La stangata di Tremonti da 47 miliardi prevede tagli alle spese per sanità, scuola e pensioni, ma lascia inalterate le spese per le missioni militari all'estero.
Nella bozza della manovra economica, all'emblematica voce 'spese indifferibili', è infatti stabilito uno stanziamento di 700 milioni di euro per proroga di sei mesi (fino al 31 dicembre 2011) della partecipazione italiana alle missioni internazionali.
Si tira la cinghia su tutto, dalla salute all'istruzione, ma non sulle guerre. La cifra di 700 milioni (che comprende la guerra in Afghanistan e le missioni in Libano, Kosovo, Bosnia, Iraq, Pakistan, Somalia, Sudan e Congo) è infatti in linea con i precedenti finanziamenti semestrali.
Questo stanziamento militare, tra l'altro, non comprende le spese per la guerra in Libia, che nei primi tre mesi è costata da sola oltre un miliardo di euro (almeno 700 milioni di spese correnti per la Difesa per bombe, missili e carburante per aerei e navi, e altri 400 milioni di finanziamenti ai ribelli provenienti dal ministero degli Esteri).
Nessun taglio, nella manovra del Tesoro, nemmeno per le spese militari di riarmo, a partire dai 3,6 miliardi di euro destinati nei prossimi tre anni (lo stesso coperto dalla manovra) al programma di acquisizione di 131 caccia-bombardieri F-35.
Se questa sola folle spesa di riarmo fosse tagliata, se si ponesse subito fine all'incostituzionale partecipazione alle guerre in Libia e in Afghanistan (che attualmente costa 800 milioni all'anno), molti miliardi di euro verrebbero risparmiati, e non ci sarebbe bisogno di toccare sanità, scuola e pensioni.
Fonte.
Considerazioni ovvie, ma mai banali, soprattutto di questi tempi.
30/06/2011
Atene s'incazza.
Il silenzio assordante che avvolge l'ondata di violente proteste che stanno investendo la Grecia, è sintomatico di quanto la Penisola Ellenica sia oggi ago della bilancia per i futuri assetti sociali, economici e politici dell'intera Europa.
I media , che sono sponsor delle classi sociali che comandano, lo sanno bene quindi non ne parlano, non sia mai che anche in qualche altra parte d'Occidente qualcuno pensi d'emulare gli ellenici (che in ogni caso sbagliano a danneggiare i beni materiali).
In questo senso, fa quindi ancora più strano vedere le immagini degli scontri targate Russia Today...
29/06/2011
27/06/2011
31 anni dopo.
Sono trascorsi 31 anni dai fatti di Ustica, probabilmente i più a se stanti nel corollario di stragi che hanno macchiato la Prima Repubblica, anni in cui l'Italia era ambiguamente schierata in uno scenario internazionale di guerra più o meno fredda, di "blocchi" più o meno solidali e compatti.
In questi 31 anni, di compatta c'è sicuramente stata l'opera di depistaggio e costante insabbiamento della verità, una verità parzialmente messa nero su bianco nel 1999 dal giudice Rosario Priore, che nella sentenza depositata presso la Procura di Roma parla di "guerra di fatto e non dichiarata" di cui fu vittima proprio il DC9 dell'Itavia con i suoi 81 passeggeri, che a tutt'oggi, ancora non conoscono i motivi e gli esecutori materiali della propria fine.
In questi 31 anni, di compatta c'è sicuramente stata l'opera di depistaggio e costante insabbiamento della verità, una verità parzialmente messa nero su bianco nel 1999 dal giudice Rosario Priore, che nella sentenza depositata presso la Procura di Roma parla di "guerra di fatto e non dichiarata" di cui fu vittima proprio il DC9 dell'Itavia con i suoi 81 passeggeri, che a tutt'oggi, ancora non conoscono i motivi e gli esecutori materiali della propria fine.
Val di Susa: come sta andando a finire.
Il copione era già scritto, la discriminante riguardava esclusivamente il fattore temporale, consumatosi all'alba di oggi, come documentato nella cronologia che attualmente occupa il posto di primo piano nella pagina d'apertura del Fatto Quotidiano.
Come sì è verificato puntualmente nell'ultimo decennio, la questione dell'inutile Ferrovia Torino-Lione (prima spacciata per alta velocità ad uso pendolare, poi riciclata in alta capacità ad uso merci tanto per giustificare l'ennesima grande cattedrale nel deserto) è stata lo scenario in cui lo Stato, mediante l'uso vergognoso delle forze di polizia, ha ribadito il concetto secondo cui in questo Paese la sovranità popolare non deve esistere quando va a cozzare con gli interessi economici dei delinquenti che ci governano (a livello centrale e locale) votati da caterve di perfetti imbecilli (solo così posso etichettare, per esempio, tutti quelli che hanno eletto Fassino a Torino).
Mi auguro che le comunità della Val di Susa proseguano nel proprio cammino di resistenza così come hanno fatto fino ad oggi e che riescano ad impedire la devastazione del proprio territorio mandando gambe all'aria gli intenti dei lobbisti politici ed imprenditoriali del cemento, che ogni sera si fanno le seghe pregustando la puzza di quel fiume di miliardi pubblici che dovrebbe attraversare le Alpi per collegare inutilmente Italia e Francia.
Come sì è verificato puntualmente nell'ultimo decennio, la questione dell'inutile Ferrovia Torino-Lione (prima spacciata per alta velocità ad uso pendolare, poi riciclata in alta capacità ad uso merci tanto per giustificare l'ennesima grande cattedrale nel deserto) è stata lo scenario in cui lo Stato, mediante l'uso vergognoso delle forze di polizia, ha ribadito il concetto secondo cui in questo Paese la sovranità popolare non deve esistere quando va a cozzare con gli interessi economici dei delinquenti che ci governano (a livello centrale e locale) votati da caterve di perfetti imbecilli (solo così posso etichettare, per esempio, tutti quelli che hanno eletto Fassino a Torino).
Mi auguro che le comunità della Val di Susa proseguano nel proprio cammino di resistenza così come hanno fatto fino ad oggi e che riescano ad impedire la devastazione del proprio territorio mandando gambe all'aria gli intenti dei lobbisti politici ed imprenditoriali del cemento, che ogni sera si fanno le seghe pregustando la puzza di quel fiume di miliardi pubblici che dovrebbe attraversare le Alpi per collegare inutilmente Italia e Francia.
Liguria, terra di 'ndrangheta.
E pensare che qualcuno (gli scemi con la camicia verde anche a ferragosto) s'era pure offeso quando pochi mesi fa sì disse che ormai le mafie fanno più affari nel nord, piuttosto che nel sud della Penisola.
26/06/2011
Val di Susa, ultima frontiera.
Le grandi opere non le vuole più nessuno, salvo chi le costruisce e la politica bipartisan che le sponsorizza con pubblico denaro. Dell’inutilità del Ponte sullo Stretto non vale più la pena di parlare, e dell’affaruccio miliardario delle centrali nucleari ci siamo forse sbarazzati con il referendum. Prendiamo invece il caso Tav Val di Susa.
Per i promotori si tratterebbe di un progetto “strategico”, del quale l’Italia non può fare a meno, sembra che senza quel supertunnel ferroviario di oltre 50 km di lunghezza sotto le Alpi, l’Italia sia destinata a un declino epocale, tagliata fuori dall’Europa. Chiacchiere senza un solo numero a supporto, è da vent’anni che le ripetono e mai abbiamo visto supermercati vuoti perché mancava quel buco. I numeri invece li hanno ben chiari i cittadini della Valsusa che costituiscono un modello di democrazia partecipata operante da decenni, decine di migliaia di persone, lavoratori, pubblici amministratori, imprenditori, docenti, studenti e pensionati, in una parola il movimento “No Tav”, spesso dipinto come minoranza facinorosa, retrograda e nemica del progresso. Numeri che l’Osservatorio tecnico sul Tav presieduto dall’architetto Mario Virano si rifiuta tenacemente di discutere. Proviamo qui a metterne in luce qualcuno.
Il primo assunto secondo il quale le merci dovrebbero spostarsi dalla gomma alla rotaia è di natura ambientale: il trasporto ferroviario, pur meno versatile di quello stradale, inquina meno. Il che è vero solo allorché si utilizza e si migliora una rete esistente. Se invece si progetta un’opera colossale, con oltre 70 chilometri di gallerie, dieci anni di cantiere, decine di migliaia di viaggi di camion, materiali di scavo da smaltire, talpe perforatrici, migliaia di tonnellate di ferro e calcestruzzo, oltre all’energia necessaria per farla poi funzionare, si scopre che il consumo di materie prime ed energia, nonché relative emissioni, è così elevato da vanificare l’ipotetico guadagno del parziale trasferimento merci da gomma a rotaia. I calcoli sono stati fatti dall’Università di Siena e dall’Università della California. In sostanza la cura è peggio del male.
Veniamo ora all’essere tagliati fuori dall’Europa: detto così sembra che la Val di Susa sia un’insuperabile barriera orografica, invece è già percorsa dalla linea ferroviaria internazionale a doppio binario che utilizza il tunnel del Frejus, ancora perfettamente operativo dopo 140 anni, affiancato peraltro al tunnel autostradale. Questa ferrovia è attualmente molto sottoutilizzata rispetto alle sue capacità di trasporto merci e passeggeri, sarebbe dunque logico prima di progettare opere faraoniche, utilizzare al meglio l’infrastruttura esistente. Lyon-Turin Ferroviarie a sostegno della proposta di nuova linea ipotizza che il volume dell’interscambio di merci e persone attraverso la frontiera cresca senza limiti nei prossimi decenni. Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino dimostra che “assunzioni e conclusioni di questo tipo sono del tutto infondate”. I dati degli ultimi anni lungo l’asse Francia-Italia smentiscono infatti questo scenario: il transito merci è in calo e non ha ragione di esplodere in futuro.
Un rapporto della Direction des Ponts et Chaussées francese predisposto per un audit all’Assemblea Nazionale nel 2003 afferma che riguardo al trasferimento modale tra gomma e rotaia, la Lione-Torino sarà ininfluente. E ora i costi di realizzazione a carico del governo italiano: 12-13 miliardi di euro, che considerando gli interessi sul decennio di cantiere portano il costo totale prima dell’entrata in servizio dell’opera a 16-17 miliardi di euro. Ma il bello è che anche quando funzionerà, la linea non sarà assolutamente in grado di ripagarsi e diventerà fonte di continua passività, trasformandosi per i cittadini in un cappio fiscale.
Ecco, allora, sintetizzata solo una minima parte dei dati che riempiono decine di studi rigorosi, incluse le recenti 140 pagine di osservazioni della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone, dati sui quali si rifiuta sempre il confronto, adducendo banalità da comizio tipo “i cantieri porteranno lavoro”. Eppure il lavoro potrebbe arrivare anche da quelle piccole opere capillari di manutenzione delle infrastrutture italiane esistenti, ferrovie, acquedotti, ospedali, protezione idrogeologica, riqualificazione energetica degli edifici, energie rinnovabili.
Seguendo lo stesso criterio, anche l’Expo 2015 di Milano sarebbe semplicemente da non fare, chiuso il discorso. Sono eventi che andavano bene cent’anni fa. Se oggi in Italia tanti comitati si stanno organizzando per dire “no” alle grandi opere e per difendere i beni comuni e gli interessi del Paese, non è per sindrome Nimby (non nel mio cortile), bensì perché, come ho scritto nel mio “Prepariamoci” (Chiarelettere), per troppo tempo si sono detti dei “sì” che hanno devastato il paesaggio e minato la nostra salute fisica e mentale.
Fonte.
Il 30 giugno scadrà il termine imposto dall'U.E. per l'erogazione delle briciole comunitarie con cui la lobby rosso-nera dell'edilizia tenta d'incentivare la bontà dell'ennesimo scempio all'italiana.
Sì prevedono botte da orbi.
Per i promotori si tratterebbe di un progetto “strategico”, del quale l’Italia non può fare a meno, sembra che senza quel supertunnel ferroviario di oltre 50 km di lunghezza sotto le Alpi, l’Italia sia destinata a un declino epocale, tagliata fuori dall’Europa. Chiacchiere senza un solo numero a supporto, è da vent’anni che le ripetono e mai abbiamo visto supermercati vuoti perché mancava quel buco. I numeri invece li hanno ben chiari i cittadini della Valsusa che costituiscono un modello di democrazia partecipata operante da decenni, decine di migliaia di persone, lavoratori, pubblici amministratori, imprenditori, docenti, studenti e pensionati, in una parola il movimento “No Tav”, spesso dipinto come minoranza facinorosa, retrograda e nemica del progresso. Numeri che l’Osservatorio tecnico sul Tav presieduto dall’architetto Mario Virano si rifiuta tenacemente di discutere. Proviamo qui a metterne in luce qualcuno.
Il primo assunto secondo il quale le merci dovrebbero spostarsi dalla gomma alla rotaia è di natura ambientale: il trasporto ferroviario, pur meno versatile di quello stradale, inquina meno. Il che è vero solo allorché si utilizza e si migliora una rete esistente. Se invece si progetta un’opera colossale, con oltre 70 chilometri di gallerie, dieci anni di cantiere, decine di migliaia di viaggi di camion, materiali di scavo da smaltire, talpe perforatrici, migliaia di tonnellate di ferro e calcestruzzo, oltre all’energia necessaria per farla poi funzionare, si scopre che il consumo di materie prime ed energia, nonché relative emissioni, è così elevato da vanificare l’ipotetico guadagno del parziale trasferimento merci da gomma a rotaia. I calcoli sono stati fatti dall’Università di Siena e dall’Università della California. In sostanza la cura è peggio del male.
