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01/05/2018

Bullismo e violenza nelle scuole? Conseguenza di scelte ben precise.

Le scorse settimane i mass media hanno ripreso a parlare di scuola. Per denunciare i tagli, il disinvestimento, le condizioni sempre più difficili in cui sono contretti a lavorare insegnanti e personale? No: il tema è il bullismo, le aggressioni verbali e fisiche subite dai docenti, documentate in rete ed oggetto di disquisizioni sociologiche che sono addirittura sfociate in analisi di classe.

Gli alunni degli istituti tecnici sono più violenti ed aggressivi di quelli dei licei; più il giovane appartiene a classi sociali basse, più il rischio che sia indisciplinato è alto.

Sembra incredibile, ma quello che è emerso dal dibattito è più o meno questo.

Non una parola, o comunque molto poche, sulle cause di aggressività e violenza: il disagio sociale, il depauperamento culturale assolutamente voluto in anni di folli riforme scolastiche, la mancanza – spesso – di strumenti e di prospettive anche economiche per gli insegnanti.

Abbiamo provato a portare l’analisi su un terreno meno retorico e più concreto, più vicino alla realtà dei fatti, in questa intervista con Flavia Manzi, dell’ Esecutivo Nazionale USB Scuola.

Siamo reduci da un periodo di polemiche e di interventi – molti dei quali a sproposito – su scuola e bullismo. Parliamo del video dello studente di Lucca che aggrediva il professore colpevole di avergli dato un voto basso.

Si è parlato di bullismo, appunto, di aggressività, di cattiva educazione dei giovani. In pochi hanno parlato, invece, dei contesti: le difficoltà oggettiva che chi lavora nella scuola incontra a causa del costante disinvestimento che ormai da troppo tempo viene applicato alla scuola ed alla cultura in generale dai governi e dalle classi dirigenti. Forse dovrebbe essere questo l’aspetto su cui dibattere, non trovi?

Io penso che il problema non nasca oggi. Quello che ci troviamo ad affrontare oggi è l’estrema conseguenza dell’impoverimento della scuola pubblica italiana. Impoverimento non solo dal punto di vista delle risorse economiche, ma sopratutto dal punto di vista del ruolo che la scuola è chiamata a svolgere nell’educazione dei ragazzi.

Credo che ormai siamo arrivati ad una situazione non dico di non ritorno, voglio sperare di no, ma certamente di grande difficoltà. La scuola sta andando inevitabilmente in tilt. E’ chiaro che episodi come quelli che si stanno verificando sono legati a come in questi anni la scuola è cambiata ed è stata fatta cambiare, perchè i vari governi – destra, centro e pseudo sinistra – hanno lavorato affinchè la scuola pubblica diventasse quello che purtroppo è oggi.

La scuola non è più un luogo dove si fa cultura: i tagli di personale, di organico, hanno portato a vivere una situazione di perenne emergenza.

Partiamo dalla scuola primaria, dove sono state tolte le compresenze: prima c’erano due docenti, che potevano fare un certo tipo di interventi all’interno delle classi, pensiamo magari alle classi più difficili.

Per risparmiare, le compresenze sono state tolte.

Passiamo alle superiori, dove l’obbiettivo pare sia quello di creare – sopratutto agli ultimi governi, un po’ lo specchio dell’esasperazione del capitale – generazioni di giovani “passivi”, privi di strumenti critici per affrontare la realtà. Per raggiungere questo obiettivo, quale migliore strumento di una scuola che non forma? Ed infatti – fateci caso – ormai nelle superiori non si parla più di conoscenza ma si parla di competenza, che è un concetto estremamente diverso.

E quindi disinvestire sulla scuola pubblica – secondo questo ragionamento – diventa strumentale al raggiungimento di un obiettivo?

Beh, si sta lavorando e si è lavorato da anni per creare una “scuola di classe”, per creare una divisione tra scuole di serie A e di serie B.

Quello che afferma ad esempio Michele Serra (“il livello di educazione è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza”) è delirante: è chiaro che ci sono delle situazioni più difficili, ma è proprio lì che la scuola deve essere in grado di intervenire e di andare a sanare le situazioni di difficoltà e disagio sociale.

Ma questa funzione della scuola pare non interessare a nessuno: creare una generazione con meno cultura e meno spirito critico è più funzionale agli obiettivi politici che adesso sono rilevanti per chi governa.

C’è anche una questione di maggiore visibilità mediatica che poi si presta a strumentalizzazioni di vario genere…

Questi atti di “bullismo” vengono messi alla ribalta, per continuare a screditare la scuola pubblica. Aggiungo che non sono affatto convinta che situazioni del genere non si verifichino nei licei, nelle scuole “bene”: credo sia probabile anzi che l’unica differenza sia il tipo di “copertura”, forse anche perchè risulta più mediaticamente interessante evidenziare il disagio sociale delle classi più deboli.

Disagio sociale che però è reale…

Il disagio c’è, è ovvio. Ma c’è perche questi ragazzi, sia quelli delle scuole “bene” che quelli delle scuole professionali – di questo stiamo parlando – che futuro hanno di fronte? Il problema reale è il furto di futuro che è stato perpetrato ai danni delle giovani generazioni da parti di classi dirigenti e governi che nel corso degli anni hanno sottratto cultura, possibilità di lavoro e prospettive.

