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03/01/2019

Come rinasce un movimento di classe sotto i nostri occhi

La misura della devastazione prodotta nella cultura della “sinistra” si è avuta con gli atteggiamenti riservati – non dappertutto, ma da molte parti – al movimento dei gilet gialli in Francia.

Molti si son fatti persuadere dal vade retro pronunciato dai disinformation maker di Repubblica, Corriere, e financo il manifesto, ormai maggioritariamente rivolto contro tutto ciò che odora di conflitto sociale, “disturbo della quiete pubblica”, esangue retorica umanitaria ben attenta a non intralciare il cammino del capitale globalizzato (che non lo è più tanto, ma è inutile dirglielo).

All’origine di questa operazione stanno le “fonti francesi”, quasi sempre ridotte all’ex entourage di François Hollande, da cui sono usciti sia l’orrido Emmanuel Macron, sia il neo-falangista Manuel Valls (ex primo ministro “socialista”, che si è ricordato delle sue lontane origini catalane solo per candidarsi a sindaco di Barcellona con l’appoggio della destra anti-indipendentista e anti-repubblicana; non va dimenticato che la Spagna conserva sia la monarchia sia l’impianto della Costituzione franchista).

Ci si è insomma a tal punto dimenticati il modo ci cui si sviluppano i movimenti da non riconoscerli neppure quando nascono sotto i nostri occhi. La causa vera – quella che infetta la “cultura politica” e dunque le griglie di lettura del reale – è nella storia dei partiti di massa del secondo Novecento. Un lungo periodo durante il quale le contraddizioni tra le classi, in Europa, venivano gestite con la mediazione tra interessi sociali diversi e le politiche keynesiane. Il bastone del comando restava in mano al capitale, ci mancherebbe, ma gli interessi operai o in senso lato proletari e “popolari” venivano organizzati, incanalati, rappresentati e riconosciuti come legittimi fino a diventare proposte di legge, rivendicazioni di riforme (con qualche successo, dopo aspri conflitti, negli anni ‘70).

Partiti, organizzazioni sindacali, associazioni facevano insomma da “corpi intermedi” tra la popolazione e lo Stato. E ogni frazione sociale rilevante aveva il suo “partito di massa” (Dc, Pci, Psi, Pli, Psdi, Pri, ecc, in Italia, con corrispondenti formazioni in ogni paese europeo occidentale). I movimenti, in quell’ambiente, erano sempre riconducibili a questo o quel partito, filone culturale, sistema di raccolta e trasformazione dei bisogni in programmi politici riconoscibili. Ciò che non era riconducibile a “noi” era mosso certamente da qualcun altro.

I gilet gialli, non essendo inizialmente assimilabili a nessun altro movimento noto, e muovendosi apertamente contro il “nuovo campione dell’europeismo” insediato all’Eliseo, dovevano perciò essere per forza di destra. E la destra vera ci ha anche provato, per un paio di settimane, a farsi passare come espressione parlamentare della rabbia di piazza. E lo stesso Macron l’ha indicata come sbocco politico “accettabile” come il meno peggio, per il potere che rappresenta. Poi, di fronte a una lista di rivendicazioni incompatibili con il lepenismo (aumento del salario minimo!, edilizia pubblica!, orrore...) e a una conflittualità di piazza che non ha timore di battagliare con la polizia, si è allineata “criticamente” alla linea della repressione.

Vi proponiamo questo articolo che abbiamo tradotto da Nvo – testata vicina al sindacato Cgt – perché descrive i problemi e gli stimoli incontrati dai sindacalisti “normali” nell’avvicinare coloro che avevano iniziato a bloccare la circolazione automobilistica su rotonde, caselli autostradali, vie di grande traffico.

Forse senza neanche volerlo, questo servizio mette in primo piano buona parte dell’abc del lavoro politico e sindacale, che ognuno di noi dovrebbe maneggiare con naturalezza, se si vuole cambiare qualcosa. Qualcosa messo da parte per decenni, fino a essere “nuovo” per una generazione di sindacalisti che non ne aveva mai avuto esperienza. Descrive anche la classe reale – nell’occidente capitalistico all’inizio del terzo millennio – che non ha conoscenza di quasi nulla di quel che la riguarda in ogni aspetto della vita (la struttura contabile del salario, il ruolo della tassazione, l’esigibilità dei diritti, ecc.) ma che si trova con le spalle al muro quando il salario reale non basta più per campare.

