“La resistenza è sempre possibile.
Ma dobbiamo impegnarci nella resistenza sviluppando prima di tutto
l’idea di una cultura tecnologica. Nonostante tutto, ai nostri giorni,
quest’idea è enormemente sottosviluppata. Per esempio abbiamo
sviluppato una cultura artistica e letteraria. Ma gli ideali di una
cultura tecnologica rimangono sottosviluppati e, per questo motivo, al
di fuori della cultura popolare e degli ideali pratici di democrazia.
Ecco perché la società come insieme non ha controllo sugli sviluppi
tecnologici. E questo rappresenta una delle più gravi minacce alla
democrazia nel prossimo futuro”. Paul Virilio (Intervistato da John Armitage in “The Kosovo War Took Place in Orbital Space” in C Theory, 18, 2000)
1.
Parlare
delle Valsusa citando un passaggio di questa intervista a Virilio di
John Armitage, che ha fa parte di una lunga serie di colloqui tra i due
autori praticamente sconosciuta in Italia, può sembrare un giochetto
estetico quanto il curioso titolo preso da questo colloquio del 2000.
Che rifletteva l’idea che uno dei più sanguinosi conflitti etnici in
Europa dalla fine della guerra fredda, quello del Kosovo, trovasse un
piano strategico di espressione nello spazio orbitale della
comunicazione via satellite delle televisioni generaliste e non solo.
Alla fine, nonostante il ‘900 avesse già dato ampiamente notizia del
fenomeno, in anni più recenti, dall’inizio del secolo, ci si è
giocoforza attestati sulla convinzione che i conflitti si
vincono, e si perdono, su due piani solidamente intrecciati: il terreno
fisico di conflitto e lo spazio digitale comunicativo. Non
solo, quest’ultimo spazio è decisivo, dal punto di vista politico, per
ampliare o ridurre la portata delle vittorie come delle sconfitte.
Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Grecia, le stesse rivolte inglesi sono
lezioni che ruotano attorno a questo insegnamento. Se infatti vogliamo
applicare queste lezioni non alla guerra ma ai conflitti sociali la
vicenda della disconnessione del risultato dei referendum del 2011
dallo spazio mediale ufficiale è paradigmatica. L’esito di una
battaglia, per quanto sia senza morti e feriti, se disconnesso
velocemente dallo spazio mediale ufficiale può prendere direzioni di
significato persino opposte rispetto al suo risultato originario.
L’effetto giuridico e politico, che questo risultato originario aveva
prodotto sul campo, finirà quindi prima per ridursi poi per
dissolversi.
E qui Paul Virilio, che ha dedicato una vita al tema del rapporto tra accelerazione dei conflitti e sviluppo tecnologico, non a caso non parla tanto di dimensione mediale ma di necessità, per salvaguardare la democrazia, di saldatura tra cultura tecnologica e cultura popolare. Perché ai movimenti, per governare l’intreccio indissolubile tra terreno fisico e spazio digitale di comunicazione che genera l’esito dei conflitti, non basta l’alfabetizzazione di massa ma necessitano altri passaggi. Necessari quanto l’alfabetizzazione lo era per le prime organizzazioni operaie dell’ottocento e del primo novecento che infatti si auto-organizzarono per spingersi ad un livello di acculturazione che la scuola liberale non rendeva possibile. Oggi i movimenti che non fondono consapevolmente, e con il senso della strategia politica, cultura tecnologica e cultura popolare non vanno lontano. Intendiamoci: nessuno dice a nessun altro di fare quello che fa già (twitter, clouds, youtube, blog, list etc.) ma è auspicabile, oltre che a creare un perimetro di comunicazione e sapere nel proprio campo di connessione, saper neutralizzare le armi pesanti usate nel campo avversario.
E qui Paul Virilio, che ha dedicato una vita al tema del rapporto tra accelerazione dei conflitti e sviluppo tecnologico, non a caso non parla tanto di dimensione mediale ma di necessità, per salvaguardare la democrazia, di saldatura tra cultura tecnologica e cultura popolare. Perché ai movimenti, per governare l’intreccio indissolubile tra terreno fisico e spazio digitale di comunicazione che genera l’esito dei conflitti, non basta l’alfabetizzazione di massa ma necessitano altri passaggi. Necessari quanto l’alfabetizzazione lo era per le prime organizzazioni operaie dell’ottocento e del primo novecento che infatti si auto-organizzarono per spingersi ad un livello di acculturazione che la scuola liberale non rendeva possibile. Oggi i movimenti che non fondono consapevolmente, e con il senso della strategia politica, cultura tecnologica e cultura popolare non vanno lontano. Intendiamoci: nessuno dice a nessun altro di fare quello che fa già (twitter, clouds, youtube, blog, list etc.) ma è auspicabile, oltre che a creare un perimetro di comunicazione e sapere nel proprio campo di connessione, saper neutralizzare le armi pesanti usate nel campo avversario.
