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06/10/2017

Catalogna, scenario greco? Banche e polizia contro l’indipendenza


Dopo la violenza, il ricatto. E, se non basterà, ancora repressione su larga scala. E’ questa la soffocante gabbia che l’establishment dello Stato Spagnolo, col sostegno dell’Unione Europea, sta costruendo attorno al popolo catalano.

A leggere le affrettate e disinformate sentenze di compassati analisti ed esperti dell’ultimora, “il separatismo catalano è guidato dalla borghesia”. Neanche i numerosi e feroci comunicati della Confindustria catalana che diceva No al referendum e No all’indipendenza sono serviti a scalfire un luogo comune trasformatosi in verità rivelata. D’altronde se la realtà non si confà agli schemi ideologici precostituiti la scelta più facile è quella di distorcere i fatti piuttosto che adeguare la propria chiave di lettura al contesto e al momento.

In certi ambienti quindi passerà forse inosservato il fatto che il grande capitale catalano ha iniziato le sue grandi manovre per mettersi al riparo da un’eventuale escalation e per spaventare lo schieramento indipendentista e convincerlo a tirare il freno.

Ieri il Banco Sabadell, uno dei principali istituti di credito catalani, ha deciso di spostare la propria sede da Barcellona ad Alicante, nel confinante País Valencià. La decisione è stata approvata ieri al termine di una riunione straordinaria del Consiglio d’Amministrazione di uno dei principali poteri finanziari della Catalogna e dello Stato Spagnolo. Se nello Stato Spagnolo Banco Sabadell controlla il 7.2% del mercato del credito, la quota sale al 16% in Catalogna con ben 638 succursali.

La maggior parte degli uffici resteranno a Barcellona, chiarisce il Cda, ma la decisione ha significativi risvolti in vista di una dichiarazione unilaterale di indipendenza che potrebbe essere pronunciata dal Parlament nei prossimi giorni. Gli investitori hanno apprezzato la mossa, e ieri il prezzo delle azioni del Banco Sabadell è cresciuto alla Borsa di Madrid del 6.16%.

Come se non bastasse oggi anche CaixaBank, il principale gruppo finanziario catalano, ha convocato il proprio Cda per decidere se trasferire la propria sede sociale fuori dal territorio catalano.

Ovviamente il governo di Madrid non sta a guardare, ed entro poche ore dovrebbe varare un decreto mirante a facilitare il cambio di domicilio fiscale per le imprese, ad esempio evitando che il Cda debba passare per la riunione plenaria di tutti gli azionisti come nel caso di CaixaBank. Nell’approvare la misura il popolare Rajoy potrebbe contare anche sul sostegno dei socialisti, parte integrante dello schieramento nazionalista spagnolo, i cui parlamentari si asterrebbero nella votazione permettendo il varo del Decreto Legge con la maggioranza semplice.

La borghesia catalana, come detto, è contraria all’escalation indipendentista guidata dalla piccola borghesia e dai settori popolari, perché l’attuale condizione – la forte autonomia soprattutto in campo economico e fiscale – gli permette di accedere in posizione di relativo privilegio non solo al mercato spagnolo, ma anche alla proiezione internazionale di Madrid nell’Unione Europea e in America Latina.

Inoltre il crescente protagonismo popolare e l’estensione dell’egemonia delle sinistre radicali nel movimento indipendentista hanno ulteriormente allarmato i grandi gruppi imprenditoriali e finanziari catalani, in particolare dopo che martedì centinaia di migliaia di lavoratori hanno scioperato contro la repressione e a difesa dell’autogoverno rispondendo alla chiamata del sindacalismo di classe e conflittuale. Lo sciopero di martedì ha costretto anche i sindacati riformisti e alcune organizzazioni della piccola e media impresa a sommarsi alla giornata di mobilitazione all’interno di un’ambigua ‘serrata nazionale’ che mirava a sminuire i contenuti di classe della giornata di lotta e a evitare una possibile frattura tra movimento popolare e ceti dominanti.

La grande borghesia catalana ora mira apertamente a spaventare lo schieramento indipendentista, prefigurando uno scenario greco. Desertificazione industriale e finanziaria, fuga di capitali, disoccupazione e instabilità economica potrebbero convincere settori importanti del liberale PDeCat e della socialdemocratica Esquerra a tirare il freno e ad accettare una mediazione al ribasso. Di fatto una contromisura necessaria, per il fronte unionista catalano, dopo che l’intervento del sovrano spagnolo Filippo VI e del commissario europeo Timmermans hanno chiuso ad ogni possibilità di dialogo, rafforzando i settori più intransigenti e coerenti dello schieramento indipendentista.


