblicamente), in una estenuante trattativa con l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni, al fine di raggiungere un’intesa per una “sanatoria” dei migranti giunti in Italia soprattutto dal continente africano. Peccato che lo stesso ministro leghista ebbe a dire che: «Mi sono accorto che i passaggi fondamentali della nuova sanatoria (o come recita il decreto della “emersione dei rapporti di lavoro”) sono stati presi paro paro da un altro decreto, fatto nel 2009 dal governo Berlusconi: il DL 78/09 convertito nella legge 3 agosto 2009 n.102, meglio conosciuto come la “Bossi-Fini”». Bisogna pertanto ricordare che, in realtà, il decreto approvato fra accese polemiche nel 2009, durante il Governo Berlusconi, consentì a settecentomila irregolari di diventare successivamente cittadini italiani. È proprio su questo piano che Roberto Maroni ha enucleato i punti salienti dell’attuale decreto e li ha sovrapposti a quelli del suo governo di centro-destra. Sul punto riguardante la regolamentazione degli esclusi dalla sanatoria, Maroni ha sottolineato che la ministra Teresa Bellanova ha redatto una norma molto più restrittiva dei provvedimenti intrapresi negli anni del berlusconismo. Infatti, il dispositivo dell’esecutivo Berlusconi così recitava: «Non possono essere ammessi alla procedura di emersione i lavoratori extracomunitari nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di espulsione, che risultino segnalati o che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva per certi reati.» Nel Decreto Rilancio invece, ci faceva notare Maroni, si afferma che non possono essere ammessi alla sanatoria «i cittadini stranieri nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di espulsione, che risultino segnalati o che risultino condannati, anche con sentenza non definitiva per gli stessi reati». Il Decreto Rilancio aggiunge altri reati che il governo Berlusconi non aveva previsto: quelli inerenti gli stupefacenti. E, in più, inserisce anche un’altra clausola molto emblematica, che non è sfuggita allo stesso Maroni: «Sono esclusi i cittadini stranieri che comunque siano considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. […] Noi non ci avevamo pensato, la Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese sì. Brava Ministra, meriti un applauso! Come è possibile contestarlo, quindi? Semmai dovremmo chiedere le royalties sul testo». La sanatoria non ha funzionato perché Teresa Bellanova prevedeva nella sua legge di farsi pagare profumatamente la sanatoria in 500 euro agli sfruttati e non ai datori di lavoro. L’esclusione dalla sanatoria di quei cittadini stranieri che rappresenterebbero una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato denota anche il grado di cinismo nella ricerca di consensi e nella consapevolezza di alimentare paure xenofobe.
La schiavitù e i campi dove vengono ospitati gli schiavi esistono. Le città invisibili degli schiavi del nuovo secolo, almeno in Italia, sono zone che appaiono sospese dal resto del mondo in cui le abitazioni vengono costruite con pareti di lamiera, cartoni e materiali di risulta come lo è stato per anni in quell’inferno che viene chiamato senza mezzi termini il “Grande Ghetto dei campi di San Severo, Rignano Garganico e Foggia” (il comune di quest’ultima città è stato commissariato per mafia): immagine di uno schiavismo eufemisticamente definito come nuovo, ma in realtà per nulla mutato nel tempo. Fra smantellamenti e rinascite, i ghetti si rimodulano secondo le necessità dei padroni, più che città fantasma (anche questo ci pare un eufemismo), sono realtà e spazi al limite dell’umana sopportabilità in termini di vivibilità. In questi luoghi della sofferenza, si guadagnano 3,50 euro a cassonetto, si pagano 40 euro per dormire in una baracca per l’intera stagione, l’elettricità è solo quella prodotta dai generatori alimentati a benzina e la ricarica della batteria del cellulare costa 50 centesimi al bar della favela. Lo spaccio e la prostituzione sono chiaramente abbastanza distribuiti nei campi dove la sofferenza umana viene ben occultata anche dai media. L’acqua potabile è un lusso, perché quella non potabile giunge direttamente dall’acquedotto per lavare i piatti e farsi la doccia, mentre l’acqua che viene portata in grosse cisterne dalla Regione sembra essere più sicura: tuttavia nel periodo estivo è sempre insufficiente al fabbisogno di tutti, tanto che bisogna riscaldarla in grossi bidoni per evitare il propagarsi di malattie. Cinquanta centesimi vengono pagati per un secchio d’acqua non potabile.
Alla luce di quanto scritto è chiaro che le lacrime amare, da quei giorni a oggi, le hanno versate i migranti, come era previsto e come era stato smascherato: l’articolo 110 bis del Decreto Rilancio, che vorrebbe consentire l’emersione dei rapporti di lavoro di sfruttati e clandestini, è l’ennesimo tentativo di far passare una sanatoria, strumentale al mero profitto, come un atto di grande valore etico e politico. Lo stesso governo Renzi fu, in seguito, protagonista di un altro spettacolare atto di mistificazione: per cancellare ancora le “fastidiose tutele” dello Statuto dei Lavoratori si inventò le “tutele crescenti”, che in un’ottica di liberismo come quello attuale è semplicemente una tragica presa in giro. Su quanto fatto dai governi per lo smantellamento dei diritti dei lavoratori sarebbero necessarie molte pagine dolorosissime e drammatiche.
In Italia la classe operaia esiste. Esistono lavoratrici e lavoratori che muoiono sul lavoro. Esiste una forma di schiavismo molto funzionale al sistema economico che si adotta: è composta da donne e uomini, in maggior numero migranti stranieri che non sono sedentari e si spostano sulle rotte del fabbisogno degli sfruttatori, dalla Sicilia, alla Lombardia, passando per la Campania fino alle strepitose spiagge delle nostre vacanze nel Nord opulento e rispettoso delle regole. Una vergogna e una disumanità.
Allora diamo il significato reale alle parole, alle persone, alle cose, ai fatti e agli atti. Sfruttare un uomo è eticamente ripugnante, lasciarlo morire da sfruttato è un crimine senza appello. Si chiama omicidio.
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