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03/11/2023

ISEE, un incentivo al "lavoro povero"?

La progressività delle imposte è il principio costituzionale che prevede di perequare il carico fiscale, in modo da farlo pagare in misura maggiore a coloro che dispongono di redditi più elevati.

A questa progressività della tassazione si è aggiunto un sistema di agevolazioni all'atto della erogazione di servizi pubblici, ovvero di condizioni di favore a seconda del livello di reddito. Quando si esce da un sistema di spesa pubblica a fruizione universale e gratuita, come ad esempio quello della scuola dell'obbligo o delle cure ospedaliere, ci si basa nuovamente sul reddito. Sono stabiliti ai fini della esenzione dal pagamento dei ticket sanitari, che rappresentano un contributo in denaro per ottenere i medicinali che vengono prescritti, per effettuare analisi diagnostiche o per usufruire di altre prestazioni. Lo stesso vale per le tasse universitarie: sono previste fasce di reddito in relazione a cui aumentano.

In pratica, alla progressività del prelievo fiscale si è aggiunta una progressiva riduzione della gratuità nella fruizione dei servizi pubblici.

Un principio teoricamente corretto crea però delle distorsioni nella pratica: quando si fissa un determinato livello di reddito o di patrimonio, personale o familiare come l'ISEE, come condizione per poter accedere gratuitamente o a condizioni agevolate ad una serie sempre più numerosa di servizi, come ad esempio gli asili nido, ovvero per essere esonerati dal pagamento dei ticket sanitari, ovvero delle tasse scolastiche, si creano giuste condizioni di favore per coloro che hanno redditi bassi che determinano però l'incentivo formidabile a non perderle.

Basta un piccolo aumento del reddito per perdere l'intero complesso dei benefici. È successo anche con gli "80 euro in busta paga": la soglia per poter beneficiare di questa erogazione era tale per cui anche un modesto scatto stipendiale, che faceva superare la soglia ammissibile, comportava la perdita dell'intero contributo. Molti si sono visti richiedere indietro la somma così percepita, trattenuta con il conguaglio fiscale di fine anno.

Si è avviata una distorsione che pare inarrestabile: la necessità di sostenere coloro che hanno redditi modesti viene soddisfatta riducendo le imposte ed aumentando i benefici pubblici. La pressione per ottenere incrementi salariali con i rinnovi contrattuali viene dirottata congiuntamente, sia da parte delle organizzazioni datoriali sia da quelle sindacali, verso la spesa pubblica: si procede così al taglio del cuneo fiscale o alla concessione di sempre nuovi servizi pubblici gratuiti, ma sempre a condizione che si rientri nel calcolo dell'ISEE che non è determinato su base personale ma familiare. I sindacati si trasformano così in agenzie per ottenere le agevolazioni pubbliche.

Di recente, si è proposto di escludere dal computo dell'ISEE gli investimenti in titoli di Stato fino a 50 mila euro: ci si è accorti che i limiti patrimoniali erano troppo bassi o forse si è cercato di ricompensare il "Bot People".

Sarebbe opportuno ripensare questi meccanismi, che incentivano il "lavoro povero" e soprattutto il "lavoro nero": nelle condizioni attuali, aumentare il proprio reddito o farlo emergere significa perdere tutti i benefici finora garantiti.

È stata costruita una sorta di gabbia socio-economica fondata sull'ISEE, che non si può né allargare perché salterebbero in aria i conti pubblici, né restringere perché la sopravvivenza di molte famiglie dipende dai benefici di cui ora può disporre.

Bisogna cambiare il paradigma della crescita, basandola sull'aumento della produttività e dunque sugli investimenti delle imprese e non più sulla competitività di prezzo e dunque sui bassi salari: occorre premiare la creazione di valore aggiunto.

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