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01/05/2023

Schlein, l’errore seriale dell’intervista a Vogue

Pensavo, e penso ancora oggi, che il protagonismo di Elly Schlein nella politica istituzionale sia un fatto comunque positivo. Nel senso che l’effetto Schlein comunque impone, ad alleati come ad avversari, un salto di qualità nelle politiche della comunicazione come nella sostanza del politico. Questo salto di qualità si impone anche nell’analisi degli errori della Schlein e del suo staff come nel caso, chiaro, dell’intervista a Vogue. In questo caso possiamo parlare di errore seriale, errore che ne contiene diversi, quindi, a maggior ragione, vale la pena parlarne.

Intendiamoci, se Vogue intervistasse Lula o Mélenchon non si potrebbe parlare, salvo dichiarazioni estemporanee, di danno di immagine agli intervistati perché entrambi hanno un profilo identitario ben strutturato, una riconoscibilità che permette loro di parlare ovunque. Se lo fa Elly Schlein invece accade proprio questo: non avendo, o non avendo ancora, un profilo strutturato e una riconoscibilità diffusa la segretaria del PD finisce per essere risucchiata dalla forza comunicativa del brand della testata che la intervista.

E qui l’errore si fa seriale: non essendo una intervista di Schlein su Vogue ma soprattutto una intervista di Vogue a Schlein, nella quale il peso dell’immagine della testata prevale nettamente su quello del personaggio prescelto, ogni dettaglio del colloquio pubblicato finisce per essere un contenuto indirizzato dalla rivista piuttosto che espressione della coerenza dei contenuti dell’intervistata. Di qui le polemiche su ogni dettaglio si sprecano e ogni specifica polemica da la sensazione dell’errore di comunicazione.

Ancora peggiore, nella battaglia continua per la conquista dell’opinione pubblica, il fatto che l’intervista a una testata come Vogue confermi su Schlein i peggiori pregiudizi che circolano sulla “sinistra”: area politica guidata da snob e figli gender fluid di famiglie bene, gente che usa il “popolo” per i propri scopi e che può permettersi la personal shopper e dedicarsi a gusti elitari e sofisticati (l’emergere sui social dell’intervista alla personal shopper sarà servita alla carriera di questa persona ma qui è una grossa autorete comunicativa).

Una parte dell’elettorato di sinistra, e una parte di quello potenziale, va ai Discount e l’unico shopper che conosce è la busta di plastica di pochi centesimi nel quale mettere la spesa. Se la Schlein voleva fare il botto, visto che ha potenziale di immagine, doveva prima finire al Discount per una rivista che costa poco ed è molto popolare. Di lì, una volta strutturato il personaggio tra le masse con presenze innovative e intense, la scalata a Vogue avrebbe avuto un senso, anche di forza, dal punto di vista comunicativo.

È evidente che l’intervista a Vogue, visto il potere globale della testata, internazionalizza un personaggio che è segretario di un partito italiano ma comunque è cittadino di tre paesi. Una operazione di rafforzamento dell’immagine globale della Schlein che è un indebolimento di quella nazionale, quella grazie alla quale si prendono i voti.

Qui si può cogliere l’errore di impostazione della Schlein per la quale i ritorni di immagine avvengono sul piano dei “valori” (diritti LGBT, 25 aprile, migranti) ma non sul piano della società e dei suoi luoghi da presidiare (luoghi di lavoro tradizionali e non, centri fitness, associazionismo, monumenti, non luoghi...). Il piano della politica dell’immagine sui valori, che poi formano i contenuti della vita istituzionale, ha poco senso se non radicato nella rappresentazione dei luoghi del tipo di società nella quale si richiede consenso. E, infatti, l’intervista a Vogue appare pienamente distaccata dalla società reale.

Dal punto di vista dei sondaggi, nonostante Repubblica usi parte dei sondaggi usciti per accorciare il divario nelle intenzioni di voto tra Schlein e Meloni, il PD è ancora lontano dall’invertire la tendenza elettorale per sé stesso e per il centrosinistra (o campo largo o cosa potrebbe essere). Il PD nelle intenzioni di voto ha risucchiato consenso ai potenziali alleati ma il centrodestra viaggia sempre attorno al 45 per cento (per la legge elettorale presente significa vittoria sicura). Per invertire la tendenza Schlein dovrà parlare meno di valori, tema che ha esaurito il potenziale di attrazione, e più della società. Non sarà facile visto che, al momento, l’impostazione della Schlein è tutta su valori, diritti civili e buone pratiche e sulla convinzione che le campagne sul clima attraggano milioni di voti.

Certo, si dovrebbe anche parlare di sostanza politica, di visione della società e non solo di strategie di marketing. Qui l’impressione è che fino a quando il PD, avvolgendo il tutto con parole arcobaleno, appoggerà le posizioni da guerra permanente in Ucraina sarà difficile vedere qualcosa di innovativo in politica interna e nella visione della società. Ma questo è un altro piano come lo è quello dell’intreccio tra il marketing della politica e la sostanza del politico.

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