Rieccoci. Puntuale, anche
a questo giro, è arrivata l'alzata d'ingegno del neo presidente del
Consiglio dei Ministri, capo del Governo, il quale, a breve distanza
dal suo insediamento, come moltissimi suoi predecessori, ha espresso
la necessità di cambiare la Costituzione e lo ha fatto annunciando
la sua preferenza per un regime presidenzialista.
E puntuale, anche questa
volta, torno a scrivere di riforme costituzionali e ad inquadrarle
nel contesto giuridico e politico in cui è obbligatorio, per onestà intellettuale, collocarle.
Quando si parla di
riforme della Costituzione, si parla allo stesso tempo di politica e
di diritto nel senso che, diversamente da molte altre questioni, per
comprendere veramente questo tema, bisogna essere capaci di non
perdere il contatto con nessuno di questi due aspetti.
La Costituzione della
Repubblica è, infatti, allo stesso tempo una legge (la grundnorm
dalla quale discendono tutte le leggi) e l'espressione di un patto
sociale, della specifica volontà di un popolo di dotarsi di principi
e di regole istituzionali precise.
La Costituzione non è
stata scritta e pensata dal parlamento ma dall'assemblea costituente,
organismo creatosi appositamente, su mandato del popolo italiano, per
scrivere il patto, l'accordo che disciplinasse la convivenza
politica, economica e sociale della nuova repubblica. I soggetti che
componevano l'assemblea costituente si sono presentati agli elettori
con idee precise sui contenuti da inserire nella Costituzione
esprimendo diverse sensibilità su temi etici, politici,
sociali, per dare modo agli elettori di selezionare, ovviamente su
base proporzionale, i propri rappresentanti in quella specifica
assemblea affidando loro quegli specifici compiti.
In quell'assemblea sono
stati eletti, tra gli altri, Piero Calamandrei, Palmiro Tagliatti,
Umberto Terracini, Nilde Iotti, Ilio Barontini, Giuseppe Di Vittorio,
Giovanni Gronchi, Aldo Moro, Oscar Luigi Scalfaro, Alcide De Gasperi,
Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Benedetto Croce, Luigi Einaudi,
Pietro Nenni, Sandro Pertini, Giuseppe Saragat, Ignazio Silone, Ugo
La Malfa, Arturo Labriola.
Il 2 giugno 1946, per
entrare nel dettaglio, si celebrarono, dopo oltre 20 anni di orrore
fascista, libere elezioni. Per la prima volta ebbero diritto di voto
tutti i cittadini italiani maggiorenni (d'età superiore a 21 anni)
sia maschi che femmine. Si faccia particolare attenzione alla
circostanza che in quella tornata elettorale, materialmente, vennero
consegnate agli elettori che si presentavano alle urne, due schede:
la prima scheda chiedeva di scegliere fra Monarchia e Repubblica; la
seconda scheda (vedi foto) era per l'elezione dei deputati dell'Assemblea
Costituente, a cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la
nuova carta costituzionale, come stabilito con il Decreto Legislativo
Luogotenenziale n. 98 del 16 marzo 1946. C'era stata, dunque, una
previsione specifica che aveva chiaramente indetto l'elezione di
un'assemblea ad hoc per la redazione della Carta Costituzionale. I
cittadini che si recavano alle urne erano perfettamente consapevoli
che il mandato che conferivano ai rappresentanti in quell'assemblea
era un mandato a pensare, redigere e votare il nuovo patto sociale
del paese, a pensare i principi, le libertà, i diritti e la forma di governo del nuovo paese.
Il Decreto Legislativo
Luogotenenziale n. 98/1946, ovviamente, stabiliva che l'Assemblea
Costituente, che aveva innanzitutto il compito di redigere la nuova
costituzione, avrebbe avuto anche anche altri tre compiti: votare la
fiducia al governo, approvare le leggi di bilancio e ratificare i
trattati internazionali. Anche.
A me pare persino banale,
a questo punto, dire che i padri costituenti hanno scritto la nostra
carta fondamentale elencando i principi e costruendo un'architettura
istituzionale nel pieno assoluto mandato conferito loro dai cittadini
italiani i quali avevano come prima e vitale necessità quella di
avere la certezza assoluta che mai più nella loro vita avrebbero
visto l'orrore, la distruzione, la morte, la disperazione che la
dittatura - appena sconfitta dal coraggio dei partigiani (molti dei
quali membri della stessa Assemblea) con la collaborazione degli
alleati - aveva determinato. La Costituzione è prima di tutto,
infatti, una cura efficace e duratura contro ogni dittatura.
Ai principi fondamentali,
tra cui primeggia la fondazione della repubblica sul lavoro, spicca
il richiamo all'uguaglianza (art. 3), brilla il ripudio della guerra
e impera la sovranità affidata al popolo e al rispetto della stessa
Costituzione, fa seguito l'elenco esaustivo delle libertà e dei
diritti e, subito dopo, la descrizione del funzionamento della nostra
democrazia. Alla fine, poi, viene stabilito il meccanismo con il
quale possono essere apportate delle modifiche alla Costituzione
(art. 138 e 139) di cui parlerò tra poco.
