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10/06/2013

Ai partigiani di domani

Rieccoci. Puntuale, anche a questo giro, è arrivata l'alzata d'ingegno del neo presidente del Consiglio dei Ministri, capo del Governo, il quale, a breve distanza dal suo insediamento, come moltissimi suoi predecessori, ha espresso la necessità di cambiare la Costituzione e lo ha fatto annunciando la sua preferenza per un regime presidenzialista.
E puntuale, anche questa volta, torno a scrivere di riforme costituzionali e ad inquadrarle nel contesto giuridico e politico in cui è obbligatorio, per onestà intellettuale, collocarle.
Quando si parla di riforme della Costituzione, si parla allo stesso tempo di politica e di diritto nel senso che, diversamente da molte altre questioni, per comprendere veramente questo tema, bisogna essere capaci di non perdere il contatto con nessuno di questi due aspetti.
La Costituzione della Repubblica è, infatti, allo stesso tempo una legge (la grundnorm dalla quale discendono tutte le leggi) e l'espressione di un patto sociale, della specifica volontà di un popolo di dotarsi di principi e di regole istituzionali precise.
La Costituzione non è stata scritta e pensata dal parlamento ma dall'assemblea costituente, organismo creatosi appositamente, su mandato del popolo italiano, per scrivere il patto, l'accordo che disciplinasse la convivenza politica, economica e sociale della nuova repubblica. I soggetti che componevano l'assemblea costituente si sono presentati agli elettori con idee precise sui contenuti da inserire nella Costituzione esprimendo diverse sensibilità su temi etici, politici, sociali, per dare modo agli elettori di selezionare, ovviamente su base proporzionale, i propri rappresentanti in quella specifica assemblea affidando loro quegli specifici compiti.
In quell'assemblea sono stati eletti, tra gli altri, Piero Calamandrei, Palmiro Tagliatti, Umberto Terracini, Nilde Iotti, Ilio Barontini, Giuseppe Di Vittorio, Giovanni Gronchi, Aldo Moro, Oscar Luigi Scalfaro, Alcide De Gasperi, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Pietro Nenni, Sandro Pertini, Giuseppe Saragat, Ignazio Silone, Ugo La Malfa, Arturo Labriola.
Il 2 giugno 1946, per entrare nel dettaglio, si celebrarono, dopo oltre 20 anni di orrore fascista, libere elezioni. Per la prima volta ebbero diritto di voto tutti i cittadini italiani maggiorenni (d'età superiore a 21 anni) sia maschi che femmine. Si faccia particolare attenzione alla circostanza che in quella tornata elettorale, materialmente, vennero consegnate agli elettori che si presentavano alle urne, due schede: la prima scheda chiedeva di scegliere fra Monarchia e Repubblica; la seconda scheda (vedi foto) era per l'elezione dei deputati dell'Assemblea Costituente, a cui sarebbe stato affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale, come stabilito con il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 98 del 16 marzo 1946. C'era stata, dunque, una previsione specifica che aveva chiaramente indetto l'elezione di un'assemblea ad hoc per la redazione della Carta Costituzionale. I cittadini che si recavano alle urne erano perfettamente consapevoli che il mandato che conferivano ai rappresentanti in quell'assemblea era un mandato a pensare, redigere e votare il nuovo patto sociale del paese, a pensare i principi, le libertà, i diritti e la forma di governo del nuovo paese.
Il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 98/1946, ovviamente, stabiliva che l'Assemblea Costituente, che aveva innanzitutto il compito di redigere la nuova costituzione, avrebbe avuto anche anche altri tre compiti: votare la fiducia al governo, approvare le leggi di bilancio e ratificare i trattati internazionali. Anche.
A me pare persino banale, a questo punto, dire che i padri costituenti hanno scritto la nostra carta fondamentale elencando i principi e costruendo un'architettura istituzionale nel pieno assoluto mandato conferito loro dai cittadini italiani i quali avevano come prima e vitale necessità quella di avere la certezza assoluta che mai più nella loro vita avrebbero visto l'orrore, la distruzione, la morte, la disperazione che la dittatura - appena sconfitta dal coraggio dei partigiani (molti dei quali membri della stessa Assemblea) con la collaborazione degli alleati - aveva determinato. La Costituzione è prima di tutto, infatti, una cura efficace e duratura contro ogni dittatura.
Ai principi fondamentali, tra cui primeggia la fondazione della repubblica sul lavoro, spicca il richiamo all'uguaglianza (art. 3), brilla il ripudio della guerra e impera la sovranità affidata al popolo e al rispetto della stessa Costituzione, fa seguito l'elenco esaustivo delle libertà e dei diritti e, subito dopo, la descrizione del funzionamento della nostra democrazia. Alla fine, poi, viene stabilito il meccanismo con il quale possono essere apportate delle modifiche alla Costituzione (art. 138 e 139) di cui parlerò tra poco.
