Nei giorni scorsi abbiamo segnalato con tempestività come gli incontri tra le autorità del “governo di Tripoli” e quelle italiane dovessero essere letti in modo molto meno rassicurante e definitivo. Il via vai di ministri italiani sulla “quarta sponda”, con obiettivi diversificati su cui arrivare ad un accordo (sul blocco dei barconi, le concessioni petrolifere, gli investimenti sull’autostrada costiera fino all’Egitto), hanno dato la chiara impressione di aver fatto i conti senza l’oste, ossia la contestuale debolezza del governo di Tripoli e il crescente peso del suo rivale Haftar che sta dilagando nell’est del paese. Tanto che il premier di Tripoli, Serraj, ha chiesto all’Italia di revocare l’embargo sulle armi per poter affrontare la situazione. Ma occorre segnalare che l’inviato speciale dell’Onu per la Libia, Ghassam Salamé, ha ribadito in un recente incontro con il premier italiano Conte che in Libia serve una pacificazione tra est e ovest del paese e che la fine dell’embargo per le armi chiesto da Serraj, con l’appoggio di Roma, spetta solo al Consiglio di sicurezza Onu.
Non solo. La Francia come noto in Libia gioca la propria partita. Lo ha fatto con i bombardamenti nel 2011 e lo sta facendo oggi sostenendo il gen. Haftar nella rivalità contro il governo di Tripoli, quello “riconosciuto dalla comunità internazionale” ma che vive praticamente assediato nella capitale del paese.
Ma nell’est libico, la Cirenaica, si assiste anche ad un crescendo di iniziative di ostilità contro l’Italia, per ora simboliche. L’ambasciatore italiano a Tripoli e i dirigenti dell’Eni, si sono visti recapitare dei tweet in cui la bandiera italiana viene bruciata e video di riunioni delle tribù della Cirenaica in cui si accusa il nuovo colonialismo italiano e si invoca la Jihad. Nelle televisioni circolano i film e i documentari sulla feroce repressione durante l’occupazione coloniale italiana e si celebra Omar Al Mukhtar, l’eroe nazionale libico impiccato dagli italiani nel 1931 su ordine del generale fascista Graziani. Qualche manifestazione anti-italiana si è vista anche nella capitale Tripoli.
Per ora siamo alla propaganda e al pressing psicologico ma, come abbiamo documentato nei giorni scorsi, le milizie del gen. Haftar stanno consolidando le loro posizioni nelle zone petrolifere contese a Ras Lanuf e Sidra e si avvicinano sempre più all’ovest, verso Tripoli. Sulla loro strada ci sono solo altre milizie ma nessuna traccia dell’esercito del governo di Tripoli. E con le milizie si può sempre raggiungere un accordo, soprattutto se alle spalle hai i soldi dell’Arabia Saudita, dell’Egitto e dei “cugini” francesi.
Il Sole 24 Ore certifica che l’interscambio commerciale tra Italia e Libia è schizzato in alto nell’ultimo anno, soprattutto grazie alla riprese del flusso di petrolio tra Tripoli e Roma: si è passati da 1,6 miliardi nel 2016 a 2,6 miliardi nel 2017. Se poi a ciò si aggiungono anche i prodotti petroliferi raffinati in loco e portati in Italia, l’import legato al greggio costituisce la quasi totalità degli acquisti italiani dalla Libia. Ma le esportazioni italiane in Libia sono ancora ferme a 1 miliardo di euro, soprattutto in macchinari, prodotti tessili e prodotti petroliferi raffinati e riesportati.
Appare evidente come la capacità di manovra in Libia del governo italiano, in mano ad avventurieri come Salvini o dilettanti allo sbaraglio, si vada riducendo sempre più significativamente. Il ministro degli esteri Moavero, dopo la recente visita a Tripoli e il rinnovo del Trattato di amicizia italo-libico (quello seppellito dai bombardamenti anche italiani nel 2011) ha lasciato trapelare che intende parlare anche con il gen. Haftar. Ma potrebbe non bastare.
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