Veniamo ora all’essere tagliati fuori dall’Europa: detto così sembra che la Val di Susa sia un’insuperabile barriera orografica, invece è già percorsa dalla linea ferroviaria internazionale a doppio binario che utilizza il tunnel del Frejus, ancora perfettamente operativo dopo 140 anni, affiancato peraltro al tunnel autostradale. Questa ferrovia è attualmente molto sottoutilizzata rispetto alle sue capacità di trasporto merci e passeggeri, sarebbe dunque logico prima di progettare opere faraoniche, utilizzare al meglio l’infrastruttura esistente. Lyon-Turin Ferroviarie a sostegno della proposta di nuova linea ipotizza che il volume dell’interscambio di merci e persone attraverso la frontiera cresca senza limiti nei prossimi decenni. Angelo Tartaglia del Politecnico di Torino dimostra che “assunzioni e conclusioni di questo tipo sono del tutto infondate”. I dati degli ultimi anni lungo l’asse Francia-Italia smentiscono infatti questo scenario: il transito merci è in calo e non ha ragione di esplodere in futuro.
Un rapporto della Direction des Ponts et Chaussées francese predisposto per un audit all’Assemblea Nazionale nel 2003 afferma che riguardo al trasferimento modale tra gomma e rotaia, la Lione-Torino sarà ininfluente. E ora i costi di realizzazione a carico del governo italiano: 12-13 miliardi di euro, che considerando gli interessi sul decennio di cantiere portano il costo totale prima dell’entrata in servizio dell’opera a 16-17 miliardi di euro. Ma il bello è che anche quando funzionerà, la linea non sarà assolutamente in grado di ripagarsi e diventerà fonte di continua passività, trasformandosi per i cittadini in un cappio fiscale.
Ecco, allora, sintetizzata solo una minima parte dei dati che riempiono decine di studi rigorosi, incluse le recenti 140 pagine di osservazioni della Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone, dati sui quali si rifiuta sempre il confronto, adducendo banalità da comizio tipo “i cantieri porteranno lavoro”. Eppure il lavoro potrebbe arrivare anche da quelle piccole opere capillari di manutenzione delle infrastrutture italiane esistenti, ferrovie, acquedotti, ospedali, protezione idrogeologica, riqualificazione energetica degli edifici, energie rinnovabili.
Seguendo lo stesso criterio, anche l’Expo 2015 di Milano sarebbe semplicemente da non fare, chiuso il discorso. Sono eventi che andavano bene cent’anni fa. Se oggi in Italia tanti comitati si stanno organizzando per dire “no” alle grandi opere e per difendere i beni comuni e gli interessi del Paese, non è per sindrome Nimby (non nel mio cortile), bensì perché, come ho scritto nel mio “Prepariamoci” (Chiarelettere), per troppo tempo si sono detti dei “sì” che hanno devastato il paesaggio e minato la nostra salute fisica e mentale.
Fonte.
Il 30 giugno scadrà il termine imposto dall'U.E. per l'erogazione delle briciole comunitarie con cui la lobby rosso-nera dell'edilizia tenta d'incentivare la bontà dell'ennesimo scempio all'italiana.
Sì prevedono botte da orbi.
25/06/2011
How to restyling a nuclear arsenal.
Global Zero: il restyling delle armi nucleari costerà 1000 miliardi di dollari.
E’ questo l’ammontare della cifra destinata dalle 9 potenze atomiche del Pianeta all’ammodernamento del parco armi nucleari. Lo rende noto un rapporto della campagna internazionale Global Zero.
“Mr Gorbacev, tear down this wall!”. Signor Gorbacev, butti giù questo muro. Esattamente 24 anni e una settimana or sono, parlando di fronte alla Porta di Brandeburgo, Ronald Reagan pronunciò una frase che avrebbe fatto storia. Quel giorno, a Berlino Ovest come nel resto del mondo, l’umanità iniziò a intravedere i titoli di coda della guerra fredda.
Il più lungo conflitto a bassa tensione di sempre, insomma, stava volgendo al termine e con esso anche il diffuso timore di una soluzione finale chiamata guerra nucleare. Nessuno si stupì, dunque, quando nel luglio del 1991, Usa e Urss siglarono il primo vero trattato di disarmo, quel tanto auspicato Start I che continua a pesare a vent’anni di distanza sulla gestione del programma di smantellamento delle armi atomiche. Eppure, nonostante tutto, l’irresistibile voglia di restyling pare destinata a condizionare ancora in modo abnorme la spesa pubblica delle potenze nucleari. Orientando in tal senso qualcosa come 1.000 miliardi di dollari di investimenti nel prossimo decennio.
A renderlo noto, in uno studio reso pubblico in questi giorni, gli attivisti di Global Zero, una campagna internazionale nata nel 2008 per promuovere lo smantellamento degli arsenali nucleari del Pianeta. Un processo tuttora in atto ma incapace, tuttavia, di bloccare quelle operazioni di rinnovamento degli armamenti che nemmeno la crisi, con il suo enorme impatto sulla spesa pubblica, è riuscita a frenare. “Nonostante la recente firma del nuovo trattato Start e la continua riduzione della dimensione dei loro arsenali, Stati Uniti e Russia continueranno ad aumentare la loro spesa” hanno spiegato da Global Zero alla vigilia dell’apertura dei lavori del summit dell’organizzazione in corso in questi giorni. Un fenomeno che pesa in modo evidente come dimostrano i dati a disposizione.
Nel corso del prossimo decennio, Gli Usa aumenteranno del 21% i propri investimenti nelle sole infrastrutture connesse alle armi atomiche mettendo mano al portafoglio per complessivi 85 miliardi. Nel corso del 2010 le operazioni di gestione e “upgrade” dell’arsenale a stelle e strisce sono state pari a 55,6 miliardi. Nel 2011, sostengono da Global Zero, si dovrebbe arrivare a quota 61,3 compensando così una parte rilevante della spesa totale del mondo (104,9 miliardi contro i 91 del 2010). Condizionata da una tecnologia piuttosto arretrata, la Russia dovrebbe seguire la stessa rotta attraverso interventi di restyling che dovrebbero implicare un esborso di 14,8 miliardi contro i 9,7 di quest’anno.
Ad oggi, nel mondo, soltanto 9 Paesi detengono nelle proprie basi armamenti atomici. Nel corso del 2011 andranno quasi tutti incontro a un aumento della spesa. I costi totali di riarmo sostenuti da Pechino per il rinnovamento dell’arsenale cinese saliranno a 7,6 miliardi nel 2011 contro i 6,4 dell’anno passato, quelli della Francia saliranno a quota 6 (contro i 5,9 del 2010) precedendo nella graduatoria dei fondi Regno Unito, 5,5 (4,5 nel 2010), India, 4,9 (4,1) e Pakistan, 2,2 (1,8). A mantenere uno sforzo costante saranno soltanto Israele, 1,9 miliardi di dollari esattamente come l’anno scorso, e Corea del Nord, i cui costi totali associati al nucleare resteranno fermi a 700 milioni di dollari (da segnalare, per l’altro il dato sull’abnorme spesa militare di Pyongyang, 8,8 miliardi di dollari pari a oltre 1/5 del Pil nazionale, di gran lunga il quoziente più elevato del mondo). Nessuna informazione viene invece fornita sul progetto atomico iraniano visto che la Repubblica Islamica, al momento, non fa ancora parte del club delle potenze nucleari. Lo scorso 26 maggio, l’International Atomic Energy Agency (Iaea) ha reso pubblico un rapporto piuttosto inquietante affermando che Tehran avrebbe “lavorato su un sistema di tecnologia nucleare di innesco altamente sofisticato che, secondo gli esperti, potrebbe essere usato con una sola finalità: il lancio di un’arma nucleare”. Da qualche tempo Washington sospetta che alcune imprese cinese abbiano ripetutamente violato l’embargo Onu rifornendo Teheran di know how e tecnologia nucleare che Pechino aveva ottenuto in passato proprio dagli Stati Uniti. Inizialmente contraria alle sanzioni contro l’Iran, la Russia aveva in un primo tempo garantito assistenza al programma atomico degli Ayatollah salvo poi, a quanto pare, optare per un salutare sabotaggio.
In più tre anni di attività, Global Zero ha ottenuto il sostegno di oltre 400 mila firmatari in tutto il mondo garantendosi l’appoggio di alcuni pentiti storici della teoria della deterrenza atomica negli anni della Guerra fredda tra cui, su tutti, l’ex segretario di Stato Usa Henry Kissinger. Ad offrire sostegno alla campagna anche l’ex premier britannico Gordon Brown, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e presidenti Barack Obama e Dimitri Medvedev. “Il progresso verso un mondo senza armi nucleari rappresenta un obiettivo di lungo termine della nostra politica estera. La Russia sta attuando misure su larga scala per la riduzione del suo potenziale nucleare” si legge in una nota inviata dallo stesso inquilino del Cremlino ai partecipanti del vertice londinese. Peccato che né lui né il suo collega della Casa Bianca, tuttavia, abbiano voluto spiegare per quale motivo i loro Paesi abbiano scelto, nonostante l’effettiva riduzione dell’arsenale, di scaricare sui contribuenti miliardi di dollari di spesa per finanziare l’aggiornamento tecnologico degli armamenti.
Fonte.
Ancora qualche dubbio sul fatto che le crisi economiche siano delle puttanate?
24/06/2011
Luigi Bisignani, faccendiere o regista?
“Quello è più potente di me”: Silvio Berlusconi non parla così dei suoi servi. “Quello”, ovverosia Luigi Bisignani, è dunque qualcosa di più e di diverso dei tanti personaggi che affollano (affollavano?) la sua corte. Certo, negli ultimi anni ha messo il suo enorme potere di relazione al servizio della stabilità del sistema, che in questa fase si regge sulla figura di Berlusconi. Ma “il Bisi” è uno che, in fondo, lavora sempre in proprio.
Il suo network di potere non era un mistero assoluto, neppure prima dell’inchiesta di Napoli. Tant’è vero che qualche (raro) articolo ha tentato di descriverlo (anche sul Fatto Quotidiano, fin dal luglio 2010). Ora, con migliaia di pagine di documenti a disposizione, è finalmente possibile disegnare con più nettezza la rete di relazioni che Bisignani ha costruito con il mondo della politica (attorno a Gianni Letta), delle aziende semi-pubbliche (da Paolo Scaroni a Pier Francesco Guarguaglini), della finanza (da Cesare Geronzi a Massimo Ponzellini), dell’informazione, della magistratura, dei servizi segreti…
Resta qualche problema ermeneutico: quanto serviva e quanto si serviva dei personaggi con cui era in contatto? Quali erano datori di lavoro e quali invece postulanti, informatori o clienti, beneficiati o utili idioti? Certo, come Gran Lobbista della Repubblica il suo compito era “risolvere problemi”, come Wolf di Pulp fiction. Con l’obiettivo di consolidare il sistema Berlusconi: fin nei dettagli, perfino dettando al direttore generale della Rai Mauro Masi la lettera per cacciare Michele Santoro. Ma il Wolf di piazza Mignanelli a volte preferisce crearli, i problemi. La domanda a cui l’inchiesta giudiziaria non ha infatti ancora risposto (e a cui forse non può rispondere) è: quanto ha pesato lo zampino del “Bisi” in certe campagne condotte dal Giornale di Vittorio Feltri, o dal sito Dagospia? Dal caso del direttore dell’Avvenire Dino Boffo fino ai primi scandali sessuali (la vicenda di Noemi Letizia prima, di Patrizia D’Addario poi). Storie scabrose, che hanno portato difficoltà a Berlusconi, gli hanno creato, non risolto problemi.
Fin dove il ruvido Feltri e quel corsaro di Roberto D’Agostino seguivano il loro istinto di guastatori e da dove era invece “il Bisi” a divertirsi a fare il Gran Suggeritore? Certo, nelle intercettazioni si mostra infastidito dalle forzature, dice di non condividere le rotture, è sempre misurato e, diciamolo, un po’ paraculo. Nel mare del turpiloquio all’italiana, quasi mai una parola di troppo (Vittoria Brambilla a parte). Ma Bisignani, quando parla, è uomo da immaginare sempre più piani e più ascolti. Siamo sicuri che, annusata da tempo la fine del regime, il duo Bisignani-Letta non abbia provato a fare lo sgambetto al Capo, in vista della successione?