In termini classici diremmo “scende al di sotto del livello che consente la riproduzione della forza lavoro”.

La Cgt non è, nell’insieme, un sindacato particolarmente conflittuale. Corrisponde all’italiana Cgil, negli schemi delle appartenenze ai tempi dei “partiti di massa”, senza peraltro aver vissuto stagioni altrettanto esaltanti. Ma un sindacato non ancora del tutto (in larga parte sì, e lo si capisce bene dalle varie testimonianze riferite nell’articolo) ridotto a gigantesco Caf. Ovvero a una struttura di assistenza-consulenza di lavoratori e pensionati per i problemi minuti creati da normative elefantiache, relazioni problematiche sul posto di lavoro, o anche “facilitazioni” per gli iscritti in materia di turni, carriera, ecc.

Il movimento dei gilet gialli ha posto un problema enorme e sta strappando persino un sindacato così dal torpore oppiaceo che pervade beatamente i suoi cugini della Cgil (sia chiaro: l’oppio di cui parliamo non è fatto di sostanze chimiche, ma di “enti bilaterali” e altre forme di finanziamento del sindacato che lo vincolano da decenni a una “complicità” esplicita con le aziende e i partiti in odor di governo).

Può accadere di tutto. La partita è apertissima. Ma un movimento che nasce per profondissime ragioni sociali – bisogni primari, non seghe mentali o retorica un tanto al chilo – va analizzato, capito, partecipato, politicamente conteso.

In Francia l’hanno capito da subito in pochi (La France Insoumise, in particolare). Poi si sono mossi anche un sindacato quasi decotto come la Cgt, un partito uscito dal letargo come il Pcf (dopo aver cambiato traumaticamente il segretario; e certo non è una coincidenza fortuita) e persino qualche ex componente “socialista” che prova a sopravvivere.

La comprensione di questa dimensione della lotta sociale e politica, in Italia, è molto arretrata. Per questo insistiamo nel fornire informazione e strumenti interpretativi totalmente alternativi alla menzogna mainstream.

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Giubbotti gialli e CGT: convergenze sulle rotonde

Cyrielle Blaire

https://www.nvo.fr

Dal 17 novembre, i militanti della CGT hanno incontrato i giubbotti gialli. Là dove la corrente passa, queste riconciliazioni hanno fatto emergere numerose convergenze nelle rivendicazioni.

Quando i giubbotti gialli hanno lanciato la loro prima chiamata per protestare il 17 novembre, la CGT si rifiutò di prendere parte alle manifestazioni là dove il Rassemblement National (RN) decideva di marciare. Nessun problema a manifestare a fianco dell’estrema destra. “All’inizio eravamo molto sospettosi”, ammette Fabrice David, segretario del sindacato nel dipartimento CGT Loire-Atlantique. Come questo attivista, molti della CGT sono diffidenti nei confronti di questo movimento anti-tasse nato sui social network a cui molti piccoli imprenditori si sono associati.

Persone che non avevamo mai visto

Negli uffici del sindacato, vedono quindi l’arrivo di lavoratori sconosciuti nel battaglione. “Le persone mobilitate nei giubbotti gialli sono dipendenti di piccole imprese in cui c’è poca presenza, dipendenti pubblici precari che non avevamo mai visto”, dice Pierre Marsein, segretario del sindacato CGT nel dipartimento Haute-Loire. “Nella regione gli stipendi sono inferiori del 20% rispetto alla media nazionale, abbiamo un sacco di tempo parziale sofferto, di donne single. Le persone sono sfruttate, c’è totale esasperazione e grande rabbia”.

