Presentazione


Aggregatore d'analisi, opinioni, fatti e (non troppo di rado) musica.
Cerco

11/06/2013

Cuba, gli Usa si coprono di ridicolo

di Fabrizio Casari
Non trova pace la Casa Bianca. Cuba gli scappa dalle mani. Alla ricerca frenetica di un consenso più ampio di quello di Israele e delle Isole di Palau per trovare legittimità internazionale all’odio anacronistico verso l’isola socialista, incappa in figuracce continue, che aumentano la già scarsa considerazione internazionale sulla legittimità delle condanne che Washington promulga a destra e manca. L’ultima trovata, non un inedito, è quella di inserire Cuba nella lista dei paesi che “patrocinano” il terrorismo.
Lo smaccato intento propagandistico dell’operazione politica è evidente. Washington sa perfettamente che Cuba non ha nulla a che vedere con il terrorismo, e sa altrettanto bene che proprio del terrorismo l’isola è semmai una vittima storica. Nessuno più degli Stati Uniti lo sa, dal momento che il carnefice è proprio il governo statunitense, che da oltre cinquant’anni organizza, dirige e finanzia attacchi terroristici delle bande operanti in Florida che agiscono di concerto con la Cia e con la protezione della Casa Bianca.

E così, in un singolare caso di sovrapposizione e inversione tra terrorismo e antiterrorismo, il paese propinatore del terrorismo accusa la sua vittima principale di appoggio al terrorismo. Gli Stati Uniti, si sa, amano le classifiche. In fondo rappresentano un modo elementare, privo di complessità, di esporre la realtà.
In linea con il proprio standard culturale, gli USA hanno costantemente bisogno di ricorrere a pagelle, ammonimenti, indicazioni e ordini, dal momento che la crisi del loro ruolo di direzione politica nello scenario internazionale è ormai costante ed appare irreversibile. Ovviamente, gli USA per definizione puntano il dito verso gli altri, incuranti di come le accuse che formulano rappresentano di per sé stesse un paradosso e la loro presentazione rappresenta un momento di autentica comicità involontaria.

Le risposte politiche di netta condanna all’ennesima provocazione statunitense non si sono fatte attendere. E se scontato e inevitabile è apparsa la reazione del governo cubano, non meno dura e netta è arrivata quella di tutto il subcontinente.
La CELAC, Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi, di cui sono membri 33 paesi del continente (non ne fanno parte solo Usa e Canada), ha infatti prontamente reagito alla provocazione statunitense, diramando una nota ufficiale nella quale si invita Washington ad esimersi dal promulgare pagelle e diramare giudizi il cui valore dal punto di vista del diritto internazionale è meno che zero.
Nel ricordare quanto già espresso con il comunicato speciale di appoggio alla “lotta contro il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni”, approvato dalla CELAC nel Vertice di Santiago, il 27 e 28 Gennaio 2013, l’organismo continentale riafferma “il rifiuto alla elaborazione unilaterale di liste contenenti accuse a stati che risultano inconsistenti di fronte al diritto internazionale”.

La formazione di liste di proscrizione come si diceva, è un vezzo comune a tutte le Amministrazioni statunitensi e quella Obama non fa eccezione. L’obiettivo evidente è sempre quello di accusare l’isola socialista delle peggiori nefandezze, così da tentare una giustificazione a posteriori al mantenimento del blocco e dell’aggressione politica, economica, commerciale e militare. Prendiamo la questione dei diritti umani, un altro dei fronti su cui gli USA attaccano Cuba sapendo di mentire spudoratamente.
Ebbene, sulle presunte violazioni da parte di Cuba dei diritti umani, Washington ha sbattuto contro le prove documentate di come Cuba sia assolutamente in linea con gli standard internazionali. Oltre tutto, per colmo di sfortuna, gli USA devono incassare le continue felicitazioni che dalle Nazioni Unite agli organismi umanitari internazionali, globali e regionali, giungono a L’Avana. Che viene riconosciuta come paese che applica con equità e responsabilità le politiche sociali e culturali che garantiscono il rispetto dei cinque punti fondamentali dello sviluppo di un paese utilizzati dall’ONU come parametro per il rispetto dei diritti individuali e collettivi.
Cuba, da cinquantaquattro anni, commette però evidenti violazioni dei precetti statunitensi che costituiscono, dopo secoli, l’applicazione pedissequa della Dottrina Monroe, e da qui nasce la fobìa statunitense che vede nell’annessionismo unilaterale l’unica politica possibile verso l’isola. Del resto, proprio in relazione ai diritti umani, ad ulteriore conferma di come la loro presunta difesa da parte degli Stati Uniti sia totalmente strumentale nel merito e funzionale ai suoi interessi di politica estera nel metodo, basta vedere come il tema venga posto all’attenzione internazionale solo quando si tratta di paesi politicamente avversi.

Infatti, nella classifica sulle violazioni dei diritti umani non figurano i regimi amici di Washington, che praticano l’apartheid di razza, di genere e sociale, come le diverse monarchie del Golfo. Non trovano spazio i paesi amici come l’Ungheria, culla del nuovo fascismo europeo. Ma soprattutto è straordinario che il governo delle torture, di Abu Ghraib e di Guantanamo, delle bombe a grappolo sui civili in Asia e Medio Oriente, della deportazioni illegali di prigionieri, dell’assassinio come forma privilegiata di relazione con gli avversari politici, dello spionaggio di massa verso i suoi cittadini e dei dispositivi come il “Patriot act”, voluti allo scopo d’intensificare le politiche repressive interne ed estere, abbia la faccia di stilare pagelle sui diritti umani e non includersi al primo posto per le flagranti e continue violazioni degli stessi.
Difficile che con queste provocazioni gli Stati Uniti possano ricostruire la credibilità perduta in America Latina. La fine dell’epoca del Washington consensus avrebbe potuto e dovuto, su iniziativa degli USA, dar luogo ad una nuova fase storica nei rapporti tra Nord e Sud America, (come del resto aveva annunciato Obama in una delle sue innumerevoli promesse non mantenute). Serviva una fase nuova nella quale la parità e la reciprocità tra le nazioni e i blocchi di paesi avrebbe davvero consentito una nuova stagione di collaborazione e di sviluppo economico nel mercato continentale.
Ha invece dovuto incassare il rientro di Cuba negli OSA e la nascita della CELAC, passaggi notevoli e di chiara impronta politica indipendentista che aggiungono ulteriore forza e credibilità al blocco democratico latinoamericano e isolano ulteriormente gli Stati Uniti. Una partita persa quella di Obama in America Latina, parte consistente del complessivo fallimento nella politica estera della sua Amministrazione.

Fonte

Nessun commento:

Posta un commento