Il “Bisi” ne ha viste troppe per lasciarsi impressionare da una crisi come quella che ormai da tempo coinvolge Berlusconi. È troppo accorto, brillante e intelligente per farsi trovare impreparato da rivolgimenti possibili e annunciati. Ha visto crollare il sistema della P2, roba seria, con alle spalle due imperi in guerra (e neanche sempre fredda, viste le bombe e le stragi italiane). Ha visto implodere la Prima Repubblica e le sue tangenti. Ha visto declinare l’andreottismo e la sua doppiezza. Ha visto tramontare l’impero di Raul Gardini e la sua spregiudicatezza. Ha visto cose che noi umani abbiamo guardato dall’esterno, mentre lui era dentro: dentro la P2, dentro la Prima Repubblica, dentro l’andreottismo, dentro lo staff di Gardini, dentro il Vaticano. È lui che apre, l’11 ottobre 1990, il conto riservatissimo presso lo Ior intestato alla L.A. Jonas Foundation (Usa), finalità: “Aiuto bimbi poveri”. Bisignani vi ritira poi in contanti circa 14 miliardi. Chissà quanti bimbi poveri ha potuto fare felici.
Si è rialzato a ogni caduta, scrollandosi la polvere di dosso e ripulendo gli occhiali troppo grandi. Volete che accettasse di rimanere strangolato dal berlusconismo? Pensate che non si fosse preparato una via di fuga? Chi lo pensa non conosce il “Bisi” romanziere, l’autore del “Sigillo della Porpora”, che non sarà il “Ken Follett italiano” (come sparato da amici che non ci credevano neppure loro), ma che certo ha una buona capacità di sovrapporre piani e incrociare scenari. Capisce presto che “Silvio si fa male da solo”, che “il governo è finito”, che il comportamento dei ministri “è da asilo Mariuccia”.
Qualunque fosse il suo gioco (o i suoi giochi), non è riuscito comunque a salvarsi da quel diavolo di Henry John Woodcock e dalle sue microspie. Lui, che avvisava gli altri delle inchieste giudiziarie, non ha saputo avvisare se stesso. Capita anche ai medici, di non saper curare le proprie malattie.
Ci aveva provato Italo Bocchino, ad avvertirlo che da Napoli stava arrivando qualche guaio. Lo ha raccontato lo stesso Bisignani a Woodcock e al suo collega Francesco Curcio. Bocchino smentisce: “Gli dissi, è vero, dell’inchiesta, ma era una voce che a Napoli conoscevano tutti”. Si sminuisce, Bocchino, e riduce il suo rapporto con “il Bisi” a un’azioncina congiunta per impallinare il taglio dei fondi per i parchi, deciso dal ministro Giulio Tremonti, concorrente di Letta e dunque avversario di Bisignani. Sarà certamente così, però a qualcuno ha fatto comunque impressione vedere il braccio destro di Gianfranco Fini amoreggiare con il “nemico”. Ma no: Bisignani è (era?) amico di tutti.
Fonte.
Il suo network di potere non era un mistero assoluto, neppure prima dell’inchiesta di Napoli. Tant’è vero che qualche (raro) articolo ha tentato di descriverlo (anche sul Fatto Quotidiano, fin dal luglio 2010). Ora, con migliaia di pagine di documenti a disposizione, è finalmente possibile disegnare con più nettezza la rete di relazioni che Bisignani ha costruito con il mondo della politica (attorno a Gianni Letta), delle aziende semi-pubbliche (da Paolo Scaroni a Pier Francesco Guarguaglini), della finanza (da Cesare Geronzi a Massimo Ponzellini), dell’informazione, della magistratura, dei servizi segreti…
Resta qualche problema ermeneutico: quanto serviva e quanto si serviva dei personaggi con cui era in contatto? Quali erano datori di lavoro e quali invece postulanti, informatori o clienti, beneficiati o utili idioti? Certo, come Gran Lobbista della Repubblica il suo compito era “risolvere problemi”, come Wolf di Pulp fiction. Con l’obiettivo di consolidare il sistema Berlusconi: fin nei dettagli, perfino dettando al direttore generale della Rai Mauro Masi la lettera per cacciare Michele Santoro. Ma il Wolf di piazza Mignanelli a volte preferisce crearli, i problemi. La domanda a cui l’inchiesta giudiziaria non ha infatti ancora risposto (e a cui forse non può rispondere) è: quanto ha pesato lo zampino del “Bisi” in certe campagne condotte dal Giornale di Vittorio Feltri, o dal sito Dagospia? Dal caso del direttore dell’Avvenire Dino Boffo fino ai primi scandali sessuali (la vicenda di Noemi Letizia prima, di Patrizia D’Addario poi). Storie scabrose, che hanno portato difficoltà a Berlusconi, gli hanno creato, non risolto problemi.
Fin dove il ruvido Feltri e quel corsaro di Roberto D’Agostino seguivano il loro istinto di guastatori e da dove era invece “il Bisi” a divertirsi a fare il Gran Suggeritore? Certo, nelle intercettazioni si mostra infastidito dalle forzature, dice di non condividere le rotture, è sempre misurato e, diciamolo, un po’ paraculo. Nel mare del turpiloquio all’italiana, quasi mai una parola di troppo (Vittoria Brambilla a parte). Ma Bisignani, quando parla, è uomo da immaginare sempre più piani e più ascolti. Siamo sicuri che, annusata da tempo la fine del regime, il duo Bisignani-Letta non abbia provato a fare lo sgambetto al Capo, in vista della successione?
Il “Bisi” ne ha viste troppe per lasciarsi impressionare da una crisi come quella che ormai da tempo coinvolge Berlusconi. È troppo accorto, brillante e intelligente per farsi trovare impreparato da rivolgimenti possibili e annunciati. Ha visto crollare il sistema della P2, roba seria, con alle spalle due imperi in guerra (e neanche sempre fredda, viste le bombe e le stragi italiane). Ha visto implodere la Prima Repubblica e le sue tangenti. Ha visto declinare l’andreottismo e la sua doppiezza. Ha visto tramontare l’impero di Raul Gardini e la sua spregiudicatezza. Ha visto cose che noi umani abbiamo guardato dall’esterno, mentre lui era dentro: dentro la P2, dentro la Prima Repubblica, dentro l’andreottismo, dentro lo staff di Gardini, dentro il Vaticano. È lui che apre, l’11 ottobre 1990, il conto riservatissimo presso lo Ior intestato alla L.A. Jonas Foundation (Usa), finalità: “Aiuto bimbi poveri”. Bisignani vi ritira poi in contanti circa 14 miliardi. Chissà quanti bimbi poveri ha potuto fare felici.
Si è rialzato a ogni caduta, scrollandosi la polvere di dosso e ripulendo gli occhiali troppo grandi. Volete che accettasse di rimanere strangolato dal berlusconismo? Pensate che non si fosse preparato una via di fuga? Chi lo pensa non conosce il “Bisi” romanziere, l’autore del “Sigillo della Porpora”, che non sarà il “Ken Follett italiano” (come sparato da amici che non ci credevano neppure loro), ma che certo ha una buona capacità di sovrapporre piani e incrociare scenari. Capisce presto che “Silvio si fa male da solo”, che “il governo è finito”, che il comportamento dei ministri “è da asilo Mariuccia”.
Qualunque fosse il suo gioco (o i suoi giochi), non è riuscito comunque a salvarsi da quel diavolo di Henry John Woodcock e dalle sue microspie. Lui, che avvisava gli altri delle inchieste giudiziarie, non ha saputo avvisare se stesso. Capita anche ai medici, di non saper curare le proprie malattie.
Ci aveva provato Italo Bocchino, ad avvertirlo che da Napoli stava arrivando qualche guaio. Lo ha raccontato lo stesso Bisignani a Woodcock e al suo collega Francesco Curcio. Bocchino smentisce: “Gli dissi, è vero, dell’inchiesta, ma era una voce che a Napoli conoscevano tutti”. Si sminuisce, Bocchino, e riduce il suo rapporto con “il Bisi” a un’azioncina congiunta per impallinare il taglio dei fondi per i parchi, deciso dal ministro Giulio Tremonti, concorrente di Letta e dunque avversario di Bisignani. Sarà certamente così, però a qualcuno ha fatto comunque impressione vedere il braccio destro di Gianfranco Fini amoreggiare con il “nemico”. Ma no: Bisignani è (era?) amico di tutti.
Fonte.
Tutti a casa, con molta calma.
Annunciato il ritiro di 33mila uomini entro il prossimo anno. Ma altri 70mila ne rimarranno fino al 2014. "In futuro pensiamo di più alla nostra nazione".
"America: è tempo di pensare a costruire una nazione a casa": con queste roboanti parole, il presidente Usa Barack Obama ha annunciato il ritiro parziale dall'Afghanistan. Trentatremila soldati americani torneranno a casa entro l'estate del prossimo anno. "Sarà il primo passo - ha detto Obama - verso la fine della lunga, cruenta e costosa guerra afgana". Una conclusione che punta a rilanciare il ruolo dell'America e a risollevare le sorti della sua economia. "Questo è l'inizio, non la fine, del nostro sforzo per metter fine alla guerra", ha detto il presidente Usa nel suo discorso dalla Casa Bianca. Secondo il piano di disimpegno, già dal prossimo mese comincerà il ritiro dei primi soldati. Diecimila uomini rientreranno entro la fine dell'anno e ne seguiranno circa 23mila entro la fine della prossima estate. Il resto tornerà a casa a poco a poco, per completare il rientro nel 2014, la data concordata nel vertice della Nato dello scorso novembre a Lisbona. Fino allora, resteranno nel Paese centro asiatico almeno 70mila uomini.
Obama ha promesso che gli Stati Uniti - che faticano a recuperare l'immagine all'estero, a risanare l'economia e ad abbassare il tasso di disoccupazione - mettono fine in tal modo al decennio di avventure militari, messo in moto dagli attacchi dell'11 settembre 2001. Washington non cercherà più di costruire un "perfetto" Afghanistan da una nazione traumatizzata da una storia sanguinaria, ha detto il presidente in un discorso di 13 minuti trasmesso in prima serata, ma si dedicherà invece al fronte interno: "America: è tempo di concentrarsi sul costruire una nazione a casa".
Hanno seguito a ruota il presidente Usa Gran Bretagna, Germania e Francia, annunciando analoghi ritiri a partire dalla fine di quest'anno. Solo il primo ministro australiano Julia Gillard ha dichiarato che le truppe australiane resteranno in Afghanistan fino al 2014, così come previsto dal programma della Nato.
I talebani hanno liquidato come un mero "passo simbolico" l'annuncio del prossimo ritiro delle truppe statunitensi dall'Afghanistan e definito "privi di fondamento" gli asseriti progressi annunciati dalla Casa Bianca nel tormentato Paese. La nota diffusa a Kabul, a commento del discorso pronunciato dal presidente Usa, Barack Obama, accusa l'amministrazione Usa di "dare continuamente false speranze alla sua nazione sulla fine della guerra e di parlare di 'vittoria' senza alcun fondamento". Il popolo americano dunque dovrebbe dunque attivarsi per fermare l'inutile bagno di sangue.
Fonte.
Obama sì sta accorgendo che i problemi degli americani non sì trovano a 9000km di distanza da Washington, oppure la sua è solo campagna elettorale?
"America: è tempo di pensare a costruire una nazione a casa": con queste roboanti parole, il presidente Usa Barack Obama ha annunciato il ritiro parziale dall'Afghanistan. Trentatremila soldati americani torneranno a casa entro l'estate del prossimo anno. "Sarà il primo passo - ha detto Obama - verso la fine della lunga, cruenta e costosa guerra afgana". Una conclusione che punta a rilanciare il ruolo dell'America e a risollevare le sorti della sua economia. "Questo è l'inizio, non la fine, del nostro sforzo per metter fine alla guerra", ha detto il presidente Usa nel suo discorso dalla Casa Bianca. Secondo il piano di disimpegno, già dal prossimo mese comincerà il ritiro dei primi soldati. Diecimila uomini rientreranno entro la fine dell'anno e ne seguiranno circa 23mila entro la fine della prossima estate. Il resto tornerà a casa a poco a poco, per completare il rientro nel 2014, la data concordata nel vertice della Nato dello scorso novembre a Lisbona. Fino allora, resteranno nel Paese centro asiatico almeno 70mila uomini.
Obama ha promesso che gli Stati Uniti - che faticano a recuperare l'immagine all'estero, a risanare l'economia e ad abbassare il tasso di disoccupazione - mettono fine in tal modo al decennio di avventure militari, messo in moto dagli attacchi dell'11 settembre 2001. Washington non cercherà più di costruire un "perfetto" Afghanistan da una nazione traumatizzata da una storia sanguinaria, ha detto il presidente in un discorso di 13 minuti trasmesso in prima serata, ma si dedicherà invece al fronte interno: "America: è tempo di concentrarsi sul costruire una nazione a casa".
Hanno seguito a ruota il presidente Usa Gran Bretagna, Germania e Francia, annunciando analoghi ritiri a partire dalla fine di quest'anno. Solo il primo ministro australiano Julia Gillard ha dichiarato che le truppe australiane resteranno in Afghanistan fino al 2014, così come previsto dal programma della Nato.
I talebani hanno liquidato come un mero "passo simbolico" l'annuncio del prossimo ritiro delle truppe statunitensi dall'Afghanistan e definito "privi di fondamento" gli asseriti progressi annunciati dalla Casa Bianca nel tormentato Paese. La nota diffusa a Kabul, a commento del discorso pronunciato dal presidente Usa, Barack Obama, accusa l'amministrazione Usa di "dare continuamente false speranze alla sua nazione sulla fine della guerra e di parlare di 'vittoria' senza alcun fondamento". Il popolo americano dunque dovrebbe dunque attivarsi per fermare l'inutile bagno di sangue.