Il ricatto economico sta già funzionando e oggi vari esponenti del PDeCat e di Erc, oltre che delle associazioni sovraniste catalane protagoniste della crescente mobilitazione di massa degli ultimi anni, cominciano a chiedere esplicitamente al President Puigdemont di rinviare la dichiarazione di indipendenza e di moderare i toni, “per non rovinare tutto”.

Al contrario la sinistra anticapitalista e indipendentista catalana, la Cup, per lunedì 9 ottobre ha indetto una giornata di mobilitazione in tutta la Catalogna per premere sul Govern affinché rispetti la tabella di marcia concordata e proclami la Repubblica Catalana.

Contro la seduta del Parlament convocata lunedì si è già espresso il Tribunale Costituzionale di Madrid, accogliendo un ricorso d’urgenza del Partito Socialista Operaio (!) Spagnolo.

Se lo “scenario greco” – che condusse Syriza e Tsipras a chinare la testa e a obbedire ai diktat della Troika venendo meno alle promesse di riscatto e cambiamento che ne avevano determinato la vittoria elettorale – non dovesse funzionare è già pronto un imponente e micidiale dispositivo repressivo.

Questa mattina il capo dei Mossos d’Esquadra, il maggiore Josep Lluis Trapero, si è dovuto presentare davanti ai giudici dell’Audiencia Nacional di Madrid (il tribunale speciale antiterrorismo di franchista memoria) per rispondere della gravissima accusa di ‘sedizione’, per essersi rifiutato di intervenire con forza contro centinaia di migliaia di manifestanti che il 20 settembre si riversarono nelle strade e nelle piazze catalane in reazione all’ondata di arresti di funzionari della Generalitat. La stessa accusa – con relativa condanna a 15 anni di carcere – pende sulle teste del presidente della Assemblea Nazionale Catalana Jordi Sánchez e di quello di Òmnium Cultural, Jordi Cruxart, anche loro costretti a presentarsi stamattina davanti ai giudici. Senza contare che sullo stesso presidente della Generalitat Carles Puigdemont grava un’inchiesta che potrebbe portare al suo arresto, più volte minacciato dai magistrati.

Ma in serbo c’è molto di più. Nelle scorse settimane il governo spagnolo ha già commissariato i Mossos d’Esquadra, sottoponendoli al controllo di un Guardia Civil – senza grandi conseguenze, vista la tolleranza della polizia autonoma catalana nei confronti della massa di gente che accorreva domenica ai seggi – ed ha bloccato i conti della Generalitat.

La seconda fase dell’escalation repressiva spagnola potrebbe contare su alcuni dispositivi legislativi tendenti ad annullare le prerogative politiche accordate dallo Statuto d’Autonomia alle istituzioni catalane. A partire dall’articolo 155 della Costituzione del 1978 (scritta da un parlamento in buona parte franchista), mai applicato finora e che permette di sospendere e commissariare il governo e il parlamento della Comunità Autonoma ‘ribelle’. E se non dovesse bastare Madrid potrebbe fare ricorso all’articolo 116, quello che regola lo stato d’emergenza e lo stato d’assedio. Mentre l’articolo 155 può essere applicato dopo un voto del Senato, dove il PP gode della maggioranza assoluta, il 116 richiede anche l’assenso della maggioranza della Camera. Nel secondo caso la destra postfranchista dovrebbe ottenere l’appoggio della destra liberale e nazionalista di Ciudadanos, che comunque ha già criticato Rajoy per una reazione dello Stato in Catalogna considerata ‘scarsa e inadeguata’. Il governo potrebbe applicare in Catalogna anche la Legge per la Sicurezza Nazionale che di fatto esautora le autorità civili a vantaggio di quelle militari.

Si tratta di misure draconiane e mai applicate, che potrebbero generare una vera e propria sollevazione popolare in Catalogna e che coinvolgerebbero l’Unione Europea tutta nel più grande meccanismo repressivo mai messo in campo nel continente negli ultimi decenni. Un vulnus difficile da gestire per Bruxelles che pure non ha mancato di esprimere il proprio sostegno totale a Madrid né dopo l’ondata di arresti di funzionari catalani il 20 settembre né dopo l’attacco ai seggi da parte della polizia spagnola che ha causato circa 900 tra feriti e contusi.

Una gestione razionale della crisi in un paese ‘moderno’ e ‘liberale’ dell’Unione Europea sconsiglierebbe il ricorso a tali meccanismi coercitivi, all’invio dell’esercito e alla militarizzazione di una intera regione. Per Bruxelles e Francoforte sarebbe una enorme ‘gatta da pelare’. Ma come abbiamo visto nelle scorse settimane Madrid non è Londra. Il nazionalismo fondamentalista e sciovinista che costituì il nucleo del franchismo e della precedente dittatura di inizio secolo permea ancora i partiti politici, le istituzioni e le strutture di uno Stato che quanto più si sente debole di fronte alle contestazioni delle nazioni oppresse tanto più ricorre alla repressione.

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