Alla fine il discorso del Re è arrivato. Felipe di Borbone, Re di Spagna, ha parlato sulla questione dell’indipendenza della Catalogna ed ha ratificato che non ci sarà alcuna mediazione.
Trincerandosi dietro la Costituzione del 1978 firmata dal Re di Spagna, risultato di un pessimo compromesso con il franchismo e contestata da sempre da tutte le forze progressiste, l’attuale sovrano ha fatto capire che le autorità spagnole non accetteranno alcun terreno di negoziato su una Catalogna indipendente. Una dichiarazione di guerra e una doccia fredda su tutte le forze moderate e della sinistra spagnola ed europea che avevano invocato una mediazione tirando per la giacca l’Unione Europea.
Una invocazione a nostro avviso illusoria e impropria, vediamo perché:
1) Non dovremmo mai dimenticare come il Trattato di Maastricht, istitutivo dell’Unione Europea, sui dodici capi di stato firmatari vede ben cinque re, regine ed un granduca (i re di Spagna, Olanda, Belgio, Danimarca, Gran Bretagna e il granduca di Lussemburgo). Un fatto formale si è sempre detto, eppure la Spagna ci sta dimostrando che così non è. Diversamente, tre anni fa, la Regina di Inghilterra si era limitata a dire agli scozzesi di “pensarci bene” prima di votare nel referendum sull'indipendenza della Scozia.
Ma una Europa in cui nel XXI Secolo sono ancora i Re a dettare le tabelle di marcia della politica che tipo di mondo evoca? Siamo veramente dentro quel paradiso della democrazia liberale che ci viene spacciato come il migliore dei mondi possibili?
2) Lo Stato spagnolo in tutte le sue articolazioni, non intende mediare. In questo c’è tutta l’eredità del franchismo, superata in gran parte della società ma niente affatto superata negli apparati ideologici dello Stato spagnolo. Sono passati meno di quaranta anni dalla transizione, e il modo in cui in questi decenni è stata ad esempio affrontata la questione di Euskadi o misure recenti come la “ley mordaza”, ci dicono che il modello reazionario franchista è ancora ben radicato negli ambiti amministrativi e di potere, ed anche in settori di società della “Spagna profonda”, quella meno nota, meno suggestiva, meno sintonizzata sul dinamismo di cui il paese ha dato mostra di sé.
Ma la non mediazione dello Stato spagnolo sulla Catalogna, è il frutto avvelenato proprio dell’Unione Europea. La Spagna è, suo malgrado, un Pigs, uno dei paesi euromediterranei condannati dalla gerarchizzazione imposta da Bruxelles alla subalternità verso il nucleo centrale della Ue.
Se fino a dieci anni fa c’erano i margini economici per la mediazione, incluso sugli statuti delle comunità come la Catalogna ed Euskadi, dopo il 2011 i diktat dell’Unione Europea hanno ipotecato ogni uso delle risorse disponibili, negandolo alla soluzione dei problemi e della domande interna dei paesi euromediterranei. Il massacro sociale e politico della Grecia è stato il monito severo e brutale che ha sancito questo stato dei rapporti di forza a livello europeo. Oggi lo stato spagnolo non può destinare le proprie risorse alla mediazione sociale e nazionale interna: “glielo ha chiesto l’Europa”.
3) La lotta popolare per l’indipendenza della Catalogna ha strappato il velo non solo sulla realtà dello stato spagnolo ma anche sull’Unione Europea, minandone profondamente la credibilità e soprattutto la legittimità democratica. Aver costruito una organizzazione statale sovranazionale senza un mandato popolare (il parlamento europeo non ha poteri deliberativi), privando gli stati membri della sovranità e della possibilità di poter gestire le proprie risorse per la soluzione dei problemi interni, segnala che il famoso “deficit democratico” denunciato da anni, è diventato una voragine. Il fatto che ogni volta che un trattato europeo sottoposto a referendum sia stato bocciato (in Francia, in Olanda, in Danimarca, in Irlanda, fino ad arrivare all’Oxi in Grecia e alla Brexit), ci svela che la democrazia non può essere connaturata al processo di costruzione di un polo imperialista europeo come è la Ue.
4) Ma la solitudine della Catalogna, così come quella della Grecia dell’Oxi, lanciano un allarme chiaro e forte che da soli non ce la si può fare. La mobilitazione popolare di questi giorni, incluso uno sciopero generale in Catalogna convocato solo dai sindacati di base e alternativi eppure ampiamente riuscito, sono segnali straordinari. Ma è altrettanto evidente che un progetto di alleanze e di integrazione regionale alternativa a quella imperialista è oggi un percorso da instradare con forza e con urgenza anche negli altri paesi europei.
Quando in questi anni abbiamo avanzato la proposta di una area alternativa euromediterranea rompendo con l’Eurozona e con l’Unione Europea, non era una suggestione intellettuale ma una valutazione sulle possibilità della rottura “oggi”, nel XXI Secolo, negli anelli deboli della catena imperialista europea.
Prima la Grecia ed ora la Catalogna sono i primi tentativi che possono spingere oggettivamente in questa direzione. Che molte compagne e compagni non colgano le contraddizioni che si presentano davanti ai propri occhi (per quanto spurie e imperfette possano essere), né le possibilità che ne derivano, è la conferma di una arretratezza di cui occorre liberarsi per riaprire la prospettiva della rottura e del cambiamento politico e sociale nel XXI Secolo.
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