Fonte.
Obama sì sta accorgendo che i problemi degli americani non sì trovano a 9000km di distanza da Washington, oppure la sua è solo campagna elettorale?
22/06/2011
Sì legge FIAT ma sì scrive Dodge.
E' più forte di me, se almeno una volta al mese non leggo qualcosa riguardante le mirabolanti imprese di FIAT me la prendo a male.
Per fortuna, anche in questo (fin'ora) tiepido giugno 2011, la perla è arrivata e porta il nome di Freemont!
I dettagli del nuovo prodotto con cui il prestanome degli Elkann intende dare respiro alle sempre più risicate vendite di FIAT sul mercato europeo, sono stati esposti sul Fatto Quotidiano.
L'articolo non lascia amaramente addito ad alcuna replica, e a dirla tutta è sufficiente gettare uno sguardo alla nuova" auto" per rendersi conto che la strategia industriale di FIAT, se esiste, è costruita completamente a cazzo campana, risultando dissennata a prescindere dal punto di vista (tecnico, logistico, di mercato ecc.) da cui sì può analizzare questo nuovo lancio, salutato con poderose leccate di deretano da parte dei grandi giornali (Corriere e Stampa), al solito più interessati a far pubblicità a Marchionne che a occuparsi d'informazione sana.
21/06/2011
Gli faceva male il mondo
Era il 1994.
Oggi, gli intellettuali paraculi direbbero che era un populista.
20/06/2011
NATO: un gigante coi piedi d'argilla.
Il Segretario generale Rasmussen: più soldi dall'Europa o gli Usa riconsidereranno il loro peso economico nell'Alleanza.
Il Segretario Generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, esorta l'Europa ad aumentare il budget militare. Rasmussen ha lanciato l'allarme a Madrid, avvisando che la disparità delle spese per l'Alleanza atlantica fra Stati Uniti ed Europa finirà per portare ad una organizzazione a due livelli, in cui i militari Usa ed europei non riusciranno più a collaborare. Rasmussen ha sottolineato che il gap crescente nei fondi destinati alla difesa si riflette anche in un gap tecnologico, che renderà sempre più difficile condurre operazioni congiunte. Il segretario dell'Alleanza atlantica ha dunque suggerito ai paesi membri di aumentare i budget del settore e mettersi in linea con gli assetti e gli equipaggiamenti statunitensi.
La guerra libica, ha detto Rasmussen, ha messo a nudo serie manchevolezze da parte degli europei e si è rischiato di restare a corto di munizioni contro un regime male armato, se gli Usa non ne avessero fornite di fresche. "Se non si ferma e non si inverte l'attuale tendenza al declino della capacità militare dell'Europa, i futuri leader degli Stati Uniti potrebbero valutare che tornare a investire nella Nato per l'America non valga più il costo. Se vogliamo competere, abbiamo bisogno di investimenti veri". La strigliata ai Paesi europei giunge tre mesi dopo l'intervento in Libia, che ha comportato uno sforzo bellico inatteso e una partecipazione prolungata da parte dei Paesi Nato. E' motivo di preoccupazione, secondo Rasmussen, il fatto che solo otto membri dell'alleanza stiano conducendo attacchi aerei: "Se vogliamo assicurare una sostenibilità a lungo termine dell'operazione, dobbiamo anche allargare il sostegno".
Tra i Paesi della Nato, gli Stati Uniti erano dieci anni fa quelli che partecipavano con la metà dell'intero bugdet. Oggi contribuiscono per il 75 percento. Da qui l'insofferenza nel constatare come l'Europa non stia facendo abbastanza. "Il popolo americano chiede, legittimamente, perché deve sobbarcarsi il pesante fardello di assicurare la pace e la stabilità internazionale. Il messaggio del Segretario della Difesa Usa è chiaro: se si trae un vantaggio dalla Nato bisogna anche condividerne gli oneri. Io condivido questo messaggio".
In un'intervista alla Bbc, Rasmussen si è detto 'esasperato' del fatto che solo quattro Paesi europei spendano quanto preventivato dall'Alleanza per poter sostenere gli impegni nei teatri internazionali, ovvero il due percento del Prodotto interno lordo: questi Paesi sono Francia, Gran Bretagna e - insospettabilmente - Albania e Grecia. Le spese militari del nostro Paese, dopo il taglio del 10 percento al bilancio della difesa del 2010, si attestano all'1,75 percento del Prodotto interno lordo.
Fonte.
La guerra libica, ha detto Rasmussen, ha messo a nudo serie manchevolezze da parte degli europei e si è rischiato di restare a corto di munizioni contro un regime male armato, se gli Usa non ne avessero fornite di fresche. "Se non si ferma e non si inverte l'attuale tendenza al declino della capacità militare dell'Europa, i futuri leader degli Stati Uniti potrebbero valutare che tornare a investire nella Nato per l'America non valga più il costo. Se vogliamo competere, abbiamo bisogno di investimenti veri". La strigliata ai Paesi europei giunge tre mesi dopo l'intervento in Libia, che ha comportato uno sforzo bellico inatteso e una partecipazione prolungata da parte dei Paesi Nato. E' motivo di preoccupazione, secondo Rasmussen, il fatto che solo otto membri dell'alleanza stiano conducendo attacchi aerei: "Se vogliamo assicurare una sostenibilità a lungo termine dell'operazione, dobbiamo anche allargare il sostegno".
Tra i Paesi della Nato, gli Stati Uniti erano dieci anni fa quelli che partecipavano con la metà dell'intero bugdet. Oggi contribuiscono per il 75 percento. Da qui l'insofferenza nel constatare come l'Europa non stia facendo abbastanza. "Il popolo americano chiede, legittimamente, perché deve sobbarcarsi il pesante fardello di assicurare la pace e la stabilità internazionale. Il messaggio del Segretario della Difesa Usa è chiaro: se si trae un vantaggio dalla Nato bisogna anche condividerne gli oneri. Io condivido questo messaggio".
In un'intervista alla Bbc, Rasmussen si è detto 'esasperato' del fatto che solo quattro Paesi europei spendano quanto preventivato dall'Alleanza per poter sostenere gli impegni nei teatri internazionali, ovvero il due percento del Prodotto interno lordo: questi Paesi sono Francia, Gran Bretagna e - insospettabilmente - Albania e Grecia. Le spese militari del nostro Paese, dopo il taglio del 10 percento al bilancio della difesa del 2010, si attestano all'1,75 percento del Prodotto interno lordo.
Fonte.
Al solito, dichiarazioni piene d'arroganza dall'ennesimo servo degli interessi americani; un'ulteriore dimostrazione che la NATO, prima fa la fine del Patto di Varsavia, meglio sarà per tutti.
Yankee go home!
18/06/2011
17/06/2011
Balle internazionali sulla Libia.
In un articolo pubblicato sulla versione online della rivista (Famiglia Cristiana), Marinella Correggia analizza il conflitto libico e il modo in cui viene veicolato dai media.
"Le forze di Gheddafi e di altri gruppi nella regione cercano di creare divisioni fra gli abitanti, usando le violenze contro le donne e lo stupro come strumenti di guerra". Parole del Segretario di Stato, Hillary Clinton, che ha espresso la ferma condanna degli Stati Uniti nei confronti del regime libico e dei crimini di cui si è reso responsabile. Non è la prima volta che la comunità internazionale (o i singoli governi, come in questo caso) manifesta profonda indignazione di fronte alle malefatte di Gheddafi e del suo entourage, ma quanto di questo sdegno nasce da una sincera volontà di denuncia? Se l'è chiesto anche Marinella Correggia, che sulle pagine di Famiglia Cristiana ha condotto una lucida analisi del conflitto libico e di come viene veicolato dai media.
La giornalista esordisce con "la madre di tutte le bugie": i 10mila morti e 55mila feriti utilizzati come pretesto per una guerra condotta "a tutela del popolo libico". Il dato fu diffuso per la prima volta a febbraio da un utente di Twitter, Sayed Al Shanuka, qualificatosi come membro libico della Cpi. I diecimila morti divennero la bandiera dell'operazione "Unified Protector", e a nulla servì la smentita della stessa Cpi, per la quale il signor Sayed Al Shanuka era un illustre sconosciuto.
Da lì le supposte bugie si snodano in un lungo elenco, che va dalla mancanza di foto o video che possano testimoniare i primi massacri del regime (quelli perpetrati a Tripoli in febbraio), alle fosse comuni che si sono rivelate un cimitero, passando per i 55mila feriti, troppi per poter essere effettivamente ospitati negli ospedali del Paese. E ancora, Correggia sottolinea come i soldati del Colonnello siano spesso definiti "mercenari", "miliziani" e "cecchini" provenienti per lo più dall'Africa subsahariana, ignorando il fatto che moltissimi libici del sud hanno la pelle nera. Gli stessi mercenari sono accusati di seminare il terrore con stupri di massa, ma non esiste nessuna prova che si tratti di una pratica sistematica.
Del regime si è scritto anche che ha fatto uso di bombe a grappolo, ma secondo una ricerca di Human Rights Investigation gli ordini trovati potrebbero essere stati sparati dalle navi della Nato. Quanto alle stragi di civili, sono state un'ottima argomentazione in mano ad ambo le parti. Infine, l'articolo di Famiglia Cristiana accenna alle proposte negoziali spesso presentate da governi latinoamericani e dall'Unione Africana (Ua), ripetutamente respinte sia dalla Nato che dai ribelli.
La giornalista esordisce con "la madre di tutte le bugie": i 10mila morti e 55mila feriti utilizzati come pretesto per una guerra condotta "a tutela del popolo libico". Il dato fu diffuso per la prima volta a febbraio da un utente di Twitter, Sayed Al Shanuka, qualificatosi come membro libico della Cpi. I diecimila morti divennero la bandiera dell'operazione "Unified Protector", e a nulla servì la smentita della stessa Cpi, per la quale il signor Sayed Al Shanuka era un illustre sconosciuto.
Da lì le supposte bugie si snodano in un lungo elenco, che va dalla mancanza di foto o video che possano testimoniare i primi massacri del regime (quelli perpetrati a Tripoli in febbraio), alle fosse comuni che si sono rivelate un cimitero, passando per i 55mila feriti, troppi per poter essere effettivamente ospitati negli ospedali del Paese. E ancora, Correggia sottolinea come i soldati del Colonnello siano spesso definiti "mercenari", "miliziani" e "cecchini" provenienti per lo più dall'Africa subsahariana, ignorando il fatto che moltissimi libici del sud hanno la pelle nera. Gli stessi mercenari sono accusati di seminare il terrore con stupri di massa, ma non esiste nessuna prova che si tratti di una pratica sistematica.
Del regime si è scritto anche che ha fatto uso di bombe a grappolo, ma secondo una ricerca di Human Rights Investigation gli ordini trovati potrebbero essere stati sparati dalle navi della Nato. Quanto alle stragi di civili, sono state un'ottima argomentazione in mano ad ambo le parti. Infine, l'articolo di Famiglia Cristiana accenna alle proposte negoziali spesso presentate da governi latinoamericani e dall'Unione Africana (Ua), ripetutamente respinte sia dalla Nato che dai ribelli.
Fonte.
La terza repubblica.
Sono dell'idea che, quando sì dovrà datare la nascita della terza repubblica, il 15 giugno scorso potrà avere buon gioco nell'aggiudicarsi il "riconoscimento".
Una convergenza così trasversale nella critica (pur diversa per forma e contenuti) a Berlusconi non s'era mai vista. E' sempre più evidente che i "poteri forti" che diedero forma al Berlusconi della "discesa in campo" ne abbiano ormai decretato il definitivo ritorno alla panchina. Resta solo da stabilire se l'esonero sarà sigillato con l'infamia (relativa perché siamo in Italia) della corruzione o lo scandalo (certo perché siamo una dependance del Vaticano) delle mignotte.
Sicuramente, ci sarà da divertirsi quando il vecchio andrà in pensione. I futuri assetti politici potrebbero oltrepassare anche i più orgasmici sogni bi-polari di quel volpone di Gelli, salvo interferenze inaspettate ovviamente.
16/06/2011
Bilderberg 2011, temi e partecipanti.
Crisi dell'Euro, guerre in Afghanistan e Libia, rivoluzioni in Medio Oriente, social network e sicurezza informatica, sovrappopolazione e Cina.
Questi i principali temi discussi alla 59esima riunione annuale del Bilderberg Club, conclusasi domenica sera al lussuoso hotel Suvretta House di St. Moritz, in Svizzera. Gli organizzatori del più esclusivo conclave dei potenti della terra - svoltosi al riparo di muri di plastica e protetto da centinaia di agenti di sicurezza privati e poliziotti elvetici - si sono limitati a rendere pubblici gli argomenti. Massimo riserbo, come sempre, su cosa i centotrenta partecipanti al summit abbiano detto, e deciso, in merito a tali problematiche.
Gli italiani invitati quest'anno all'esclusivo conclave dei potenti della terra sono stati il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, l'amministratore delegato di Telecom Franco Bernabé, il presidente di Fiat John Elkann, l'amministratore delegato ENI Paolo Scaroni, e l'economista Mario Monti.
Segue la lista completa dei partecipanti.