2.
A questo punto della vicenda Tav, prima di tutto è
necessario rendersi conto che c’è in atto una consapevole guerra di
propaganda che si è sovrapposta al conflitto sul territorio della
Valsusa. E’ condotta dal mainstream e può determinare il corso
di questo conflitto e persino rovesciare le sconfitte sul campo in
vittorie di fatto.
Su quanto sta avvenendo sul territorio davvero poco da eccepire. Il movimento della Valsusa ha saputo evitare il feticcio della violenza come quello della non violenza saldando territorio a solidarietà antagonista. Immaginario valligiano e immaginario metropolitano. La stessa produzione scientifica spontanea, quella che sposta il giudizio collettivo su un’opera complessa, ha letteralmente azzerato quella a favore sulla Tav. A parte chi è direttamente pagato per sostenere la Tav (giornalisti, consulenti, ceto politico) è praticamente impossibile trovare in rete un sostegno spontaneo, certificato dal basso alle ragioni di questa grande opera. E’ stato operato così un preziosissimo, quanto strategico, lavoro di confutazione scientifica delle ragioni ufficiali di un progetto che dimostra quanto l’intelligenza collettiva, che si produce in rete e nei nodi fisici di connessione sociale, operi in modo decisivo, quanto troppo spesso sottovalutato, per la dinamicità e l’efficacia dei movimenti.
Anche la controinformazione ha lavorato bene, connettendo sia socialmente che sul piano della produzione di argomentazioni etiche spendibili su tutti i piani del conflitto.
Il punto nodale sta nel modo con il quale si riproduce lo spazio digitale comunicativo delle istituzioni e del mainstream. Quello, situazione sul terreno a parte, è l’elemento di forza sul quale la democrazia coloniale delle grandi opere e del project financing punta per arrivare ad imporre un inutile mostro tecnologico ad una intera popolazione che non ne vuole giustamente sapere. E, di conseguenza, per ribadire il primato della democrazia del cemento e delle operazioni ad alta complessità finanziaria per un paese che ha bisogno di un modello di sviluppo radicalmente opposto. Se sul terreno il consenso non c’è le istituzioni evocano il consenso generale, anzi de “la Nazione” come scrive la ministro Cancellieri, per costruire il campo di forza comunicativo per operare poi militarmente.
E qui, quali sono i punti di debolezza di questo spazio comunicativo digitale delle istituzioni?
Per capirlo non ci si deve lasciar prendere dalle emozioni. Copertine come quelle del Giornale o dichiarazioni come quelle della Finocchiaro del PD, con la calorosa lode ai carabinieri, lasciano il tempo che trovano. Perché convincono la fascia di opinione pubblica minoritaria che è già convinta. Quella per cui chi protesta è un disperato oppure che, se si muovono i carabinieri, l’Arma ha sempre ragione.
Per portare fino in fondo l’operazione Tav lo spazio comunicativo digitale delle istituzioni ha quindi bisogno connettere una porzione di società più ampia. Già, ma come funziona lo spazio comunicativo digitale delle istituzioni?
Le istituzioni, ancor più delle imprese, sono infatti dispositivi che funzionano in modo autoreferenziale. Nelle società neoliberali si sono sganciate da interessi collettivi che non siano quelli dell’impresa. In poche parole, le istituzioni funzionano perché hanno blindato gli interessi che emergono dal basso, che non sarebbero in grado di soddisfare, e hanno imparato a specializzarsi in questo modo di funzionamento completamente autoreferenziale lungo tutto il ventennio neoliberista. Si sono sganciate dal governo dei territori tanto che partiti, sindacati, associazionismo paraistituzionale si sono praticamente dissolti o comunque ridisposti in modo da rendere inutile l‘espressione “governo diretto del territorio“. Siccome governano su una società hanno però bisogno di un dispositivo che dia loro comunque l’impressione di governarla. Che sia indice di un governo effettivo, o comunque efficace, della connessione sociale.