A Orléans, l’unione dipartimentale CGT viene contattata dopo aver visto un volantino della CGT sui social network. “Sono giovani che non sapevano nulla dei sindacati, degli scambi di lavoro. Abbiamo avuto una discussione affascinante, abbiamo discusso l’utilità delle tasse”, si entusiasma Aurelio Ramiro, segretario della UD. “Ciò che ha fatto traboccare il vaso è che vivono a 30-40 km dall’agglomerato di Orleans. L’aumento del carburante aveva un impatto diretto su ciò che gli resta per vivere”.

Ovunque, i sindacalisti si trovano ad incontrare questi giubbotti gialli che si sono uniti per esprimere la loro rabbia. L’accoglienza che è loro riservata differisce in base alla composizione sociale di coloro che si trovano nei punti di blocco. A Elbeuf nell’Eure, la CGT ha dovuto mostrarsi molto umile per avviare uno scambio con i “gialli”. “Sono impiegati dispersi, che soffrono. All’inizio non volevano i nostri colori. Ci siamo spiegati, abbiamo distribuito volantini. Hanno visto che avevano sbagliato avversario”, dice Christian Morin, segretario del sindacato del dipartimento Norman.

Diffidenza o semplice ignoranza? Alcuni giubbotti gialli si sono irritati alla vista dei sindacati. “A La Roche-sur-Yon, hanno preso i nostri volantini ma li hanno buttati via. C’è un rifiuto della politica e dell’unità”, lamenta Olivier Jacques, responsabile della vita sindacale presso in Vandea. Molte strutture deplorano la cattiva immagine che la mobilitazione dei camionisti avrebbe potuto dare; la CGT e FO hanno chiesto uno sciopero il 9 dicembre per difendere il potere d’acquisto prima di negoziare con il governo. “Siamo stati trattati come venduti”, rimpiange Nathalie Charron, segretaria amministrativa del sindacato nell’Eure-et-Loire.

Dopo una brutta partenza, la situazione è stata rapidamente sbloccata nei Pirenei Atlantici. “I compagni sono andati ai posti di blocco dei pedaggi per costruire collegamenti. Non sono stati ricevuti molto bene. Poi sono dei giubbotti gialli per vederci. Abbiamo subito capito che non erano ostili. Non erano lontani da noi e avevano una vera riflessione su ruolo della tassazione”, dice Jean-Claude Zapparty, segretario del sindacato nel Pyrénées-Atlantiques.

Il riavvicinamento tra sindacalisti e giubbotti gialli ha portato a dibattiti sui contenuti, di sostanza. “Abbiamo discusso sulla necessità di aumentare gli stipendi senza tagliare i contributi sociali, sul fatto che è necessario che siano i capi a pagare e non lo Stato”, precisa il segretario dell’unione dipartimentale CGT della Haute-Loire. Scambi simili sono emersi a Chatellerault, facendo rivivere la tradizione sindacale dell’educazione popolare. “Ci hanno spiegato perché rivendicavano i salari lordi quando parlano in rete, che è quello che vogliono vedere sulla loro busta paga, commenta François Bonnin, segretario del sindacato locale. Sui contributi della sicurezza sociale – che chiamano ‘spese’ – abbiamo fatto un lavoro pedagogico per dimostrare che era usato per finanziare la salute, gli ospedali. Ci hanno ascoltati”.


Dall’80 al 90% le richieste sono comuni

Sul campo, le rivendicazioni sono state elencate su entrambi i lati, mostrando molte convergenze. “Stiamo guardando il loro chier de doleance. C’è un accordo all’80%, anche se ci sono ancora cose che ci shokkano, ad esempio il rivendicare un reddito per le casalinghe”, afferma Jérôme Delmas, segretario del sindacato nella regione del Lot. Secondo i sindacati, la lista delle rivendicazioni si è evoluta molto dall’inizio del movimento. “Abbiamo superato la tassa sul carburante. Vediamo che abbiamo richieste comuni in materia di potere d’acquisto, pensioni, disoccupazione, imposte...”, elenca Sylvain Moreno, segretario della CGT nel Lafarge Group, che ha chiesto di unirsi ai giubbotti gialli.