Ebbene, come emerge chiaramente dalla lettura del testo normativo contestualmente alla lettura della fase storica in cui quello stesso testo è stato pensato, non è possibile modificare il cuore della Costituzione senza distruggere il suo senso storico, il suo significato politico, la sua portata sociale.
Se si modificano i principi, le libertà ed il bilanciamento tra i poteri dello stato si scrive un'altra Costituzione e non la stessa con alcuni correttivi.
E per scrivere un'altra Costituzione si deve avere il mandato specifico per farlo, si deve essere eletti con il precipuo compito di individuare e codificare un nuovo patto sociale con nuovi principi, nuove libertà, nuovi diritti e, conseguentemente, una nuova architettura istituzionale con diversi bilanciamenti tra i poteri dello stato.
Ciò che consente di fare l'art. 139, infatti, è un'attività di manutenzione ed aggiornamento delle norme contenute nella Costituzione e mai e per nessun motivo un suo stravolgimento. Si può inserire la parola “Ambiente” all'elenco dell'art. 9, ad esempio, che recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”. Questo si può fare. Il risultato sarebbe “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio, l'ambiente e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”. E' una modifica che non stravolge il principio ma semplicemente lo aggiorna per renderlo più adatto alle stesse esigenze per le quali è stato pensato. Ciò che non si può fare è eliminare, ad esempio, il principio di uguaglianza, oppure fondare la repubblica sulla libera impresa o sulle banche o, allo stesso modo, introdurre l'elezione diretta del capo dello stato stravolgendo il meccanismo di pesi e contrappesi ideato, tra gli altri, da quei signori e da quelle signore che ho elencato sopra che davvero poco hanno a che spartire con Vito Crimi, Angelino Alfano e Gianni Letta.
Eppure eccoci ancora qui, a questo punto, al punto in cui neanche un parlamento (cui comunque sarebbe affidato il compito di “ritoccare” la costituzione con un complicato e lungo procedimento) ma un governo, seppur con la fiducia di una notevole quantità di parlamentari, si permette di ipotizzare una riforma della costituzione.
E' bene che ci si prepari fin da subito ad una battaglia serrata per impedire uno scempio di questo tipo ed è bene che si cominci a dire che laddove ciò avvenisse ci troveremmo senz'altro in presenza di un gravissimo atto, parificabile ad un colpo di stato.
Il Parlamento è eletto dal popolo ma non ha un mandato preciso a riscrivere la costituzione ed essendo stato formato sulla base delle stesse regole delineate nella Carta fondamentale, esercita un potere "costituito" e, quindi, certamente non un potere "costituente". E' evidente che quando un potere costituito straborda sino a pretendere di scrivere le regole con le quali deve essere eletto non si può non parlare di colpo di stato, di golpe e noi di questo dobbiamo parlare senza farci trascinare in inutili dibattiti su semipresidenzialismi, uninominali, doppi turni e amenità del genere. Ci dobbiamo opporre alla stessa idea che un parlamento possa, senza alcun mandato, scrivere un nuovo patto sociale.
Perché se ciò avvenisse certamente non sarebbe, data la frattura tra questa politica ed il popolo italiano, come è avvenuto nel 1946-48 il patto sociale degli italiani a ispirare la scrittura della costituzione ma, al contrario, quello dei pochi politici che continuano ad avere la possibilità di rovinare questo paese arroccandosi giorno dopo giorno sempre di più dentro un palazzo del quale infatti chiedono, con le ipotizzate riforme, fortificazioni e mura più resistenti per allontanare ancora di più i cittadini dalla politica.
Se si vuole una nuova Costituzione si deve avere il coraggio di chiedere al popolo se effettivamente ne sussiste la necessità e poi presentarsi con delle idee ad una tornata elettorale realizzata unicamente con lo scopo di eleggere una nuova assemblea costituente. Devo ricordare che gli ultimi tentativi di riformare la costituzione si sono frantumati contro la volontà popolare?
Un parlamento che introduce il presidenzialismo sarebbe l'espressione di una congiura e non di un patto, sarebbe l'esercizio arbitrario di un potere, sarebbe la fine della repubblica democratica e antifascista. Non sarebbe ancora una dittatura ma la rottura di quell'argine, di quella diga che da 65 anni ha respinto tutti i rigurgiti dittatoriali, assolutisti che si sono di volta in volta presentati. Non sarebbe ancora una dittatura ma sarebbe certamente la preparazione di un campo, di un terreno pronto ad accoglierla senza ostacoli. Dobbiamo impedirglielo.
Viva la repubblica, viva la Costituzione, viva i Partigiani, quelli di ieri e quelli di domani.
Marco Guercio
 

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