Presidente onorario:
BEL Davignon, Etienne Minister of State
Partecipanti:
DEU Ackermann, Josef Chairman of the Management Board and the Group Executive Committee, Deutsche Bank AG
GBR Agius, Marcus Chairman, Barclays PLC
USA Alexander, Keith B. Commander, USCYBERCOM; Director, National Security Agency
INT Almunia, Joaquín Vice President, European Commission; Commissioner for Competition
USA Altman, Roger C. Chairman, Evercore Partners Inc.
FIN Apunen, Matti Director, Finnish Business and Policy Forum EVA
PRT Balsemão, Francisco Pinto Chairman and CEO, IMPRESA, S.G.P.S.; Former Prime Minister
FRA Baverez, Nicolas Partner, Gibson, Dunn & Crutcher LLP
FRA Bazire, Nicolas Managing Director, Groupe Arnault /LVMH
ITA Bernabè, Franco CEO, Telecom Italia SpA
USA Bezos, Jeff Founder and CEO, Amazon.com
SWE Bildt, Carl Minister of Foreign Affairs
SWE Björling, Ewa Minister for Trade
NLD Bolland, Marc J. Chief Executive, Marks and Spencer Group plc
CHE Brabeck-Letmathe, Peter Chairman, Nestlé S.A.
AUT Bronner, Oscar CEO and Publisher, Standard Medien AG
CAN Carney, Mark J. Governor, Bank of Canada
FRA Castries, Henri de Chairman and CEO, AXA
ESP Cebrián, Juan Luis CEO, PRISA
NLD Chavannes, Marc E. Political Columnist, NRC Handelsblad; Professor of Journalism, University of Groningen
TUR Ciliv, Süreyya CEO, Turkcell Iletisim Hizmetleri A.S.
CAN Clark, Edmund President and CEO, TD Bank Financial Group
BEL Coene, Luc Governor, National Bank of Belgium
USA Collins, Timothy C. CEO, Ripplewood Holdings, LLC
ESP Cospedal, María Dolores de Secretary General, Partido Popular
INT Daele, Frans van Chief of Staff to the President of the European Council
GRC David, George A. Chairman, Coca-Cola H.B.C. S.A.
DNK Eldrup, Anders CEO, DONG Energy
ITA Elkann, John Chairman, Fiat S.p.A.
DEU Enders, Thomas CEO, Airbus SAS
AUT Faymann, Werner Federal Chancellor
DNK Federspiel, Ulrik Vice President, Global Affairs, Haldor Topsøe A/S
USA Feldstein, Martin S. George F. Baker Professor of Economics, Harvard University
PRT Ferreira Alves, Clara CEO, Claref LDA; writer
GBR Flint, Douglas J. Group Chairman, HSBC Holdings plc
CHN Fu, Ying Vice Minister of Foreign Affairs
IRL Gallagher, Paul Senior Counsel; Former Attorney General
CHE Groth, Hans Senior Director, Healthcare Policy & Market Access, Oncology Business Unit, Pfizer Europe
TUR Gülek Domac, Tayyibe Former Minister of State
NLD Halberstadt, Victor Professor of Economics, Leiden University; Former Honorary Secretary General of Bilderberg Meetings
GRC Hardouvelis, Gikas A. Chief Economist and Head of Research, Eurobank EFG
USA Hoffman, Reid Co-founder and Executive Chairman, LinkedIn
CHN Huang, Yiping Professor of Economics, China Center for Economic Research, Peking University
USA Hughes, Chris R. Co-founder, Facebook
USA Jacobs, Kenneth M. Chairman & CEO, Lazard
CHE Janom Steiner, Barbara Head of the Department of Justice, Security and Health, Canton Grisons
FIN Johansson, Ole Chairman, Confederation of the Finnish Industries EK
USA Johnson, James A. Vice Chairman, Perseus, LLC
USA Jordan, Jr., Vernon E. Senior Managing Director, Lazard Frères & Co. LLC
USA Keane, John M. Senior Partner, SCP Partners; General, US Army, Retired
GBR Kerr, John Member, House of Lords; Deputy Chairman, Royal Dutch Shell plc
USA Kissinger, Henry A. Chairman, Kissinger Associates, Inc.
USA Kleinfeld, Klaus Chairman and CEO, Alcoa
TUR Koç, Mustafa V. Chairman, Koç Holding A.S.
USA Kravis, Henry R. Co-Chairman and co-CEO, Kohlberg Kravis Roberts & Co.
USA Kravis, Marie-Josée Senior Fellow, Hudson Institute, Inc.
INT Kroes, Neelie Vice President, European Commission; Commissioner for Digital Agenda
CHE Kudelski, André Chairman and CEO, Kudelski Group SA
GBR Lambert, Richard Independent Non-Executive Director, Ernst & Young
INT Lamy, Pascal Director General, World Trade Organization
ESP León Gross, Bernardino Secretary General of the Spanish Presidency
CHE Leuthard, Doris Federal Councillor
FRA Lévy, Maurice Chairman and CEO, Publicis Groupe S.A.
BEL Leysen, Thomas Chairman, Umicore
USA Li, Cheng Senior Fellow and Director of Research, John L. Thornton China Center, Brookings Institution
DEU Löscher, Peter President and CEO, Siemens AG
GBR Mandelson, Peter Member, House of Lords; Chairman, Global Counsel
IRL McDowell, Michael Senior Counsel, Law Library; Former Deputy Prime Minister
CAN McKenna, Frank Deputy Chair, TD Bank Financial Group
GBR Micklethwait, John Editor-in-Chief, The Economist
FRA Montbrial, Thierry de President, French Institute for International Relations
ITA Monti, Mario President, Universita Commerciale Luigi Bocconi
RUS Mordashov, Alexey A. CEO, Severstal
USA Mundie, Craig J. Chief Research and Strategy Officer, Microsoft Corporation
NOR Myklebust, Egil Former Chairman of the Board of Directors SAS, Norsk Hydro ASA
DEU Nass, Matthias Chief International Correspondent, Die Zeit
NLD Netherlands, H.M. the Queen of the
ESP Nin Génova, Juan María President and CEO, La Caixa
PRT Nogueira Leite, António Member of the Board, José de Mello Investimentos, SGPS, SA
NOR Norway, H.R.H. Crown Prince Haakon of
FIN Ollila, Jorma Chairman, Royal Dutch Shell plc
CAN Orbinksi, James Professor of Medicine and Political Science, University of Toronto
USA Orszag, Peter R. Vice Chairman, Citigroup Global Markets, Inc.
GBR Osborne, George Chancellor of the Exchequer
NOR Ottersen, Ole Petter Rector, University of Oslo
GRC Papaconstantinou, George Minister of Finance
TUR Pekin, Şefika Founding Partner, Pekin & Bayar Law Firm
FIN Pentikäinen, Mikael Publisher and Senior Editor-in-Chief, Helsingin Sanomat
USA Perle, Richard N. Resident Fellow, American Enterprise Institute for Public Policy Research
CAN Prichard, J. Robert S. Chair, Torys LLP
CAN Reisman, Heather Chair and CEO, Indigo Books & Music Inc.
USA Rockefeller, David Former Chairman, Chase Manhattan Bank
INT Rompuy, Herman van President, European Council
USA Rose, Charlie Executive Editor and Anchor, Charlie Rose
NLD Rosenthal, Uri Minister of Foreign Affairs
AUT Rothensteiner, Walter Chairman of the Board, Raiffeisen Zentralbank Österreich AG
FRA Roy, Olivier Professor of Social and Political Theory, European University Institute
USA Rubin, Robert E. Co-Chairman, Council on Foreign Relations; Former Secretary of the Treasury
ITA Scaroni, Paolo CEO, Eni S.p.A.
CHE Schmid, Martin President, Government of the Canton Grisons
USA Schmidt, Eric Executive Chairman, Google Inc.
AUT Scholten, Rudolf Member of the Board of Executive Directors, Oesterreichische Kontrollbank AG
DNK Schütze, Peter Member of the Executive Management, Nordea Bank AB
CHE Schweiger, Rolf Member of the Swiss Council of States
INT Sheeran, Josette Executive Director, United Nations World Food Programme
CHE Soiron, Rolf Chairman of the Board, Holcim Ltd., Lonza Ltd.
INT Solana Madariaga, Javier President, ESADEgeo Center for Global Economy and Geopolitics
NOR Solberg, Erna Leader of the Conservative Party
ESP Spain, H.M. the Queen of
USA Steinberg, James B. Deputy Secretary of State
DEU Steinbrück, Peer Member of the Bundestag; Former Minister of Finance
GBR Stewart, Rory Member of Parliament
IRL Sutherland, Peter D. Chairman, Goldman Sachs International
GBR Taylor, J. Martin Chairman, Syngenta International AG
USA Thiel, Peter A. President, Clarium Capital Management, LLC
ITA Tremonti, Giulio Minister of Economy and Finance
INT Trichet, Jean-Claude President, European Central Bank
GRC Tsoukalis, Loukas President, ELIAMEP
USA Varney, Christine A. Assistant Attorney General for Antitrust
CHE Vasella, Daniel L. Chairman, Novartis AG
USA Vaupel, James W. Founding Director, Max Planck Institute for Demographic Research
SWE Wallenberg, Jacob Chairman, Investor AB
USA Warsh, Kevin Former Governor, Federal Reserve Board
NLD Winter, Jaap W. Partner, De Brauw Blackstone Westbroek
CHE Witmer, Jürg Chairman, Givaudan SA and Clariant AG
USA Wolfensohn, James D. Chairman, Wolfensohn & Company, LLC
INT Zoellick, Robert B. President, The World Bank Group
Reporter accreditati:
GBR Bredow, Vendeline von Business Correspondent, The Economist
GBR Wooldridge, Adrian D. Foreign Correspondent, The Economist
Fonte.
Tre domande:
1) perché pure quelli di PeaceReporter scrivono così male?
2) perchè politica e finanza posso riunirsi a porte chiuse senza che nessun ministro sia chiamato a rendere conto alla propria nazione di quanto è andato a fare in Svizzera?
3) perché la riunione di potere più grande del globo non è documentata da nessuna testata o programma d'approfondimento giornalistico?
Questi i principali temi discussi alla 59esima riunione annuale del Bilderberg Club, conclusasi domenica sera al lussuoso hotel Suvretta House di St. Moritz, in Svizzera. Gli organizzatori del più esclusivo conclave dei potenti della terra - svoltosi al riparo di muri di plastica e protetto da centinaia di agenti di sicurezza privati e poliziotti elvetici - si sono limitati a rendere pubblici gli argomenti. Massimo riserbo, come sempre, su cosa i centotrenta partecipanti al summit abbiano detto, e deciso, in merito a tali problematiche.
Gli italiani invitati quest'anno all'esclusivo conclave dei potenti della terra sono stati il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, l'amministratore delegato di Telecom Franco Bernabé, il presidente di Fiat John Elkann, l'amministratore delegato ENI Paolo Scaroni, e l'economista Mario Monti.
Segue la lista completa dei partecipanti.
Presidente onorario:
BEL Davignon, Etienne Minister of State
Partecipanti:
DEU Ackermann, Josef Chairman of the Management Board and the Group Executive Committee, Deutsche Bank AG
GBR Agius, Marcus Chairman, Barclays PLC
USA Alexander, Keith B. Commander, USCYBERCOM; Director, National Security Agency
INT Almunia, Joaquín Vice President, European Commission; Commissioner for Competition
USA Altman, Roger C. Chairman, Evercore Partners Inc.
FIN Apunen, Matti Director, Finnish Business and Policy Forum EVA
PRT Balsemão, Francisco Pinto Chairman and CEO, IMPRESA, S.G.P.S.; Former Prime Minister
FRA Baverez, Nicolas Partner, Gibson, Dunn & Crutcher LLP
FRA Bazire, Nicolas Managing Director, Groupe Arnault /LVMH
ITA Bernabè, Franco CEO, Telecom Italia SpA
USA Bezos, Jeff Founder and CEO, Amazon.com
SWE Bildt, Carl Minister of Foreign Affairs
SWE Björling, Ewa Minister for Trade
NLD Bolland, Marc J. Chief Executive, Marks and Spencer Group plc
CHE Brabeck-Letmathe, Peter Chairman, Nestlé S.A.
AUT Bronner, Oscar CEO and Publisher, Standard Medien AG
CAN Carney, Mark J. Governor, Bank of Canada
FRA Castries, Henri de Chairman and CEO, AXA
ESP Cebrián, Juan Luis CEO, PRISA
NLD Chavannes, Marc E. Political Columnist, NRC Handelsblad; Professor of Journalism, University of Groningen
TUR Ciliv, Süreyya CEO, Turkcell Iletisim Hizmetleri A.S.
CAN Clark, Edmund President and CEO, TD Bank Financial Group
BEL Coene, Luc Governor, National Bank of Belgium
USA Collins, Timothy C. CEO, Ripplewood Holdings, LLC
ESP Cospedal, María Dolores de Secretary General, Partido Popular
INT Daele, Frans van Chief of Staff to the President of the European Council
GRC David, George A. Chairman, Coca-Cola H.B.C. S.A.
DNK Eldrup, Anders CEO, DONG Energy
ITA Elkann, John Chairman, Fiat S.p.A.
