Vista da fuori, la querelle tra Di Maio, Tria, Salvini e Boeri sul numero di disoccupati che creerebbe il cosiddetto “decreto dignità” è decisamente divertente. E molto istruttiva.
Il nostro giudizio sulla prima versione di questo decreto l’abbiamo dato subito, e non ci sembra di doverlo correggere, visti i “peggioramenti” che sono stati fin qui concordati (reintroduzione dei voucher, più “flessibilità” sulle causali dei contratti a termine, ecc). In pratica, per chi lavora, cambia poco o nulla; così come per le imprese. Solo un’operazione pubblicitaria per dare a Di Maio e all’ala Cinque Stelle del governo un po’ di visibilità in più rispetto allo straripante Salvini sul bagnasciuga, a fare la sentinella conto i barconi.
Nonostante la pochezza, però, i campioni del neoliberismo rimasti in carica anche dopo il disastro elettorale del Pd hanno trovato il modo di fare un po’ di cagnara. Gli ormai famosi “8.000 occupati in meno”, apparsi nottetempo nella Relazione tecnica che accompagna il provvedimento nel suo iter verso la discussione in Parlamento, hanno fatto evocare “complotti”, “manine” e “manone” come ai gloriosi vecchi tempi della DC e di Craxi.
Lì per lì i grillini se la sono presa col ministro dell’economia, Giovanni Tria, che nell’esecutivo rappresenta insieme a quello degli esteri (Moavero Milanesi) la “garanzia europeista”, ovvero il rispetto dei trattati e degli impegni presi in materia di bilancio. Poi Di Maio e Tria hanno emanato una nota congiunta da cui si capisce che la “manina” è di Tito Boeri, presidente dell’Inps nominato da Renzi ed economista famoso per l’intransigente difesa dei dogmi neoliberisti conditi da un sorriso piacione.
La nota sarebbe forse bastata a tacitare i malumori infra-governativi, senza sollevare altri conflitti, se non ci fosse stata una critica che “un professionista dell’economia” non poteva far finta di non vedere: «il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ritiene che le stime di fonte Inps sugli effetti delle disposizioni relative ai contratti di lavoro contenute nel decreto siano prive di basi scientifiche e in quanto tali discutibili».
“Privo di basi scientifiche” significa che quei numeri sono inventati, messi lì solo per creare diffidenza nei confronti del governo, uno sgambetto politico... E uno come Boeri non se la poteva ovviamente tenere.
Nella sua risposta c’è però davvero il concentrato della voodoo economics che regola il mondo, spacciata per verità scientifica unanimemente riconosciuta. E una visione del mondo che spiega benissimo come il mondo del lavoro sia arrivato a contare zero, il Pd a scomparire dalla scena politica e “la sinistra” a essere identificata come “nemico del popolo”.
«Siamo ai limiti del negazionismo economico. Il provvedimento comporta un innalzamento del costo del lavoro per i contratti a tempo determinato e un aumento dei costi in caso di interruzione del rapporto di lavoro per i contratti a tempo indeterminato. In presenza di un inasprimento del costo del lavoro complessivo, l’evidenza empirica e la teoria economica prevedono unanimemente un impatto negativo sulla domanda di lavoro. In un’economia con disoccupazione elevata, questo significa riduzione dell’occupazione. È difficile stabilire l’entità di questo impatto, ma il suo segno negativo è fuori discussione. La stima dell’Inps è relativamente ottimistica. Prevede che il 10% dei contratti a tempo determinato che arrivano a 24 mesi di durata non vengano trasformati in altri contratti, ma diano luogo a flussi verso la disoccupazione riassorbiti al termine della durata della Naspi. Non si contemplano aggravi occupazionali legati alle causali. In termini assoluti l’effetto è trascurabile: si tratta dello 0,05% dell’occupazione alle dipendenze in Italia».
Abbiamo messo in evidenza il passaggio che ci sembra decisivo: se il costo del lavoro aumenta, anche solo di una frazione infinitesimale (lo 0,5%, nel caso di rinnovo del contratto a termine, previsto dal decreto), l’occupazione scende. Il che è vero solo in una situazione di perenne crescita zero. Sembra invece di sentire, dietro le forbite e accademiche parole di Boeri, l’urlo scomposto delle imprese italiote che sono disposte ad assumere solo se possono retribuire il lavoro il meno possibile (il sogno è il “lavoro gratuito che fa curriculum”, come sperimentato per Milano Expo 2015).
E si comprende anche perché le imprese italiche siano così poco competitive con quelle del resto del mondo. L’idea di “sistema economico” che sta dietro quelle parole è infatti una specie di danza immobile, dove la situazione non cambia mai, non si cresce mai, a somma zero; e dunque ogni sopravvivenza dell’impresa si fonda sull’impoverimento del lavoro. E’ l’introiezione della stagnazione permanente, senza progetti e senza speranze, di fatto di un sistema di imprese senza futuro.
Che questa “visione” possa essere dipinta come l’“opposizione democratica e liberale” a un governo effettivamente fascioleghista e pasticcione dà la misura della devastazione del quadro politico nazionale. E’ come se, sulla legislazione del lavoro, si fosse scatenata una gara a chi è più boia. La destra fa finta di voler “dare qualcosa”, ma si guarda bene ovviamente dal farlo sul serio; l’opposizione “democratico-scientifica” ribatte polemica che non bisogna nemmeno far finta. Sia mai detto che poi i lavoratori si convincano che qualcosa, in effetti, gli spetta...
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