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02/01/2019

Siria - I curdia chiamano Assad e fanno infuriare Erdogan

di Michele Giorgio – il Manifesto

Mosca approva, Ankara no ed è pronta ad intervenire per impedire che le forze armate siriane riprendano il pieno controllo della città di Manbij su richiesta delle Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) proprio per affrontare la minaccia posta dalla Turchia.

Al momento non è certo che le truppe agli ordini del presidente Bashar Assad siano in ogni punto di Manbij. La bandiera siriana sarebbe stata issata nella città subito dopo l’ingresso dell’esercito regolare.

Altre parti però, a cominciare dal Pentagono, lo smentiscono. Damasco comunque si muove con i piedi di piombo, nonostante il via libera giunto dall’alleata Russia che, attraverso il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ha definito il passo «positivo» verso la «stabilizzazione dell’area».

IL PRESIDENTE TURCO ERDOGAN è furioso. L’annuncio del ritiro Usa dalla Siria prima e poi l’abile mossa fatta dai curdi, ha messo in forte dubbio il suo disegno per un controllo turco su un’ampia porzione della Siria settentrionale, per assecondare i suoi appetiti territoriali e, allo stesso tempo, per impedire qualsiasi forma di autodeterminazione curda nel Rojava. A maggior ragione ora che Ypg e le Sdf curdo-arabe (fino a qualche giorno fa appoggiate direttamente da Washington) hanno intensificato i negoziati con Damasco sul futuro assetto delle regioni settentrionali a maggioranza curda.

Erdogan sostiene che, per ora, Bashar Assad starebbe conducendo solo «un’azione psicologica» a Manbij. «Al momento non ci sono sviluppi seri e concreti», ha affermato, ribadendo che l’integrità territoriale della Siria «non avrà nulla da fare a Manbij». Non è quello che pensano a Damasco, almeno a leggere il comunicato diffuso ieri dalla Sana. «Sulla base del pieno impegno delle forze armate – si legge nel testo dell’agenzia di stato siriana – ad assumere responsabilità nazionali nell’imposizione della sovranità statale su ogni parte del territorio della Repubblica araba siriana e in risposta all’appello della popolazione locale, il comando generale delle Forze armate annuncia l’ingresso di unità dell’esercito siriano a Manbij». D’altronde Assad continua a rafforzarsi diplomaticamente. Emirati Arabi e Bahrain, suoi nemici nonché finanziatori delle milizie islamiste e jihadiste che hanno combattuto l’esercito siriano negli ultimi sette anni, hanno ormai riconosciuto la sua vittoria e riaperto, o si preparano a farlo, le ambasciate a Damasco.

È DI QUALCHE GIORNO fa la visita ufficiale nella capitale siriana del presidente sudanese Bashir (da qualche tempo un alleato di ferro dell’Arabia Saudita). E la riammissione nella Lega araba della Siria ormai è cosa fatta. Erdogan comunque fa la voce grossa. Nelle prossime ore la Turchia avrà colloqui con la Russia per impedire che l’esercito siriano entrando a Manbij faccia da cuscinetto tra le truppe turche e i combattenti curdi, complicando, e parecchio, i piani di Erdogan.

IL RISCHIO DI UNA ESCALATION armata è elevato. Il portale d’informazione al Masdar riferiva ieri sera che un «grande numero di combattenti» dell’Esercito dell’Islam, una formazione mercenaria siriana formata da salafiti, ora agli ordini della Turchia e prima dell’Arabia Saudita, si stava dirigendo verso Manbij. Da tempo la Turchia minaccia un intervento militare a Manbij, sul cui controllo aveva stretto lo scorso giugno un accordo con gli Usa volto all’allontanamento dall’area dei combattenti curdi. Il quadro è cambiato dopo che il 19 dicembre Trump ha annunciato il ritiro delle forze Usa dalla Siria. Mossa che ha spianato la strada all’offensiva turca ma che ha anche indotto le Ypg a chiedere aiuto ad Assad.

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