DEU Enders, Thomas CEO, Airbus SAS
AUT Faymann, Werner Federal Chancellor
DNK Federspiel, Ulrik Vice President, Global Affairs, Haldor Topsøe A/S
USA Feldstein, Martin S. George F. Baker Professor of Economics, Harvard University
PRT Ferreira Alves, Clara CEO, Claref LDA; writer
GBR Flint, Douglas J. Group Chairman, HSBC Holdings plc
CHN Fu, Ying Vice Minister of Foreign Affairs
IRL Gallagher, Paul Senior Counsel; Former Attorney General
CHE Groth, Hans Senior Director, Healthcare Policy & Market Access, Oncology Business Unit, Pfizer Europe
TUR Gülek Domac, Tayyibe Former Minister of State
NLD Halberstadt, Victor Professor of Economics, Leiden University; Former Honorary Secretary General of Bilderberg Meetings
GRC Hardouvelis, Gikas A. Chief Economist and Head of Research, Eurobank EFG
USA Hoffman, Reid Co-founder and Executive Chairman, LinkedIn
CHN Huang, Yiping Professor of Economics, China Center for Economic Research, Peking University
USA Hughes, Chris R. Co-founder, Facebook
USA Jacobs, Kenneth M. Chairman & CEO, Lazard
CHE Janom Steiner, Barbara Head of the Department of Justice, Security and Health, Canton Grisons
FIN Johansson, Ole Chairman, Confederation of the Finnish Industries EK
USA Johnson, James A. Vice Chairman, Perseus, LLC
USA Jordan, Jr., Vernon E. Senior Managing Director, Lazard Frères & Co. LLC
USA Keane, John M. Senior Partner, SCP Partners; General, US Army, Retired
GBR Kerr, John Member, House of Lords; Deputy Chairman, Royal Dutch Shell plc
USA Kissinger, Henry A. Chairman, Kissinger Associates, Inc.
USA Kleinfeld, Klaus Chairman and CEO, Alcoa
TUR Koç, Mustafa V. Chairman, Koç Holding A.S.
USA Kravis, Henry R. Co-Chairman and co-CEO, Kohlberg Kravis Roberts & Co.
USA Kravis, Marie-Josée Senior Fellow, Hudson Institute, Inc.
INT Kroes, Neelie Vice President, European Commission; Commissioner for Digital Agenda
CHE Kudelski, André Chairman and CEO, Kudelski Group SA
GBR Lambert, Richard Independent Non-Executive Director, Ernst & Young
INT Lamy, Pascal Director General, World Trade Organization
ESP León Gross, Bernardino Secretary General of the Spanish Presidency
CHE Leuthard, Doris Federal Councillor
FRA Lévy, Maurice Chairman and CEO, Publicis Groupe S.A.
BEL Leysen, Thomas Chairman, Umicore
USA Li, Cheng Senior Fellow and Director of Research, John L. Thornton China Center, Brookings Institution
DEU Löscher, Peter President and CEO, Siemens AG
GBR Mandelson, Peter Member, House of Lords; Chairman, Global Counsel
IRL McDowell, Michael Senior Counsel, Law Library; Former Deputy Prime Minister
CAN McKenna, Frank Deputy Chair, TD Bank Financial Group
GBR Micklethwait, John Editor-in-Chief, The Economist
FRA Montbrial, Thierry de President, French Institute for International Relations
ITA Monti, Mario President, Universita Commerciale Luigi Bocconi
RUS Mordashov, Alexey A. CEO, Severstal
USA Mundie, Craig J. Chief Research and Strategy Officer, Microsoft Corporation
NOR Myklebust, Egil Former Chairman of the Board of Directors SAS, Norsk Hydro ASA
DEU Nass, Matthias Chief International Correspondent, Die Zeit
NLD Netherlands, H.M. the Queen of the
ESP Nin Génova, Juan María President and CEO, La Caixa
PRT Nogueira Leite, António Member of the Board, José de Mello Investimentos, SGPS, SA
NOR Norway, H.R.H. Crown Prince Haakon of
FIN Ollila, Jorma Chairman, Royal Dutch Shell plc
CAN Orbinksi, James Professor of Medicine and Political Science, University of Toronto
USA Orszag, Peter R. Vice Chairman, Citigroup Global Markets, Inc.
GBR Osborne, George Chancellor of the Exchequer
NOR Ottersen, Ole Petter Rector, University of Oslo
GRC Papaconstantinou, George Minister of Finance
TUR Pekin, Şefika Founding Partner, Pekin & Bayar Law Firm
FIN Pentikäinen, Mikael Publisher and Senior Editor-in-Chief, Helsingin Sanomat
USA Perle, Richard N. Resident Fellow, American Enterprise Institute for Public Policy Research
CAN Prichard, J. Robert S. Chair, Torys LLP
CAN Reisman, Heather Chair and CEO, Indigo Books & Music Inc.
USA Rockefeller, David Former Chairman, Chase Manhattan Bank
INT Rompuy, Herman van President, European Council
USA Rose, Charlie Executive Editor and Anchor, Charlie Rose
NLD Rosenthal, Uri Minister of Foreign Affairs
AUT Rothensteiner, Walter Chairman of the Board, Raiffeisen Zentralbank Österreich AG
FRA Roy, Olivier Professor of Social and Political Theory, European University Institute
USA Rubin, Robert E. Co-Chairman, Council on Foreign Relations; Former Secretary of the Treasury
ITA Scaroni, Paolo CEO, Eni S.p.A.
CHE Schmid, Martin President, Government of the Canton Grisons
USA Schmidt, Eric Executive Chairman, Google Inc.
AUT Scholten, Rudolf Member of the Board of Executive Directors, Oesterreichische Kontrollbank AG
DNK Schütze, Peter Member of the Executive Management, Nordea Bank AB
CHE Schweiger, Rolf Member of the Swiss Council of States
INT Sheeran, Josette Executive Director, United Nations World Food Programme
CHE Soiron, Rolf Chairman of the Board, Holcim Ltd., Lonza Ltd.
INT Solana Madariaga, Javier President, ESADEgeo Center for Global Economy and Geopolitics
NOR Solberg, Erna Leader of the Conservative Party
ESP Spain, H.M. the Queen of
USA Steinberg, James B. Deputy Secretary of State
DEU Steinbrück, Peer Member of the Bundestag; Former Minister of Finance
GBR Stewart, Rory Member of Parliament
IRL Sutherland, Peter D. Chairman, Goldman Sachs International
GBR Taylor, J. Martin Chairman, Syngenta International AG
USA Thiel, Peter A. President, Clarium Capital Management, LLC
ITA Tremonti, Giulio Minister of Economy and Finance
INT Trichet, Jean-Claude President, European Central Bank
GRC Tsoukalis, Loukas President, ELIAMEP
USA Varney, Christine A. Assistant Attorney General for Antitrust
CHE Vasella, Daniel L. Chairman, Novartis AG
USA Vaupel, James W. Founding Director, Max Planck Institute for Demographic Research
SWE Wallenberg, Jacob Chairman, Investor AB
USA Warsh, Kevin Former Governor, Federal Reserve Board
NLD Winter, Jaap W. Partner, De Brauw Blackstone Westbroek
CHE Witmer, Jürg Chairman, Givaudan SA and Clariant AG
USA Wolfensohn, James D. Chairman, Wolfensohn & Company, LLC
INT Zoellick, Robert B. President, The World Bank Group
Reporter accreditati:
GBR Bredow, Vendeline von Business Correspondent, The Economist
GBR Wooldridge, Adrian D. Foreign Correspondent, The Economist
Fonte.
Tre domande:
1) perché pure quelli di PeaceReporter scrivono così male?
2) perchè politica e finanza posso riunirsi a porte chiuse senza che nessun ministro sia chiamato a rendere conto alla propria nazione di quanto è andato a fare in Svizzera?
3) perché la riunione di potere più grande del globo non è documentata da nessuna testata o programma d'approfondimento giornalistico?
15/06/2011
Se una cosa è fatta bene in patria o all'estero vuol dire che l'esercito non ci ha messo le mani.
Risposte concordate: operazione ‘trasparenza’ del ministero sul poligono sardo di Quirra.
La procura di Lanusei (Sardegna) ha aperto un'inchiesta per disastro ambientale per la presenza di cadmio, piombo, uranio e napalm. Il tutto causato dalle esplosioni di ordigni. Un militare indagato. La Difesa, però, ha diffuso un questionario ai militari per indirizzare le loro risposte.
Il piano, intitolato “In difesa della salute e dell’ambiente”, è stato distribuito recentemente, in forma riservata, in una riunione presso il gabinetto del ministro della Difesa con i vari responsabili della comunicazione per “definire una nuova linea di condotta sull’attività dei poligoni sardi ed evidenziare l’impegno delle Forze Armate a tutela del diritto alla salute del personale della Difesa, della collettività e dell’ambiente, con particolare riferimento ai poligoni militari”.
Insomma, se per la procura di Lanusei esistono le prove che le esercitazioni hanno causato gravi danni alla salute degli uomini e degli animali, che è stato usato uranio impoverito, che l’acqua potrebbe aver subito contaminazioni di nano-particelle provenienti dalle esplosioni del munizionamento, e provocato anche alcuni tumori registrati tra gli abitanti di Villaputzu e Quirra, per il governo la storia sta in altri termini. E così alla domanda: tra i comuni di Quirra e di Escalaplano è stata denunciata un’elevata incidenza di tumori potete escludere che sia collegata in qualche modo alle attività del Poligono? La risposta sarà: “Non sono un esperto di patogenesi o di oncogenesi, le dico però che le nostre famiglie abitano nei comuni limitrofi al Poligono, che noi viviamo e lavoriamo all’interno della base. Siamo i primi a poter affermare di essere interessati perché venga fatta luce sulle cause dell’insorgenza di queste malattie. La nostra disponibilità a collaborare a qualsiasi informazione e fornire dati è totale”. E ancora: “Sei militari e un generale che prestavano servizio al poligono sono recentemente morti per tumore del sistema linfatico”. Risposta: “Non sono un esperto di patogenesi o di oncogenesi, il resto uguale alla precedente”.
Altro consiglio è quello di ponderare bene l’uso di smentite e precisazioni, perché a volte possono avere l’effetto opposto, e di cimentarsi in iniziative di tutela della salute e dell’ambiente anche con con il ministero della Sanità, Università, Regioni, e associazioni ambientaliste come Legambiente, Lipu. Ma perchè la strategia di comunicazione sia “credibile” servono “appositi “monitoraggi” della situazione delle Forze Armate (salute del personale, ambiente, smaltimento rifiuti), statistiche nazionali e locali sulla incidenza di particolari patologie, con riferimento anche al personale militare che opera o ha operato nei poligoni”. Insomma, nulla è lasciato al caso in questa nuova tattica di ‘trasparenza’.
Insomma, se il ministero elude la questione con domande prestampate, la magistratura prova a vederci chiaro. L’inchiesta del procuratore Domenico Fiordalisi, infatti, ha portato sinora all’iscrizione nel registro degli indagati di tre persone: Tobia Santacroce, generale in pensione, ex comandante dell’Ufficio inquadramento, accusato di disastro ambientale colposo e omicidio volontario doloso, Gilberto Nobile e Gabriella Fasciani, due chimici indagati per falso ideologico in atto pubblico per aver attestato la non anomalia di particelle metalliche presenti nei polmoni e negli organi di ovini da loro analizzati. Dalle testimonianze acquisite è emerso inoltre che almeno un missile con una testata da guerra all’uranio impoverito è stato sparato, che tra i rifiuti interrati ci sono sostanze con cadmio, piombo, antimonio e napalm e che tra gli animali malformati ci sono capi con sei zampe, con gli occhi dietro le orecchie e, appunto, a due teste.
Un altro filone di indagine riguarda le morti sospette. Per questo è stata ordinata la riesumazione di una ventina di salme tra pastori e militari per verificare la presenza di particelle Alfa, emesse dall’uranio impoverito. L’ultimo atto disposto da Fiordalisi è stato appunto il sequestro del Poligono.
Eppure, di fronte a un’inchiesta della procura, il governo sceglie di “ridurre il livello di apprensione nella collettività” adottando “misure di comunicazione a tutela dello sforzo e degli investimenti nella ricerca sempre più spinta di soluzioni sostenibili per le attività istituzionali, e minimizzare o neutralizzare il danno d’immagine per Difesa e Forze armate”. Il che mette qualche ombra sul fatto che la salute della popolazione e un’informazione chiara stiano veramente l’obiettivo dei corpi militari.
Fonte.
14/06/2011
Le facce da culo.
La maschera rossa è già entrata nel castello dove sono trincerati i partiti. Loro, però, fanno finta di nulla. L'allegra brigata crede di essere immune al cambiamento, alla peste che la distruggerà. E' come un morto che cammina, ma non sa di esserlo. Le cinte di mura che ha costruito in tanti anni di regno, in apparenza solide come quelle di Costantinopoli, per escludere i cittadini da ogni aspetto della cosa pubblica cominciano a franare. La partitocrazia si crede invulnerabile e, fino ad ora, ha avuto buoni motivi per pensarlo. Vive da decenni tra agi e privilegi, opera per editti indiscutibili da coloro che tratta da sudditi. Si è autoeletta e si è propagata in ogni ganglio del Paese, in ogni struttura pubblica e privata, come una metastasi della democrazia. In alcuni momenti si è sentita perduta, ma non si è mai persa d'animo, ha fatto una capovolta come nel '92, si è rifatta il belletto e si è ripresentata all'elettorato. Ci hanno pensato poi i giornali e la televisione a trasformare in vergini delle vecchie baldracche.
