Una pasticca contro la nausea e via: proviamo a descrivere lo stallo politico intorno alla formazione di un governo.
Come tutti avevano già capito domenica sera – Matteo Renzi che in diretta tv boccia in anticipo qualsiasi “dialogo” con i grillini, ben prima della direzione Pd convocata per decidere – non sarà possibile nessuna maggioranza “politica”, ossia nessuna aggregazione consensuale intorno a un programma fatto di mediazioni, veti incrociati, favori reciproci.
La nota con cui Sergio Mattarella ne ha preso atto è anche una specie di ultimatum: ultimo giro di consultazioni lunedì, poi incaricherà un “uomo delle istituzioni” per formare un “governo di tregua”, che durerà il tempo necessario a redigere la legge di stabilità, sotto la sorveglianza della Commissione europea che già si è fatta sentire.
I quirinalisti più addentro alle segrete cose del Palazzo riferiscono che il presidente spera anche in una modifica alla legge elettorale tale da evitare il ripetersi dell’attuale situazione. Ma non servono orecchie in quei saloni per sapere che qualsiasi proposta di modifica incontrerebbe – a seconda della stesura – l’opposizione feroce di uno dei tre “poli” (per non dire delle varie fazioni di ognuno). Giusto l’attribuzione di un più consistente “premio di maggioranza” a chi prende più voti potrebbe incontrare un consenso allargato, ma solo se non si proverà a distinguere tra “lista” e “coalizione”.
La riserva di “uomini delle istituzioni”, però, sembra essere ormai esaurita. L’identikit ideale è come sempre il “modello Draghi”, ma appare scontato che il presidente della Bce tutto prevede di fare meno che il puntaspilli alla guida di un governo senza maggioranza certa e dalla durata modestissima. Anche l’altra figura più vicina a quel modello – l’attuale governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco – ne ha dovute sopportare così tante, in questi anni (da Renzi, Boschi e tanti altri), da non permettere slanci di fantasia.
In ogni caso, però, Mattarella cercherà di formare un esecutivo che cercherà i voti in Parlamento.
Le ipotesi, in quel caso, sono soltanto due: riscuote la fiducia oppure no. Nel primo caso ha davanti meno di un anno di vita (elezioni anticipate prima del voto per il Parlamento europeo di fine maggio), ma deve imporre a forze politiche che hanno promesso tutt’altro un nuovo, pesantissimo, giro di vite sui conti pubblici, tagliando spese, servizi, diritti sociali nel mentre aumenta la spesa militare (vedi le linee del “bilancio europeo”).
L’ingresso a regime del trattato chiamato Fiscal Compact obbliga già da solo a ridurre il debito pubblico del 5% ogni anno, e mancheranno quindi anche le coperture per evitare che scattino le “clausole di salvaguardia”, ossia l’aumento dell’Iva su tutte le merci, con grave danno per i redditi più bassi. Altro che cancellare la legge Fornero e istituire il reddito di cittadinanza...
Chi potrebbe dunque garantire un simile governo? Teoricamente tutti i soggetti presenti in Parlamento, in pratica ben pochi. Gli unici “garanti” della fedeltà italiana alla Ue sono infatti Renzi e Berlusconi, i due grandi sconfitti alle elezioni, che insieme non superano il 30% dei parlamentari (compresi gli eterni “responsabili” di LeU).
La Lega di Salvini è quella che grida più forte contro questa ipotesi e le pressioni europee, pensando al vantaggio elettorale di stare all’opposizione di un programma così impopolare.
Ma su questa linea si è immediatamente schierato anche il M5S, che da un lato denuncia il “governo di tutti contro di noi”, dall’altra capisce bene che garantire la fiducia a una riedizione del governo Monti, in cui nessuno dei “loro temi” avrebbe il minimo spazio, sarebbe la propria fine. Il vecchio guru, proprio stamattina, ha addirittura rilanciato la proposta di “un referendum per la zona euro”, a conferma che il legame tra politiche di austerità interna e struttura dei trattati europei è ormai un tema su cui chiunque deve misurarsi, pena l’ininfluenza politica assoluta. O sei a favore o sei contro, al biascicare di “revisione dei trattati” non crede più nessuno.
Ma senza Lega e M5S mancherebbe la maggioranza anche per il “governo del Presidente”.
In questo secondo caso, però, un esecutivo dimezzato resterebbe in carica giusto il tempo di preparare le elezioni anticipate in autunno. E non è detto che proprio a questa soluzione non pensino anche i poteri sovranazionali.
Si tratterebbe infatti di un governo politicamente irresponsabile, ossia senza le normali preoccupazioni partitiche (costruire consenso, o perlomeno non scontentare troppi settori sociali contemporaneamente). Un governo che potrebbe accogliere senza batter ciglio ogni diktat proveniente da Bruxelles e che, come annunciato ieri da Pierre Moscovici, saranno questa volta particolarmente pesanti e pressanti. Un governo insomma per creare vicoli tali da condizionare qualsiasi governo successivo, senza più neanche la possibilità di elaborare “promesse elettorali” minimamente credibili.
Vista da questa angolatura, insomma, c’è del metodo in tanta follia.
Che cosa può mettere in discussione una prospettiva simile? Solo una ripresa generalizzata del conflitto sociale e politico, ovvero qualcosa che sembra al momento impossibile.
Ma se ne possono creare le premesse, mobilitandosi da subito per affermare una soggettività organizzata credibile, anche se al momento ancora del tutto insufficiente a far “cambiare verso” alle politiche governative. Una soggettività sociale e politica, fin qui molto incerta e dispersa, tra generosi tentativi, strenue resistenze e molti sguardi rivolti al un passato finito da tempo.
Potere al Popolo, in questa costruzione di soggettività, ha grandi potenzialità di sviluppo. Basta non considerarla – o configurarla – solo come una “lista elettorale”. Ci serve un movimento politico che pianti radici tra la nostra gente e ne stimoli la volontà di contare, di rovesciare il tavolo e chi ci pasteggia sopra da troppo tempo.
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