Il mainstream generalista (tv, stampa, siti di entrambi gli old media), in forte ristrutturazione tecnologica, è questo dispositivo. Se le istituzioni hanno l’impressione che questo dispositivo funziona, crea consenso, vanno avanti su qualsiasi tema come carri armati. Perché è il dispositivo sovrano di governo degli ultimi trent’anni: crea consenso a favore delle istituzioni oppure getta nella spirale del silenzio chi è contrario spezzando la sua capacità relazionale, rendendolo minoritario. Si tratta di un piano di rappresentazione mediale che mostra tutta la sua concreta efficacia politica.
Su quanto sta avvenendo sul territorio davvero poco da eccepire. Il movimento della Valsusa ha saputo evitare il feticcio della violenza come quello della non violenza saldando territorio a solidarietà antagonista. Immaginario valligiano e immaginario metropolitano. La stessa produzione scientifica spontanea, quella che sposta il giudizio collettivo su un’opera complessa, ha letteralmente azzerato quella a favore sulla Tav. A parte chi è direttamente pagato per sostenere la Tav (giornalisti, consulenti, ceto politico) è praticamente impossibile trovare in rete un sostegno spontaneo, certificato dal basso alle ragioni di questa grande opera. E’ stato operato così un preziosissimo, quanto strategico, lavoro di confutazione scientifica delle ragioni ufficiali di un progetto che dimostra quanto l’intelligenza collettiva, che si produce in rete e nei nodi fisici di connessione sociale, operi in modo decisivo, quanto troppo spesso sottovalutato, per la dinamicità e l’efficacia dei movimenti.
Anche la controinformazione ha lavorato bene, connettendo sia socialmente che sul piano della produzione di argomentazioni etiche spendibili su tutti i piani del conflitto.
Il punto nodale sta nel modo con il quale si riproduce lo spazio digitale comunicativo delle istituzioni e del mainstream. Quello, situazione sul terreno a parte, è l’elemento di forza sul quale la democrazia coloniale delle grandi opere e del project financing punta per arrivare ad imporre un inutile mostro tecnologico ad una intera popolazione che non ne vuole giustamente sapere. E, di conseguenza, per ribadire il primato della democrazia del cemento e delle operazioni ad alta complessità finanziaria per un paese che ha bisogno di un modello di sviluppo radicalmente opposto. Se sul terreno il consenso non c’è le istituzioni evocano il consenso generale, anzi de “la Nazione” come scrive la ministro Cancellieri, per costruire il campo di forza comunicativo per operare poi militarmente.
E qui, quali sono i punti di debolezza di questo spazio comunicativo digitale delle istituzioni?
Per capirlo non ci si deve lasciar prendere dalle emozioni. Copertine come quelle del Giornale o dichiarazioni come quelle della Finocchiaro del PD, con la calorosa lode ai carabinieri, lasciano il tempo che trovano. Perché convincono la fascia di opinione pubblica minoritaria che è già convinta. Quella per cui chi protesta è un disperato oppure che, se si muovono i carabinieri, l’Arma ha sempre ragione.
Per portare fino in fondo l’operazione Tav lo spazio comunicativo digitale delle istituzioni ha quindi bisogno connettere una porzione di società più ampia. Già, ma come funziona lo spazio comunicativo digitale delle istituzioni?
Le istituzioni, ancor più delle imprese, sono infatti dispositivi che funzionano in modo autoreferenziale. Nelle società neoliberali si sono sganciate da interessi collettivi che non siano quelli dell’impresa. In poche parole, le istituzioni funzionano perché hanno blindato gli interessi che emergono dal basso, che non sarebbero in grado di soddisfare, e hanno imparato a specializzarsi in questo modo di funzionamento completamente autoreferenziale lungo tutto il ventennio neoliberista. Si sono sganciate dal governo dei territori tanto che partiti, sindacati, associazionismo paraistituzionale si sono praticamente dissolti o comunque ridisposti in modo da rendere inutile l‘espressione “governo diretto del territorio“. Siccome governano su una società hanno però bisogno di un dispositivo che dia loro comunque l’impressione di governarla. Che sia indice di un governo effettivo, o comunque efficace, della connessione sociale.
Il mainstream generalista (tv, stampa, siti di entrambi gli old media), in forte ristrutturazione tecnologica, è questo dispositivo. Se le istituzioni hanno l’impressione che questo dispositivo funziona, crea consenso, vanno avanti su qualsiasi tema come carri armati. Perché è il dispositivo sovrano di governo degli ultimi trent’anni: crea consenso a favore delle istituzioni oppure getta nella spirale del silenzio chi è contrario spezzando la sua capacità relazionale, rendendolo minoritario. Si tratta di un piano di rappresentazione mediale che mostra tutta la sua concreta efficacia politica.
