di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Siamo tutti Gaza. Lo slogan, coniato nei Territori Occupati, stampato sulle magliette che i giovani, gli shebab,
indossano in manifestazioni ormai giornaliere, è il simbolo della nuova
unità di base a cui l’offensiva israeliana ha indirettamente dato
origine. Distruzione di tunnel o meno, sradicamento di Hamas o no,
Israele è stato sconfitto sul terreno dell’unità del popolo palestinese.
La base ha fatto quello che i partiti politici, Hamas e Fatah
in testa, non sanno archiviare, nemmeno dopo la nascita del governo di
unità, oggi ostaggio della differenza di vedute tra Ramallah e Gaza City
sul concetto stesso di resistenza.
Dietro quelle magliette sta una galassia di campagne spontanee, nate
in Cisgiordania e Gerusalemme, portate avanti da amici, studenti,
ragazzi che vedono nell’attacco contro Gaza una guerra contro l’intero
popolo palestinese: «In tanti si mobilitano, soprattutto a Gerusalemme –
spiega al manifesto Hussam, 24 anni – Stampano
volantini, poster, adesivi dove chiedono il boicottaggio dei prodotti
israeliani in Cisgiordania e dei negozi israeliani a Gerusalemme. Vanno
nei supermarket e convincono i proprietari a disfarsi dei prodotti
israeliani che affollano gli scaffali. La risposta è molto
buona, i massacri in atto hanno cementato l’unità palestinese e generato
la voglia di dare un contributo, anche soltanto sbarazzandosi di un
prodotto che sostiene l’occupazione».
A Gerusalemme sono tante le famiglie palestinesi che non acquistano
più prodotti israeliani o evitano i centri commerciali, preferendo il
negozio palestinese sotto casa. Tanti quelli che non salgono più sui
mezzi pubblici israeliani.
In Cisgiordania, alcuni negozianti hanno deciso di liberarsi dei
prodotti israeliani, dandogli fuoco in piazza. Un atto che se portato
avanti con costanza creerebbe problemi all’economia dell’occupante. Qualche
anno fa un boicottaggio di alcuni mesi nei Territori provocò un crollo
delle vendite che spaventò le aziende israeliane, costrette a modificare
le etichettature dei propri prodotti per continuare a vendere.
Milioni di dollari in fumo, in un mercato composto da oltre tre milioni
di consumatori, il primo per grandezza per l’economia israeliana.
Ma a muoversi sono intere comunità. Il senso di separazione,
che sembrava radicato tra le due enclavi, è spazzato via. In ogni città
sono partite campagne di sottoscrizione, raccolte fondi, cene di beneficenza, donazioni di medicinali. La più grande, lanciata
dal Palestinian Medical Relief Society e sostenuta dalle Ong italiane,
“Medicine per Gaza”, ha raccolto ad oggi oltre 94mila euro, oltre
400mila quelli raccolti nel villaggio di Umm al Fahem; sono
stati organizzati autobus per portare i palestinesi residenti in Israele
a Tulkarem a donare il sangue; tanti fanno la spola tra supermercati e
farmacie per raccogliere medicinali e beni di prima necessità.
A fare da sottofondo la voce di tv e le radio, impegnate in lunghe
dirette per raccontare l’offensiva, intramezzate dal passaggio delle
canzoni patriottiche più note e amate dal popolo palestinese. Dalle
poesie di Mahmoud Darwish alla musica di Marcel Khalife, ogni attimo
della vita nei Territori è dominato dal sentimento di ritrovata unità.
Quella vera, di base.
«Ci troviamo oggi in una particolare congiuntura storica, profondi
cambiamenti sono in atto – ci spiega l’analista palestinese Ahmad
Jaradat – Il fallimento degli Stati Uniti e dei loro alleati nella
regione, la divisione in Libia e Iraq. E la crescita dei movimenti di
resistenza nella regione. Da noi il fallimento dei negoziati di
pace tra Israele e Autorità Palestinese hanno reso la resistenza
popolare la sola scelta rilevante per la liberazione».
«Netanyahu pensa che la divisione tra Hamas e Fatah, nonostante il
governo di unità, frenerà i movimenti di base, vuole far passare
l’operazione come una guerra contro il movimento islamista. Ma sbaglia.
I palestinesi la sentono come un’offensiva verso un intero popolo,
contro tutti i movimenti di resistenza all’occupazione. Per questo
assistiamo allo sviluppo di gruppi nuovi e alla sollevazione delle città
in Cisgiordania. I palestinesi inviano un messaggio a Israele:
uniti, combatteranno ancora l’occupazione, con o senza il sostegno dei
loro leader».
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