di Fabrizio Casari
Non trova pace
la Casa Bianca. Cuba gli scappa dalle mani. Alla ricerca frenetica di un
consenso più ampio di quello di Israele e delle Isole di Palau per
trovare legittimità internazionale all’odio anacronistico verso l’isola
socialista, incappa in figuracce continue, che aumentano la già scarsa
considerazione internazionale sulla legittimità delle condanne che
Washington promulga a destra e manca. L’ultima trovata, non un inedito, è
quella di inserire Cuba nella lista dei paesi che “patrocinano” il
terrorismo.
Lo smaccato intento propagandistico dell’operazione politica è
evidente. Washington sa perfettamente che Cuba non ha nulla a che vedere
con il terrorismo, e sa altrettanto bene che proprio del terrorismo
l’isola è semmai una vittima storica. Nessuno più degli Stati Uniti lo
sa, dal momento che il carnefice è proprio il governo statunitense, che
da oltre cinquant’anni organizza, dirige e finanzia attacchi
terroristici delle bande operanti in Florida che agiscono di concerto
con la Cia e con la protezione della Casa Bianca.
E così, in un
singolare caso di sovrapposizione e inversione tra terrorismo e
antiterrorismo, il paese propinatore del terrorismo accusa la sua
vittima principale di appoggio al terrorismo. Gli Stati Uniti, si sa,
amano le classifiche. In fondo rappresentano un modo elementare, privo
di complessità, di esporre la realtà.
In linea con il proprio standard culturale, gli USA hanno
costantemente bisogno di ricorrere a pagelle, ammonimenti, indicazioni e
ordini, dal momento che la crisi del loro ruolo di direzione politica
nello scenario internazionale è ormai costante ed appare irreversibile.
Ovviamente, gli USA per definizione puntano il dito verso gli altri,
incuranti di come le accuse che formulano rappresentano di per sé stesse
un paradosso e la loro presentazione rappresenta un momento di
autentica comicità involontaria.
Le risposte politiche di netta
condanna all’ennesima provocazione statunitense non si sono fatte
attendere. E se scontato e inevitabile è apparsa la reazione del governo
cubano, non meno dura e netta è arrivata quella di tutto il
subcontinente.
La
CELAC, Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi, di cui sono
membri 33 paesi del continente (non ne fanno parte solo Usa e Canada),
ha infatti prontamente reagito alla provocazione statunitense, diramando
una nota ufficiale nella quale si invita Washington ad esimersi dal
promulgare pagelle e diramare giudizi il cui valore dal punto di vista
del diritto internazionale è meno che zero.
Nel ricordare quanto già espresso con il comunicato speciale di
appoggio alla “lotta contro il terrorismo in tutte le sue forme e
manifestazioni”, approvato dalla CELAC nel Vertice di Santiago, il 27 e
28 Gennaio 2013, l’organismo continentale riafferma “il rifiuto alla
elaborazione unilaterale di liste contenenti accuse a stati che
risultano inconsistenti di fronte al diritto internazionale”.
La
formazione di liste di proscrizione come si diceva, è un vezzo comune a
tutte le Amministrazioni statunitensi e quella Obama non fa eccezione.
L’obiettivo evidente è sempre quello di accusare l’isola socialista
delle peggiori nefandezze, così da tentare una giustificazione a
posteriori al mantenimento del blocco e dell’aggressione politica,
economica, commerciale e militare. Prendiamo la questione dei diritti
umani, un altro dei fronti su cui gli USA attaccano Cuba sapendo di
mentire spudoratamente.
Ebbene, sulle presunte violazioni da parte di Cuba dei diritti umani,
Washington ha sbattuto contro le prove documentate di come Cuba sia
assolutamente in linea con gli standard internazionali. Oltre tutto, per
colmo di sfortuna, gli USA devono incassare le continue felicitazioni
che dalle Nazioni Unite agli organismi umanitari internazionali, globali
e regionali, giungono a L’Avana. Che viene riconosciuta come paese che
applica con equità e responsabilità le politiche sociali e culturali che
garantiscono il rispetto dei cinque punti fondamentali dello sviluppo
di un paese utilizzati dall’ONU come parametro per il rispetto dei
diritti individuali e collettivi.
Cuba,
da cinquantaquattro anni, commette però evidenti violazioni dei
precetti statunitensi che costituiscono, dopo secoli, l’applicazione
pedissequa della Dottrina Monroe, e da qui nasce la fobìa statunitense
che vede nell’annessionismo unilaterale l’unica politica possibile verso
l’isola. Del resto, proprio in relazione ai diritti umani, ad ulteriore
conferma di come la loro presunta difesa da parte degli Stati Uniti sia
totalmente strumentale nel merito e funzionale ai suoi interessi di
politica estera nel metodo, basta vedere come il tema venga posto
all’attenzione internazionale solo quando si tratta di paesi
politicamente avversi.
Infatti, nella classifica sulle violazioni
dei diritti umani non figurano i regimi amici di Washington, che
praticano l’apartheid di razza, di genere e sociale, come le diverse
monarchie del Golfo. Non trovano spazio i paesi amici come l’Ungheria,
culla del nuovo fascismo europeo. Ma soprattutto è straordinario che il
governo delle torture, di Abu Ghraib e di Guantanamo, delle bombe a
grappolo sui civili in Asia e Medio Oriente, della deportazioni illegali
di prigionieri, dell’assassinio come forma privilegiata di relazione
con gli avversari politici, dello spionaggio di massa verso i suoi
cittadini e dei dispositivi come il “Patriot act”, voluti allo scopo
d’intensificare le politiche repressive interne ed estere, abbia la
faccia di stilare pagelle sui diritti umani e non includersi al primo
posto per le flagranti e continue violazioni degli stessi.
Difficile che con queste provocazioni gli Stati Uniti possano
ricostruire la credibilità perduta in America Latina. La fine dell’epoca
del Washington consensus avrebbe potuto e dovuto, su
iniziativa degli USA, dar luogo ad una nuova fase storica nei rapporti
tra Nord e Sud America, (come del resto aveva annunciato Obama in una
delle sue innumerevoli promesse non mantenute). Serviva una fase nuova
nella quale la parità e la reciprocità tra le nazioni e i blocchi di
paesi avrebbe davvero consentito una nuova stagione di collaborazione e
di sviluppo economico nel mercato continentale.
Ha invece dovuto incassare il rientro di Cuba negli OSA e la nascita
della CELAC, passaggi notevoli e di chiara impronta politica
indipendentista che aggiungono ulteriore forza e credibilità al blocco
democratico latinoamericano e isolano ulteriormente gli Stati Uniti. Una
partita persa quella di Obama in America Latina, parte consistente del
complessivo fallimento nella politica estera della sua Amministrazione.
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