3.
Come
dicevamo, per capire il punto sensibile dello spazio comunicativo
digitale delle istituzioni sulla Valsusa è inutile soffermarsi sul
Giornale o sulla Finocchiaro, uniti in un livello di disperazione
esistenziale perfettamente bipartisan.
Il punto, nello spazio comunicativo digitale delle istituzioni, su cui il conflitto si vince o si perde è quello dell’opinione pubblica di centrosinistra. Perché è il terreno più mobile, dove il settore di opinione pubblica decisivo, per completare la rappresentazione della legittimazione istituzionale, può ritirare il consenso all’operazione oppure far emergere la propria protesta. E se quel terreno non tiene (non dimentichiamo che per i partiti l’opinione pubblica si misura in voti e per i media in audience e fatturato pubblicitario, tutta roba concreta) le istituzioni non sono in grado di attivare quel dispositivo autoreferenziale, che genera l’impressione del consenso, che permette loro di funzionare come carri armati. Invece che rappresentare i notav come spaccati le istituzioni finirebbero per rappresentare, e in modo spettacolare, le proprie spaccature. Cessando di funzionare come dispositivo istituzionale, paralizzandosi nella capacità di azione.
Per dare a sé stessi l’impressione di controllo dell’opinione pubblica di centrosinistra le istituzioni devono operare quindi su due distinte, e correlate, operazioni di propaganda. La prima è dimostrare la correttezza di procedure dell’operazione Tav, oltre alla necessità economica, la seconda è di far emergere dagli anti Tav quante più figure spaventose possibili.
Nella suo romanticismo culturale il movimento pacifista del passato il problema l’aveva intuito. Ma risolvendolo dalla parte sbagliata. Ovvero facendosi quanto meno spaventoso possibile e quanto più compatibile con i desideri dei media. Ma quando questo accade è il momento in cui non solo sei governabile ma anche quello in cui la tua visibilità è decisa dalle redazioni. Non puoi essere altro, perché temi i media, e così quando sei rappresentabile secondo i loro canoni sono i media che decidono quando e se vai in onda. Un processo di metabolizzazione visto con i pacifisti degli anni ’80 e ’90, con i noglobal, con i “rappresentanti” dell’Onda che vanno da Napolitano, e in miriadi di altri esempi.
Il punto, nello spazio comunicativo digitale delle istituzioni, su cui il conflitto si vince o si perde è quello dell’opinione pubblica di centrosinistra. Perché è il terreno più mobile, dove il settore di opinione pubblica decisivo, per completare la rappresentazione della legittimazione istituzionale, può ritirare il consenso all’operazione oppure far emergere la propria protesta. E se quel terreno non tiene (non dimentichiamo che per i partiti l’opinione pubblica si misura in voti e per i media in audience e fatturato pubblicitario, tutta roba concreta) le istituzioni non sono in grado di attivare quel dispositivo autoreferenziale, che genera l’impressione del consenso, che permette loro di funzionare come carri armati. Invece che rappresentare i notav come spaccati le istituzioni finirebbero per rappresentare, e in modo spettacolare, le proprie spaccature. Cessando di funzionare come dispositivo istituzionale, paralizzandosi nella capacità di azione.
Per dare a sé stessi l’impressione di controllo dell’opinione pubblica di centrosinistra le istituzioni devono operare quindi su due distinte, e correlate, operazioni di propaganda. La prima è dimostrare la correttezza di procedure dell’operazione Tav, oltre alla necessità economica, la seconda è di far emergere dagli anti Tav quante più figure spaventose possibili.
Nella suo romanticismo culturale il movimento pacifista del passato il problema l’aveva intuito. Ma risolvendolo dalla parte sbagliata. Ovvero facendosi quanto meno spaventoso possibile e quanto più compatibile con i desideri dei media. Ma quando questo accade è il momento in cui non solo sei governabile ma anche quello in cui la tua visibilità è decisa dalle redazioni. Non puoi essere altro, perché temi i media, e così quando sei rappresentabile secondo i loro canoni sono i media che decidono quando e se vai in onda. Un processo di metabolizzazione visto con i pacifisti degli anni ’80 e ’90, con i noglobal, con i “rappresentanti” dell’Onda che vanno da Napolitano, e in miriadi di altri esempi.