A livello locale, i sindacati hanno fatto affidamento su queste convergenze per lanciare azioni a fianco dei giubbotti gialli. “Chiedono il ritorno dei negozi locali. Si sono stati offerti per bloccare l’Auchan, dove gli stipendi sono molto bassi e che riguardano molti CICE (lavoratori temporanei assunti con il Credito d’imposta per la competitività di impresa) senza creare posti di lavoro. Con loro ci siamo intesi subito”, afferma Matthieu Viellepeau, segretario del sindacato locale a Fontenay-sous-Bois (Val-de-Marne). A Bagnols-sur-Cèze, nel Gard, casacche gialle e rosse si sono riunite il ​​1° dicembre presso la stazione per chiedere con una sola voce la riapertura del treno passeggeri sulla linea ferroviaria Pont-Saint-Esprit-Avignon-Nimes. “Le persone sono costrette a prendere l’auto per andare ad Avignone. I giubbotti gialli hanno fatto propria questa rivendicazione portata avanti dalla CGT”, si rallegra Patrick Lescure, segretario del sindacato locale di Bagnols.

Gilet gialli, gilet rossi: spesso la stessa lotta!

Questo è un movimento eterogeneo di lavoratori precari, disoccupati, pensionati e tutti i piccoli datori di lavoro in difficoltà da molti mesi, molti membri del sindacato hanno aderito spontaneamente, non esitando a indossare un gilet fluorescente per andare agli incroci e alle rotatorie. “Le persone non ce la fanno più. Fanno vite schifose, sono logore. E inoltre li trattiamo come mendicanti, persone che non pensano. Qui abbiamo l’opportunità di dimostrare che la CGT non è la caricatura trasmessa dai media. Devi andarci per forza”, dice Christophe Chrétien, segretario del sindacato alla Sanofi di Tour, (stabilimento dove si produceva il Depakin e per questo ora in crisi, ndT), molto coinvolto nel movimento.

A Marsiglia, Nantes e Tolosa, come in molte piccole città, i lavoratori in rosso e giallo hanno marciato insieme, cantando gli stessi slogan. Nel sindacato, mentre alcuni mostrano ancora riserve o addirittura sfiducia, molti accolgono un movimento che ha ravvivato il desiderio di azione collettiva e impegno civico. “Non stavo più andando alle dimostrazioni della CGT, avevo l’impressione che non fosse più per niente utile. Ma con questo movimento è tornato ad avere un significato”, dice un militante che ha attraversato Place de l’Opera a Parigi il 15 dicembre con i giubbotti gialli.

Le misure annunciate da Emmanuel Macron sul potere d’acquisto non hanno estinto la rabbia dei giubbotti gialli, al contrario. “Erano molto svegli, hanno capito di essere presi per il naso, in particolare i disoccupati. I lavoratori temporanei che lavorano per l’impianto Airbus Méaulte sanno che i dipendenti salteranno le ore di lavoro straordinario esentasse e che perderanno i loro contratti temporanei”, dice François Falize, segretario del sindacato locale di Albert (Somme).

Agire nelle imprese

Il 14 dicembre su BFM, giorno dell’azione unitaria, il segretario generale della CGT, Philippe Martinez, ha ricordato la necessità di agire attraverso lo sciopero nelle imprese per ottenere aumenti salariali. Nelle piccole officine il movimento dei giubbotti gialli ha cominciato a diffondersi tra i dipendenti. “Ha liberato il pavimento nei laboratori. I dipendenti hanno iniziato a parlare del CICE, dei dividendi pagati... Tutto ciò che era stato detto per cinque anni! Ma qui, come parlano anche BFM e Cnews, hanno le orecchie spalancati”, ha detto Thomas Beaudouin, delegato del sindacato centrale del gruppo PSA (Peugeot-Citroen).

Il 22 novembre a Marsiglia, centocinquanta militanti dell’unione dipartimentale della CGT si sono uniti con le loro bandiere ai giubbotti gialli che bloccavano la rotonda del Mede, per installare un picchetto davanti al deposito petrolifero Total. I lavoratori della bioraffineria hanno deciso immediatamente di scioperare a sostegno, chiedendo un aumento salariale nel contesto delle trattative salariali annuali (NAO).

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