A volte questi ragazzi non hanno nemmeno la coscienza che attraverso la scuola passa, e deve passare il loro riscatto. Nessuno glielo insegna, nessuno glielo dice. Siamo in un mondo di capitale esasperato dove è diventato più importante l’avere piuttosto che l’essere.

Se non andiamo a ribaltare questa logica i ragazzi utilizzeranno gli strumenti che conoscono: la violenza, la sopraffazione, che è ciò che vivono tutti i giorni. Chi più ha, chi è più forte comanda.

Il problema è complesso, e ha le sue radici nella modificazione della società, che poi diventa inevitabilmente la modificazione della scuola.

In questa prospettiva, quale è la situazione in cui lavorano i docenti?

La legge 107 ha creato una situazione drammatica, sopratutto nelle scuole superiori. Docenti sradicati dalle proprie realtà, dai propri affetti, costretti ad “emigrare” per lavorare: dal sud al centro o al nord… Vanno ad affrontare il loro lavoro senza la serenità necessaria, anche perchè non dimentichiamo che un docente percepisce uno stipendio medio che è al di sotto dei duemila euro. Come fa quell’individuo ad essere tranquillo, mantenere se stesso fuori casa e magari mantenere una famiglia in un’altra città? Questo aspetto conta molto, quando andiamo a parlare di livello e qualità dell’insegnamento. Una persona tranquilla, che percepisce un giusto salario, che vede la propria esistenza risolta sicuramente è in grado di trasmettere in modo diverso da chi magari ha la moglie o il marito a seicento chilometri di distanza. Chi vive difficoltà esistenziali è probabile che sia concentrato più ala sua sopravvivenza che al produrre un tipo di insegnamento pregnante, che vada ad incidere profondamente nella formazione dei ragazzi. Questo è un aspetto importante, un problema non da poco.

Parliamo anche di scuola privata: forse la vera distinzione, a proposito di classismo scolastico, andrebbe fatta tra pubblico e privato?

L’attacco alla scuola pubblica, che poi è l’attacco a tutta la pubblica amministrazione, è un dato di fatto. Non è un caso che praticamente tutti i governi abbiano stanziato finanziamenti per le scuole private diminuendo quelli per le scuole pubbliche. Chiaramente questo comporta delle conseguenze: la spinta verso la privatizzazione dell’istruzione è enorme. Una istruzione gestita dagli enti ecclesiastici, dalle finanziarie, dalle aziende… di questo stiamo parlando.

E’ vero che esiste una diversificazione tra licei ed istituti tecnici e professionali, ma è importante dire che questa diversificazione è stata fortemente voluta per andare a ghettizzare il giovane proletario – che tale rimane, anche se con una accezione diversa da quella che era un tempo. Ragazzi che hanno meno opportunità, e a cui la Costituzione garantirebbe uguale accesso alle occasioni di crescita e di sviluppo personale.

Ma non è così, e più andiamo avanti più questa cosa diventa evidente, creando una frattura all’interno stesso della scuola pubblica, con scuole da cui poi si va all’università privata o di qualità, ed altre invece – magari in periferia – che vengono gestite come scuole di livello inferiore.

Anche questa è una scelta?

Si. Una scelta chiaramente espressa dai governi. Come una scelta è stata quella di depauperare i programmi degli istituti tecnici, che vedono ridotte le ore di italiano, che non fanno filosofia, e che vedono ridotte tutte le ore di quelle materie che sono formative e che portano alla conoscenza e non alla competenza. Tutto questo all’interno delle scuole si vive, si sente: una vera e propria diminuzione di richiesta di cultura.

L’ “altenanza scuola-lavoro” è quindi la realizzazione pratica, il passaggio finale dalla conoscenza alla competenza?

Si. E’ una concezione sempre più radicale della scuola, che tra l’altro abitua al lavoro gratutito. Ho assistito ad esperienze di alternanza scuola-lavoro incommentabili. E’ il tentativo esplicito di creare generazioni che non si fanno domande: sul lavoro che andranno a fare, su quanto verranno pagati, su quali sono i loro diritti. Educarli fin da piccoli, fin da sedici anni, a lavorare gratis e senza diritti. Sottraendo oltretutto un numero importante di ore di scuola all’apprendimento, alla cultura! Ecco il tentativo di abbassare il livello: duecento ore di alternanza scuola-lavoro non sono poche, quattrocento negli istituti tecnici. Sponsorizzata dalle aziende, spesso i ragazzi vengono fatti lavorare senza una formazione sulla sicurezza, ed abbiamo anche assistito ad incidenti… Chi si offre di ospitarli di fatto vuole manodopera gratuita, l’obiettivo formativo è secondario.

Ore sottratte alle lezioni: togli ore, togli materie, togli strumenti a questi futuri cittadini che saranno più ricattabili, ma proprio perchè in possesso di meno strumenti, più propensi ad utilizzare quello che hanno a disposizione, che spesso è il ricorso alla violenza ed alla sopraffazione. Ed eccoci dunque arrivati al bullismo, all’aggressività ed ai video su youtube.

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