Con l’attuale
scontro sul terreno, ma anche grazie alla delegittimazione scientifica
dal basso della tav, è quindi chiaro che il mainstream ha una sola
carta in mano. Quella di produrre quante figure, e storie, più
spaventose e disperate possibili dal movimento notav.
Una guerra di propaganda è una guerra di narrazioni, non dimentichiamolo. Per cui, qualsiasi cosa accada, scatta la costruzione della mitologia negativa fatta per delegittimare l‘avversario e renderlo isolato e quindi silenzioso. Per cui qualsiasi evento accada, anche di segno opposto, secondo il mainstream non può che fare il gioco dei “duri”, delle “frange estreme” di un movimento rappresentato sempre in procinto di “spaccarsi”. Si vuol creare un effetto scenografico tale, in questa guerra di propaganda, per cui l’opinione pubblica di centrosinistra si ritrae inorridita perché non vede una valle compatta, desiderosa di vivere, contro un mostro tecnologico ma un volteggiare di “falchi”, di “duri”, di “frange estreme”. Siccome questa è l’unica vera carta in mano che il mainstream possiede, reiterare questa rappresentazione per dare l’impressione a sé stesso che sta funzionando, la si gioca qualsiasi cosa succeda.
La drammatica vicenda di Abbà è paradigmatica di questa paranoia, risultato dell’autoreferenzialità insistita, nel rappresentare la questione Valsusa facendo uscire, come da un film dell’orrore per adolescenti frequentatori di multisale, sempre personaggi e comportamenti rappresentati in modo ansiogeno come “falchi”, “frange estreme” e “duri”.
Abbà non solo non ha aggredito nessuno, al contrario, ma è vittima del comportamento delle forze dell’ordine. Eppure, per coprire il rilievo della vicenda, nel mainstream si è scatenata un’ondata di opinioni e commenti sul “questa vicenda può favorire i duri”, “le frange estreme ne trarranno giovamento” arrivando ad rovesciamento della realtà, quasi come Abbà avesse aggredito qualcuno, in un dispiegamento di media corale e degno di altro genere di regimi. E si era all’indomani di una grande manifestazione pacifica di una intera valle. E’ evidente che le istituzioni più tengono questo piano di rappresentazione più sentono, o credono, di governare la situazione. Perché rappresentano quell’astrazione chiamata opinione pubblica di centrosinistra come sotto controllo, inorridita dai “falchi” come un adolescente al cinema che si inquieta di fronte agli effetti speciali di un horror per bassa fascia d‘ètà. E se tiene questa rappresentazione, a parte la situazione sul campo, la Tav passa. Non a caso infatti la ministro degli interni, dopo la vicenda Abbà, prova a costruire la rappresentazione della superiorità morale delle istituzioni offrendo il simulacro di un dialogo. Rappresentando il volteggiare dei falchi nel campo avverso assieme all’offerta di dialogo cerca di completare la costruzione, dopo quella della mitologia negativa, della superiorità morale delle istituzioni. Ed è questa tutta la dimensione da decostruire, come è stato fatto dal basso per la legittimazione scientifica del progetto Tav.
Una guerra di propaganda è una guerra di narrazioni, non dimentichiamolo. Per cui, qualsiasi cosa accada, scatta la costruzione della mitologia negativa fatta per delegittimare l‘avversario e renderlo isolato e quindi silenzioso. Per cui qualsiasi evento accada, anche di segno opposto, secondo il mainstream non può che fare il gioco dei “duri”, delle “frange estreme” di un movimento rappresentato sempre in procinto di “spaccarsi”. Si vuol creare un effetto scenografico tale, in questa guerra di propaganda, per cui l’opinione pubblica di centrosinistra si ritrae inorridita perché non vede una valle compatta, desiderosa di vivere, contro un mostro tecnologico ma un volteggiare di “falchi”, di “duri”, di “frange estreme”. Siccome questa è l’unica vera carta in mano che il mainstream possiede, reiterare questa rappresentazione per dare l’impressione a sé stesso che sta funzionando, la si gioca qualsiasi cosa succeda.
La drammatica vicenda di Abbà è paradigmatica di questa paranoia, risultato dell’autoreferenzialità insistita, nel rappresentare la questione Valsusa facendo uscire, come da un film dell’orrore per adolescenti frequentatori di multisale, sempre personaggi e comportamenti rappresentati in modo ansiogeno come “falchi”, “frange estreme” e “duri”.