Ora il gioco è finito, la Rete ne mostra le rughe, le falsità, i bubboni. Le eterne facce da culo abbozzano, depistano, confondono. Credono, come i vecchi mafiosi, che il vento passerà e sia sufficiente farsi canna per poi rialzarsi quando il tempo tornerà al sereno. Dopo il risultato del referendum si sono presentate di fronte agli italiani da vecchie maitresse consumate per recitare la solita stanca parte, non accorgendosi che non se le vuole trombare più nessuno. Hanno trasformato la vittoria degli italiani in una loro vittoria. Un voto per il futuro del Paese per un voto politico.
Fini, Casini e Rutelli hanno dichiarato: "La grande partecipazione popolare ai Referendum dimostra la volontà degli italiani di tornare ad essere protagonisti: e' ormai chiaro che la maggioranza e il governo sono totalmente sordi, incapaci di capire ciò che vogliono gli italiani'. Dopo Fukushima Fini era ancora nuclearista senza tentennamenti e Casini pure. Fini: "Il problema della sicurezza nucleare va al di là dei confini nazionali. Ci sono centrali in Slovenia e in Francia e se lì ci fossero dei disastri colpirebbero anche noi. Da più parti inoltre ho letto che le centrali giapponesi non sono di ultimissima generazione. In Italia si parla di centrali nucleari di ultimissima generazione. Il mio auspicio è che non si decida sull'onda dell'emozione". Casini: "Sarebbe il caso che il governo passasse dalle parole ai fatti altrimenti tra dieci anni saremo ancora fermi a discutere". Il supercazzolaro Vendola che non ha reso pubblica la gestione dell'acqua in Puglia, non si è smentito: "Oggi vince l'Italia dei beni comuni, perde l'Italia delle lobbies, perde un pezzo abbastanza pregiato dell'ideologia liberista che ha governato le sorti del mondo".
Le due maitresse anziane, quelle con più esperienza, hanno espresso la loro migliore faccia da culo per l'occasione. Bersani ha spiegato con la sua esse blesa che l'acqua "per forza" non va bene, ma l'acqua privatizzata "per volontà" dei pubblici amministratori è più buona. Il Pdmenoelle ha già una legge calda-calda. Il cadavere di Berlusconi ha affermato "Dovremo impegnarci fortemente sul settore delle energie rinnovabili". E' lo stesso figuro che rassicurava fino a ieri Sarkozy sul nucleare e bombarda il fratello Gheddafi. Gargamella Bersani ha detto che il Paese ha divorziato dal centro destra. Non è vero. Il Paese ha divorziato dai partiti, ma le facce da culo non lo hanno ancora capito.
Fonte.
Il Paese ha davvero divorziato dai partiti? Mi riservo il beneficio del dubbio.
13/06/2011
Referendum: c'è il quorum.
Referendum, affluenza oltre il 57 per cento
In testa quattro sì, a più del 95 per cento
In testa quattro sì, a più del 95 per cento
Urne chiuse per i referendum. Sono iniziati gli scrutini, mentre le opposizioni festeggiano: il quorum è superato. Non aveva dubbi il ministro dell’Interno Roberto Maroni che, a due ore dalla chiusura delle urne, ha dato per certo il 50 per cento più uno dei voti. E Berlusconi ha aggiunto: “Diremo addio al nucleare”. Dichiarazioni tra le polemiche: “Vogliono spingere gli italiani a restare a casa”, denunciano da Pd e Idv. In generale, l’affluenza ieri è andata oltre le aspettative, superando quota 41% nell’ultima rilevazione delle 22. In alcune zone d’Italia le percentuali sono state ben superiori: in Emilia Romagna, ad esempio, la soglia del 50% è stata raggiunta nella prima giornata di votazioni. Secondo il Viminale, quando mancano i dati di meno di una decina degli 8.092 comuni italiani, sono andati a votare oltre il 57 per cento degli aventi diritto. A fare da traino sono i due quesiti sull’acqua, che registrano le percentuali più alte di affluenza. Gli italiani si sono espressi soprattutto sulla eventuale privatizzazione della gestione delle risorse idriche: i dati danno al momento in maggioranza i cittadini contrari, che hanno votato per il sì all’abrogazione della norma. In testa anche per gli altri tre quesiti i sì dei cittadini contrari alle norme esistenti. Proseguono intanto gli scrutini – iniziati subito dopo la chiusura delle urne alle 15 – nelle 61.599 sezioni elettorali.
Fonte.
Sarà interessante verificare come la politica reagirà a questa vittoria referendaria e se questi due giorni di voto diverranno l'anticamera della rinascita di una coscienza civile nella popolazione italiana, oppure si connoteranno come uno colpo di reni isolato, destinato a dissiparsi con la sedimentazione del ricordo di Fukushima.
Grazie Mavericks !!!
I Dallas Mavericks scrivono una pagina bellissima nella storia dell’Nba. Uno Stato intero, il Texas, è in trionfo per il primo titolo conquistato dalla franchigia capace di spegnere in sei gare di finale le stelle di Miami. Nella sfida decisiva sul parquet degli Heat finisce 105-95 per i Mavs con le lacrime di gioia di un fenomeno tedesco, Dirk Nowitzki, entrato definitivamente nel cuore di Dallas e nell’Olimpo dei cestisti della Lega statunitense. «È stato un cammino lungo per giungere a questo traguardo. Non so se vincere l’anello in trasferta dia ancora più soddisfazione, ma la sensazione di essere la migliore squadra al mondo è indescrivibile», è stato il commento a caldo del campione bavarese.
Link
12/06/2011
11/06/2011
Bilancio di fine anno accademico.
Oggi sì chiude la campagna per il voto referendario di domani e lunedì su nucleare, acqua pubblica e legittimo impedimento.
In virtù di questa scandenza, anche il sottoscritto intende dare il proprio apporto alla nobile causa replicando il video del populista per eccellenza, dedicandolo a quelli (a mio parere non così pochi come sì dice in giro) che domani non andranno a votare.
PS: sinistra di merda!
In virtù di questa scandenza, anche il sottoscritto intende dare il proprio apporto alla nobile causa replicando il video del populista per eccellenza, dedicandolo a quelli (a mio parere non così pochi come sì dice in giro) che domani non andranno a votare.
PS: sinistra di merda!
Guerra fredda nel nuovo millennio.
Il secondo dopoguerra (giusto per non arrivare fino alle radici della questione) è trascorso all'insegna del braccio di ferro tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Lo smantellamento del muro di Berlino e il consecutivo disfacimento dell'URSS alimentarono un vento di cambiamento i cui effetti positivi sono ancora tutti da valutare (e l'interesse in tal senso latita alla grande).
Di sicuro c'è che nel nostro emisfero, a uno stato di conflitto apparentemente ideologico (ed almeno filantropicamente più stimolante) s'è sostituita una condizione di perenne insicurezza sociale, da cui è sparito anche il conflitto, soffocato dalla paura del singolo che sì chiude nel cesso, sì alimenta d'egoismo e pensa solo ai cazzi propri.
Anche fuori dal nostro otricello (leggasi tutto quello che l'informazione non ci dirà mai) la situazione non gira affatto bene, ed è questa la più grande fregatura che ci ha lasciato in eredità la fine degli anni '80. La sovrapposizione perfetta di due miserie in ogni singola persona che calpesta questo pianeta.
Lo smantellamento del muro di Berlino e il consecutivo disfacimento dell'URSS alimentarono un vento di cambiamento i cui effetti positivi sono ancora tutti da valutare (e l'interesse in tal senso latita alla grande).
Di sicuro c'è che nel nostro emisfero, a uno stato di conflitto apparentemente ideologico (ed almeno filantropicamente più stimolante) s'è sostituita una condizione di perenne insicurezza sociale, da cui è sparito anche il conflitto, soffocato dalla paura del singolo che sì chiude nel cesso, sì alimenta d'egoismo e pensa solo ai cazzi propri.
Anche fuori dal nostro otricello (leggasi tutto quello che l'informazione non ci dirà mai) la situazione non gira affatto bene, ed è questa la più grande fregatura che ci ha lasciato in eredità la fine degli anni '80. La sovrapposizione perfetta di due miserie in ogni singola persona che calpesta questo pianeta.
Luci e ombre nella primavera araba.
Il progetto di risoluzione che la Gran Bretagna ha presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per inasprire le sanzioni contro la Siria ha ricevuto il benestare degli Stati Uniti d'America e, limato rispetto alla bozza originale, non dovrebbe incontrare il veto della Cina e della Russia.
Questa la situazione internazionale, mentre la Turchia annuncia che sono almeno 1600 i profughi che hanno attraversato il confine in fuga dai combattimenti in Siria, dopo quelli che lo hanno fatto in Libano. Secondo le fonti dell'opposizione, dall'inizio dei moti insurrezionali contro il governo di Bashar al-Assad sono più di mille le vittime delle violenze di esercito, corpi speciali e polizia siriane.
L'opinione pubblica internazionale empatizza con i rivoltosi siriani, ma come in tutti i casi nei quali alla ragione si avviluppa l'emotività, sono molti i fatti (o presunti tali) che in questa rivolta siriana lasciano perplessi. Per cominciare, bisogna essere molto chiari su due punti. Il primo: il regime degli Assad è liberticida, avendo per decenni compresso i diritti degli oppositori e dei normali cittadini. Il secondo: la gente in Siria muore.
Bisogna capire, però, quali dinamiche si sono innescate in Siria. Interne ed esterne. Perché in tanti hanno interesse a destabilizzare il regime di Assad, esponente della minoranza religiosa degli alauiti, vicini agli sciiti. Vicino, anche e soprattutto, all'Iran e ad Hezbollah, in Libano. Nel 2008, con la nascita dell'Unione del Mediterraneo a Parigi, il presidente francese Nicholas Sarkozy offrì ad Assad la via maestra per abbandonare l'alleanza con Teheran e per una piena reintegrazione nel blocco occidentale.
Assad, dopo il tracollo dell'influenza siriana in Libano successivo all'omicidio dell'ex premier libanese Rafiq Hariri nel 2005, dopo il bombardamento di un edificio in Siria che l'intelligence israeliana riteneva essere un sito nucleare, si trovava in una situazione di estrema debolezza, con il Tribunale Onu per l'omicidio Hariri che si annunciava un atto d'accusa al presidente e al suo clan. In quella fase, Assad pareva ormai deciso a mollare l'Iran ed Hezbollah al loro destino. In un secondo momento, però, questo meccanismo si è inceppato.
Ecco che il risveglio dei popoli arabi, dalla Tunisia all'Egitto, è diventato un detonatore per decine di paesi dal Marocco all'Iraq. Moti più o meno appoggiati da Usa, Ue e Onu. Questo, però, non stupisce. Da troppo tempo le violazioni dei diritti umani trovano un'attenzione differente a Washington o a Bruxelles a seconda delle agende politiche di Usa e Ue. L'embargo criminale di Gaza o il massacro degli sciiti in Bahrein non conta come la protezione dei civili in Libia. Le accuse a uno stato 'canaglia' - come lo definì l'ex presidente Usa George W. Bush - non colgono nessuno di sorpresa. Bisogna capire, però, se questi moti in Siria siano totalmente interni o no.
L'ultimo mistero, in ordine di tempo, riguarda Amina Abdallah Araf, blogger siro-statunitense lesbica. Sua cugina ha postato, il 6 giugno scorso, un appello a tutti: l'hanno presa i servizi segreti siriani. Una mobilitazione - più che leggittima - è partita in tutto il mondo. Tutti colpiti dalla sua storia, dalla sua splendida foto. Peccato che la persona ritratta pare non essere lei.
A dirlo testate importanti: The Atlantic, The New York Times, il Wall Street Journal, e giornalisti autorevoli, come Andy Carvin della Npr, la radio pubblica Usa. Nessun giornalista è mai riuscito a incontrare di persona Amina. Nessuno che l'abbia incontrata s'è fatto vivo con i media, che pure stanno coprendo la storia. Una donna canadese, Sandra Bagaria, che aveva detto alla Bbc, al New York Times e ad al-Jazeera di essere amica di Amina, ha poi ammesso di non averla mai incontrata dal vivo.
La Cnn intervistò Amina, ma solo via mail. Carvin ha detto di essere stato contattato da una lesbica siriana che dice che Amina, in realtà, non esiste: sarebbe solo un nome d'arte. La foto apparsa sui media sarebbe di una donna inglese, Jelena Lecic. E dal momento dell'apparizione della smentita sull'autenticità dell'immagine in poi, sulla pagina Facebook sono sparite tutte le foto di Amina-Jelena.
Un altro elemento, silenziato dai media in questo caso, sono le dimissioni di personaggi autorevoli del giornalismo all news panarabo. Che al-Jazeera e al-Arabyia stiano sposando fino in fondo le rivoluzioni arabe non è un mistero. Che per farlo, come nel caso della Siria, arrivino a manipolare o forzare certe cifre e certi fatti (le fosse comuni, ad esempio, che appaiono e scompaiono in un baleno dai notiziari) è un altro conto. Questo pensano Zeina al-Yaziji, inviata di al-Arabiya in Siria, Abdel Harid Tawfiq, direttore della sede di Damasco di al-Jazeera e Gassam Ben Jidada dell'ufficio di Beirut di al-Jazeera. Tutti dimissionari, accusando i loro network di dare notizie esagerate e non controllate. Hanno subito pressioni a Damasco? Può essere, ma allora perché non hanno ritrattato una volta usciti dal Paese?