Ebbene, come emerge
chiaramente dalla lettura del testo normativo contestualmente alla
lettura della fase storica in cui quello stesso testo è stato
pensato, non è possibile modificare il cuore della Costituzione
senza distruggere il suo senso storico, il suo significato politico,
la sua portata sociale.
Se si modificano i
principi, le libertà ed il bilanciamento tra i poteri dello stato si
scrive un'altra Costituzione e non la stessa con alcuni correttivi.
E per scrivere un'altra
Costituzione si deve avere il mandato specifico per farlo, si deve
essere eletti con il precipuo compito di individuare e codificare un
nuovo patto sociale con nuovi principi, nuove libertà, nuovi diritti
e, conseguentemente, una nuova architettura istituzionale con diversi
bilanciamenti tra i poteri dello stato.
Ciò che consente di fare
l'art. 139, infatti, è un'attività di manutenzione ed aggiornamento
delle norme contenute nella Costituzione e mai e per nessun motivo un
suo stravolgimento. Si può inserire la parola “Ambiente”
all'elenco dell'art. 9, ad esempio, che recita: “La Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico
della Nazione.”. Questo si può fare. Il risultato sarebbe “La
Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio, l'ambiente e il
patrimonio storico e artistico della Nazione.”. E' una modifica che
non stravolge il principio ma semplicemente lo aggiorna per renderlo
più adatto alle stesse esigenze per le quali è stato pensato. Ciò
che non si può fare è eliminare, ad esempio, il principio di
uguaglianza, oppure fondare la repubblica sulla libera impresa o sulle banche o,
allo stesso modo, introdurre l'elezione diretta del capo dello stato
stravolgendo il meccanismo di pesi e contrappesi ideato, tra gli
altri, da quei signori e da quelle signore che ho elencato sopra che
davvero poco hanno a che spartire con Vito Crimi, Angelino Alfano e
Gianni Letta.
Eppure eccoci ancora qui,
a questo punto, al punto in cui neanche un parlamento (cui comunque
sarebbe affidato il compito di “ritoccare” la costituzione con un
complicato e lungo procedimento) ma un governo, seppur con la fiducia di una
notevole quantità di parlamentari, si permette di ipotizzare una
riforma della costituzione.
E' bene che ci si prepari
fin da subito ad una battaglia serrata per impedire uno scempio di
questo tipo ed è bene che si cominci a dire che laddove ciò
avvenisse ci troveremmo senz'altro in presenza di un gravissimo atto,
parificabile ad un colpo di stato.
Il Parlamento è eletto
dal popolo ma non ha un mandato preciso a riscrivere la costituzione
ed essendo stato formato sulla base delle stesse regole delineate nella
Carta fondamentale, esercita un potere "costituito" e, quindi,
certamente non un potere "costituente". E' evidente che quando un potere
costituito straborda
sino a pretendere di scrivere le regole con le quali deve essere
eletto non si può non parlare di colpo di stato, di golpe e noi di
questo dobbiamo parlare senza farci trascinare in inutili dibattiti
su semipresidenzialismi, uninominali, doppi turni e amenità del
genere. Ci dobbiamo opporre alla stessa idea che un parlamento possa,
senza alcun mandato, scrivere un nuovo patto sociale.
Perché se ciò avvenisse
certamente non sarebbe, data la frattura tra questa politica ed il
popolo italiano, come è avvenuto nel 1946-48 il patto sociale degli
italiani a ispirare la scrittura della costituzione ma, al contrario, quello dei
pochi politici che continuano ad avere la possibilità di rovinare
questo paese arroccandosi giorno dopo giorno sempre di più dentro un
palazzo del quale infatti chiedono, con le ipotizzate riforme,
fortificazioni e mura più resistenti per allontanare ancora di più
i cittadini dalla politica.
Se si vuole una nuova
Costituzione si deve avere il coraggio di chiedere al popolo se
effettivamente ne sussiste la necessità e poi presentarsi con delle
idee ad una tornata elettorale realizzata unicamente con lo scopo di
eleggere una nuova assemblea costituente. Devo ricordare che gli
ultimi tentativi di riformare la costituzione si sono frantumati
contro la volontà popolare?
Un parlamento che
introduce il presidenzialismo sarebbe l'espressione di una congiura e
non di un patto, sarebbe l'esercizio arbitrario di un potere, sarebbe
la fine della repubblica democratica e antifascista. Non sarebbe
ancora una dittatura ma la rottura di quell'argine, di quella diga
che da 65 anni ha respinto tutti i rigurgiti dittatoriali,
assolutisti che si sono di volta in volta presentati. Non sarebbe
ancora una dittatura ma sarebbe certamente la preparazione di un
campo, di un terreno pronto ad accoglierla senza ostacoli. Dobbiamo impedirglielo.
Viva la repubblica, viva
la Costituzione, viva i Partigiani, quelli di ieri e quelli di
domani.
Marco Guercio
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