Abbà non solo non ha aggredito nessuno, al contrario, ma è vittima del comportamento delle forze dell’ordine. Eppure, per coprire il rilievo della vicenda, nel mainstream si è scatenata un’ondata di opinioni e commenti sul “questa vicenda può favorire i duri”, “le frange estreme ne trarranno giovamento” arrivando ad rovesciamento della realtà, quasi come Abbà avesse aggredito qualcuno, in un dispiegamento di media corale e degno di altro genere di regimi. E si era all’indomani di una grande manifestazione pacifica di una intera valle. E’ evidente che le istituzioni più tengono questo piano di rappresentazione più sentono, o credono, di governare la situazione. Perché rappresentano quell’astrazione chiamata opinione pubblica di centrosinistra come sotto controllo, inorridita dai “falchi” come un adolescente al cinema che si inquieta di fronte agli effetti speciali di un horror per bassa fascia d‘ètà. E se tiene questa rappresentazione, a parte la situazione sul campo, la Tav passa. Non a caso infatti la ministro degli interni, dopo la vicenda Abbà, prova a costruire la rappresentazione della superiorità morale delle istituzioni offrendo il simulacro di un dialogo. Rappresentando il volteggiare dei falchi nel campo avverso assieme all’offerta di dialogo cerca di completare la costruzione, dopo quella della mitologia negativa, della superiorità morale delle istituzioni. Ed è questa tutta la dimensione da decostruire, come è stato fatto dal basso per la legittimazione scientifica del progetto Tav.
4.
Ma
che qualcosa non funzioni affatto in questo campo di forza dello
spazio comunicativo digitale istituzionale ce lo mostrano le stesse
parole di Ezio Mauro, direttore di Repubblica.Ezio Mauro chiede che i partiti entrino in campo nel processo di rilegittimazione della Tav. E’ evidente che, con i sensori che ha (studio dell’audience) ha capito che questa strategia della costruzione di una mitologia negativa sulla Tav ha grossi difetti. E chiede a supporto la messa in campo di eserciti, i partiti, che non esistono più.
Questo fatto è un grosso elemento di debolezza sul punto più sensibile, dare a sé stessi l’impressione di governare l’opinione pubblica di centrosinistra sulla Tav, per tenere unito il campo di forza comunicativo che legittima quest’operazione di democrazia del cemento e del project financing.
Come dicevamo, sia sul terreno che nella delegittimazione scientifica dal basso della Tav il movimento ha lavorato bene. Per chiudere la partita a favore non solo di una valle ma delle stesse democrazia e libertà in questo paese, nonché di un vero e sano modello di sviluppo, si tratta di quindi unire il terreno fisico di conflitto a quello dello spazio digitale della comunicazione. Allora puoi combattere ad armi pari e persino vincere. Come si capisce non è solo problema di controinformazione in rete, che è un processo maturo da anni. Ma proprio di saper agire, su tutti i piani di realtà nessuno escluso, in modo da rendere non rappresentabile il tipo di spettacolo che, secondo le istituzioni e il mainstream, rende legittima e praticabile l’operazione Tav.
Perché quando Ezio Mauro confezionerà un giornale che saprà che perderà lettori e credibilità (nonché vendite e pubblicità) grazie alla posizione protav la democrazia coloniale neoliberista avrà perso. Quando il tg3 piemontese e nazionale si sentiranno in difficoltà, e vedranno l’audience calare (e la pubblicità), perché sulla tav fanno solo ridere le istituzioni neoliberiste, del cemento e delle operazioni finanziarie avranno perso.
Quando la Stampa sentirà che avrà perso terreno, lettori e credibilità, Passera se ne accorgerà. Perché c’è un piano, molto discreto, in cui le redazioni dei grandi media e il ceto politico istituzionale si parlano. E’ lì che avviene la misurazione, discreta e poco filtrata all’esterno, del successo o meno di campagne di costruzione del consenso. Fondamentali per il funzionamento autoreferenziale delle istituzioni.
Se la dimensione del terreno fisico saprà quindi saldarsi in questo modo con lo spazio della comunicazione digitale, allora la vicenda Tav si concluderà positivamente. Fissando uno spartiacque storico non solo per la vita di una valle ma anche per la democrazia reale di questo paese e per la costruzione di un modello di sviluppo che rompa con cemento, grandi opere e primato delle corporation. E anche per saldatura tra cultura tecnologica e cultura popolare, essenziale per il funzionamento delle democrazie reali del XXI quanto l’alfabetizzazione è stata necessaria, a partire dall’Ottocento, per l’imporsi del movimento operaio e dei diritti fondamentali di libertà e cittadinanza.
Fonte.
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