06/12/2013
I soldati francesi combattono in Centrafrica
È iniziata ufficialmente questa mattina con alcuni pattugliamenti per le strade di Bangui l’ennesima operazione militare francese in Africa, denominata ‘Sangaris’ – dal nome di una farfalla rossa tipica delle foreste locali – nella Repubblica Centrafricana. Lo ha annunciato in pompa magna il ministro francese della Difesa, Jean Yves Le Drian, promettendo che “la Francia resterà nel paese per poco tempo”. Esattamente quanto avevano già detto i vari governi francesi sulle missioni militari in Costa d’Avorio e in Mali, dove l’esercito francese è impegnato in vere e proprie missioni di occupazione, anche se con il consenso di buona parte della cosiddetta “comunità internazionale” che sembra aver riconosciuto il diritto di Parigi di regolare i conti nelle ex colonie.
Ieri sera il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha votato il via libera all’intervento militare nel paese scosso dalla guerra civile. La missione prevede l’invio di 1200 soldati francesi, e viene giustificata con l’esigenza di ristabilire le condizioni di sicurezza nell’ex colonia dove sono attivi numerosi gruppi di ribelli islamisti. Nel dispositivo delle Nazioni Unite si afferma che i militari francesi, in appoggio ai caschi blu africani già dispiegati nel paese nell’ambito della Missione internazionale di sostegno al Centrafrica (Misca), “dovranno assicurare la stabilità sul territorio centrafricano, in attesa della transizione politica”. In realtà la Francia è presente da tempo in Centrafrica nell’ambito dell’operazione Boali, che prevedeva la presenza nel paese di 400 militari a difesa dei cittadini e degli interessi di Parigi, ora messi a rischio da un’escalation di scontri settari, etnici e interreligiosi.
Ma in realtà l’intervento straniero va a sostenere un governo e un presidente, Michel Djotodia, che si è impossessato del potere nel marzo scorso attraverso un colpo di stato militare. In precedenza era egli stesso a capo della ribellione Seleka, sciolta appena conquistato il potere ma che ora ha ripreso le armi contro il governo e le comunità cristiane. I ribelli sono accusati di aver fomentato violenze e perpetrato numerosi crimini ai danni della popolazione civile che si è organizzata in milizie popolari dette anti-Balaka, accusate anch’esse di numerosi crimini.
A Bangui, nonostante il coprifuoco, sono state segnalate violenze ed esecuzioni sommarie. Secondo alcune fonti all’interno di una moschea situata nel quartiere di Pk-5 e nelle strade circostanti sono stati ammassati i corpi senza vita di 80 persone. Tre giorni fa a Boali, a soli 95 chilometri da Bangui, milizie locali di auto-difesa chiamate anti-Balaka (a maggioranza cristiana) hanno attaccato di notte un accampamento di pastori della comunità minoritaria dei Mbororo, per lo più di confessione musulmana, uccidendo 12 persone e ferendo gravemente con armi da taglio una decina di bambini.
Elementi incontrollati della coalizione ribelle Seleka – autrice del colpo di stato che ha portato al potere Michel Djotodia ma ufficialmente sciolta a settembre – si sono ritirati da Bangui negli ultimi giorni temendo il dispiegamento di truppe straniere.
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