di Michele Giorgio – il Manifesto
Mosca approva, Ankara no ed è
pronta ad intervenire per impedire che le forze armate siriane
riprendano il pieno controllo della città di Manbij su richiesta delle
Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) proprio per affrontare la
minaccia posta dalla Turchia.
Al momento non è certo che le truppe agli ordini del presidente
Bashar Assad siano in ogni punto di Manbij. La bandiera siriana sarebbe
stata issata nella città subito dopo l’ingresso dell’esercito regolare.
Altre parti però, a cominciare dal Pentagono, lo smentiscono. Damasco
comunque si muove con i piedi di piombo, nonostante il via libera
giunto dall’alleata Russia che, attraverso il portavoce del Cremlino
Dmitry Peskov, ha definito il passo «positivo» verso la
«stabilizzazione dell’area».
IL PRESIDENTE TURCO ERDOGAN è furioso. L’annuncio
del ritiro Usa dalla Siria prima e poi l’abile mossa fatta dai curdi, ha
messo in forte dubbio il suo disegno per un controllo turco su un’ampia
porzione della Siria settentrionale, per assecondare i suoi appetiti
territoriali e, allo stesso tempo, per impedire qualsiasi forma di
autodeterminazione curda nel Rojava. A maggior ragione ora che Ypg e le
Sdf curdo-arabe (fino a qualche giorno fa appoggiate direttamente da
Washington) hanno intensificato i negoziati con Damasco sul futuro
assetto delle regioni settentrionali a maggioranza curda.
Erdogan sostiene che, per ora, Bashar Assad starebbe conducendo solo
«un’azione psicologica» a Manbij. «Al momento non ci sono sviluppi seri e
concreti», ha affermato, ribadendo che l’integrità territoriale della
Siria «non avrà nulla da fare a Manbij». Non è quello che pensano a
Damasco, almeno a leggere il comunicato diffuso ieri dalla Sana. «Sulla
base del pieno impegno delle forze armate – si legge nel testo
dell’agenzia di stato siriana – ad assumere responsabilità nazionali
nell’imposizione della sovranità statale su ogni parte del territorio
della Repubblica araba siriana e in risposta all’appello della
popolazione locale, il comando generale delle Forze armate annuncia
l’ingresso di unità dell’esercito siriano a Manbij». D’altronde Assad
continua a rafforzarsi diplomaticamente. Emirati Arabi e Bahrain, suoi
nemici nonché finanziatori delle milizie islamiste e jihadiste che hanno
combattuto l’esercito siriano negli ultimi sette anni, hanno ormai
riconosciuto la sua vittoria e riaperto, o si preparano a farlo, le
ambasciate a Damasco.
È DI QUALCHE GIORNO fa la visita ufficiale nella
capitale siriana del presidente sudanese Bashir (da qualche tempo un
alleato di ferro dell’Arabia Saudita). E la riammissione nella Lega
araba della Siria ormai è cosa fatta. Erdogan comunque fa la voce
grossa. Nelle prossime ore la Turchia avrà colloqui con la Russia per
impedire che l’esercito siriano entrando a Manbij faccia da cuscinetto
tra le truppe turche e i combattenti curdi, complicando, e parecchio, i
piani di Erdogan.
IL RISCHIO DI UNA ESCALATION armata è elevato. Il
portale d’informazione al Masdar riferiva ieri sera che un «grande
numero di combattenti» dell’Esercito dell’Islam, una formazione
mercenaria siriana formata da salafiti, ora agli ordini della Turchia e
prima dell’Arabia Saudita, si stava dirigendo verso Manbij. Da tempo la
Turchia minaccia un intervento militare a Manbij, sul cui controllo
aveva stretto lo scorso giugno un accordo con gli Usa volto
all’allontanamento dall’area dei combattenti curdi. Il quadro è cambiato
dopo che il 19 dicembre Trump ha annunciato il ritiro delle forze Usa
dalla Siria. Mossa che ha spianato la strada all’offensiva turca ma che
ha anche indotto le Ypg a chiedere aiuto ad Assad.
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