Un elemento di differenza, ad esempio, rispetto a Tunisi e il Cairo è la partecipazione di Damasco. Quasi assente dai moti. I centri della rivolta continuano a essere Homs, Deraa, Banias...cittadine al confine con Libano e Giordania, a maggioranza sunnita. L'infiltrazione da parte dell'Arabia Saudita, nemico giurato dell'Iran, di miliziani armati per destabilizzare il regime di Assad non può essere esclusa da nessuno che faccia il mestiere di giornalista. Perché la verifica è impossibile, a causa dell'ottusità del governo siriano, che non rilascia visti proprio nel momento in cui avrebbe tutto l'interesse a dimostrare l'eventuale complotto internazionale.
Questo, però, non autorizza i media internazionali a seguire l'agenda politica di qualcuno. Né a Damasco né all'estero. Restano per ora i dubbi (ad esempio, a Deraa, all'inizio delle proteste, perché mandare i 'cecchini' ai funerali delle vittime dopo aver rimosso il governatore colpevole della repressione?) e la sensazione che, in Siria come in Libia, le rivoluzioni siano meno chiare nelle loro dinamiche - pur complesse - di quelle in Tunisia, Egitto, Yemen. Di certo, per ora, è che in questa parte di mondo accadono fatti epocali. E sono in tanti quelli che vogliono scrivere un paragrafo.
Fonte.
Questa la situazione internazionale, mentre la Turchia annuncia che sono almeno 1600 i profughi che hanno attraversato il confine in fuga dai combattimenti in Siria, dopo quelli che lo hanno fatto in Libano. Secondo le fonti dell'opposizione, dall'inizio dei moti insurrezionali contro il governo di Bashar al-Assad sono più di mille le vittime delle violenze di esercito, corpi speciali e polizia siriane.
L'opinione pubblica internazionale empatizza con i rivoltosi siriani, ma come in tutti i casi nei quali alla ragione si avviluppa l'emotività, sono molti i fatti (o presunti tali) che in questa rivolta siriana lasciano perplessi. Per cominciare, bisogna essere molto chiari su due punti. Il primo: il regime degli Assad è liberticida, avendo per decenni compresso i diritti degli oppositori e dei normali cittadini. Il secondo: la gente in Siria muore.
Bisogna capire, però, quali dinamiche si sono innescate in Siria. Interne ed esterne. Perché in tanti hanno interesse a destabilizzare il regime di Assad, esponente della minoranza religiosa degli alauiti, vicini agli sciiti. Vicino, anche e soprattutto, all'Iran e ad Hezbollah, in Libano. Nel 2008, con la nascita dell'Unione del Mediterraneo a Parigi, il presidente francese Nicholas Sarkozy offrì ad Assad la via maestra per abbandonare l'alleanza con Teheran e per una piena reintegrazione nel blocco occidentale.
Assad, dopo il tracollo dell'influenza siriana in Libano successivo all'omicidio dell'ex premier libanese Rafiq Hariri nel 2005, dopo il bombardamento di un edificio in Siria che l'intelligence israeliana riteneva essere un sito nucleare, si trovava in una situazione di estrema debolezza, con il Tribunale Onu per l'omicidio Hariri che si annunciava un atto d'accusa al presidente e al suo clan. In quella fase, Assad pareva ormai deciso a mollare l'Iran ed Hezbollah al loro destino. In un secondo momento, però, questo meccanismo si è inceppato.
Ecco che il risveglio dei popoli arabi, dalla Tunisia all'Egitto, è diventato un detonatore per decine di paesi dal Marocco all'Iraq. Moti più o meno appoggiati da Usa, Ue e Onu. Questo, però, non stupisce. Da troppo tempo le violazioni dei diritti umani trovano un'attenzione differente a Washington o a Bruxelles a seconda delle agende politiche di Usa e Ue. L'embargo criminale di Gaza o il massacro degli sciiti in Bahrein non conta come la protezione dei civili in Libia. Le accuse a uno stato 'canaglia' - come lo definì l'ex presidente Usa George W. Bush - non colgono nessuno di sorpresa. Bisogna capire, però, se questi moti in Siria siano totalmente interni o no.
L'ultimo mistero, in ordine di tempo, riguarda Amina Abdallah Araf, blogger siro-statunitense lesbica. Sua cugina ha postato, il 6 giugno scorso, un appello a tutti: l'hanno presa i servizi segreti siriani. Una mobilitazione - più che leggittima - è partita in tutto il mondo. Tutti colpiti dalla sua storia, dalla sua splendida foto. Peccato che la persona ritratta pare non essere lei.
A dirlo testate importanti: The Atlantic, The New York Times, il Wall Street Journal, e giornalisti autorevoli, come Andy Carvin della Npr, la radio pubblica Usa. Nessun giornalista è mai riuscito a incontrare di persona Amina. Nessuno che l'abbia incontrata s'è fatto vivo con i media, che pure stanno coprendo la storia. Una donna canadese, Sandra Bagaria, che aveva detto alla Bbc, al New York Times e ad al-Jazeera di essere amica di Amina, ha poi ammesso di non averla mai incontrata dal vivo.
La Cnn intervistò Amina, ma solo via mail. Carvin ha detto di essere stato contattato da una lesbica siriana che dice che Amina, in realtà, non esiste: sarebbe solo un nome d'arte. La foto apparsa sui media sarebbe di una donna inglese, Jelena Lecic. E dal momento dell'apparizione della smentita sull'autenticità dell'immagine in poi, sulla pagina Facebook sono sparite tutte le foto di Amina-Jelena.
Un altro elemento, silenziato dai media in questo caso, sono le dimissioni di personaggi autorevoli del giornalismo all news panarabo. Che al-Jazeera e al-Arabyia stiano sposando fino in fondo le rivoluzioni arabe non è un mistero. Che per farlo, come nel caso della Siria, arrivino a manipolare o forzare certe cifre e certi fatti (le fosse comuni, ad esempio, che appaiono e scompaiono in un baleno dai notiziari) è un altro conto. Questo pensano Zeina al-Yaziji, inviata di al-Arabiya in Siria, Abdel Harid Tawfiq, direttore della sede di Damasco di al-Jazeera e Gassam Ben Jidada dell'ufficio di Beirut di al-Jazeera. Tutti dimissionari, accusando i loro network di dare notizie esagerate e non controllate. Hanno subito pressioni a Damasco? Può essere, ma allora perché non hanno ritrattato una volta usciti dal Paese?
Un elemento di differenza, ad esempio, rispetto a Tunisi e il Cairo è la partecipazione di Damasco. Quasi assente dai moti. I centri della rivolta continuano a essere Homs, Deraa, Banias...cittadine al confine con Libano e Giordania, a maggioranza sunnita. L'infiltrazione da parte dell'Arabia Saudita, nemico giurato dell'Iran, di miliziani armati per destabilizzare il regime di Assad non può essere esclusa da nessuno che faccia il mestiere di giornalista. Perché la verifica è impossibile, a causa dell'ottusità del governo siriano, che non rilascia visti proprio nel momento in cui avrebbe tutto l'interesse a dimostrare l'eventuale complotto internazionale.
Questo, però, non autorizza i media internazionali a seguire l'agenda politica di qualcuno. Né a Damasco né all'estero. Restano per ora i dubbi (ad esempio, a Deraa, all'inizio delle proteste, perché mandare i 'cecchini' ai funerali delle vittime dopo aver rimosso il governatore colpevole della repressione?) e la sensazione che, in Siria come in Libia, le rivoluzioni siano meno chiare nelle loro dinamiche - pur complesse - di quelle in Tunisia, Egitto, Yemen. Di certo, per ora, è che in questa parte di mondo accadono fatti epocali. E sono in tanti quelli che vogliono scrivere un paragrafo.
Fonte.
10/06/2011
Santoro in contropiede!
Santoro a Garimberti: “Se volete Annozero sono pronto a condurlo a un euro a puntata”
Il ministro Roberto Castelli, ospite in studio, si dice democratico ma anche “stufo di pagare Travaglio con i mie soldi”. A queste parole, Santoro non si contiene: “Adesso basta. Noi non prendiamo un euro dal canone – urla -. Dovete lasciare libera la Rai, fuori i partiti!”. “Dovete capire che c’è gente che non si compra – continua -, noi siamo del mercato”. E mentre Santoro mette nell’angolo i vertici Rai, Antonio Verro, consigliere di maggioranza di viale Mazzini, va a trovare Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli. Lo stesso consigliere che in giornata si era espresso negativamente contro un’altra trasmissione Rai, ‘Ballarò’, chiedendo più pluralismo.
“Nella mia visione della vita c’è la dignità del lavoro – spiega Santoro – che è la condizione della libertà”. Perché il giornalista, ricorda lui stesso, oltre ad essere “della Rai” è anche figlio di un ferroviere. “Quando si attacca la gente come me – continua – offende la gente come mio padre, perché gli impedisce di avere un sogno”. Eppure, adesso è stanco. ”Non si può sempre resistere resistere resistere”, spiega. Il conduttore è in attesa del giudizio della Cassazione sul suo reintegro, già disposto dai giudici in primo grado e in appello, che hanno anche rigettato il ricorso dell’azienda. Un contenzioso che “si è ritenuto di far cessare per recuperare la piena reciproca autonomia decisionale”, spiegava la Rai tre giorni fa in una nota, annunciando il divorzio “consensuale” dell’azienda da Santoro. Una fuoriuscita, quella del conduttore, posta come condizione per qualunque accordo da viale Mazzini. ”Io non voglio più andare in onda perché lo decidono i giudici – sottolinea il conduttore -. Ma anche se avessi vinto in Cassazione, non sarei stato contento. Perché non sarei stato considerato uno della Rai, ma uno graziato dai giudici di sinistra”.
Una battaglia che parte da lontano. E che ha il suo scontro principale nel 2002, quando il presidente del Consiglio emana quello che è passato alla storia della televisione come ’Editto bulgaro’. “Biagi, Luttazzi e Santoro hanno fatto un uso criminoso della televisione pubblica”, dice il premier da Sofia. Risultato: i tre vengono allontanati dalla Rai. E Santoro apre il suo contenzioso con l’azienda, ancora non concluso. In mezzo ci sono polemiche, una telefonata in diretta dell’ex direttore generale della Rai Mauro Masi e uno scandalo. “Uno scandalo mondiale”, lo definisce oggi Santoro. ”Presidente Napolitano – è l’appello del conduttore – ci rendiamo conto che siamo l’unico Paese in cui l’arbitro della comunicazione è espresso direttamente dai partiti?”. Il riferimento è all’Agcom che, tra i numerosi attacchi alla trasmissione, ha un posto di rilievo. Quello nel fascicolo della procura di Trani, in cui compaiono le telefonate tra un ex dipendente dell’Autorità garante per le Comunicazioni, Giancarlo Innocenzi, e il premier. Conversazioni in cui Berlusconi chiede di mettere fine a programmi come ‘Annozero’ e commenta che se l’Agcom non ne è capace allora fa davvero “schifo”.
“C’è una cosa che ha urtato la mia sensibilità – ha aggiunto il giornalista -. Voi dicevate che ero in onda per giudici, ma mentre ‘Annozero’ incassava milioni di euro, questi erano spesi da avvocati per portarmi in tribunale fino in Cassazione”. ”Se la mia andata via serve ad evitare il bombardamento di ciò che rende grande il servizio pubblico, come Fazio, Gabanelli, Dandini, Iacona - prosegue Santoro – preferisco andare via”. “Ora al diavolo ‘Annozero’ – conclude – comincia l’Annonuovo”.
Fonte.
Mi sa che sono stato un po' frettoloso a dare per certo l'accasamento di Santoro a LA7.
L'uscita sull'essere figlio di un ferroviere, però, se la poteva proprio risparmiare con quello che guadagna oggi e soprattutto avendo metà del pubblico in studio composto da co.co.pro a 1000€ al mese quando va bene.
09/06/2011
Muore Mietek Pemper: autore della "Schindler's list".
E' morto ad Augusta, in Baviera, Mietek Pemper, il polacco prigioniero nei campi nazisti che compilò la famosa "Schindler's list", la lista dei 1300 prigionieri ebrei che l'omonimo industriale tedesco voleva far lavorare nelle sue fabbriche di munizioni, salvandoli da morte certa.
Pemper era nato a Cracovia nel 1920 e nel marzo 1943, durante il periodo di prigionia nazista, venne assegnato all'ufficiale Amon Goeth, presso il campo di concentramento polacco di Plaszow.
In quegli anni conobbe Schindler e lo aiutò a preparare la "lista". La storia venne raccontata, tra l'altro, dal regista Steven Spierlberg nel 1993.
Fonte.
Pemper era nato a Cracovia nel 1920 e nel marzo 1943, durante il periodo di prigionia nazista, venne assegnato all'ufficiale Amon Goeth, presso il campo di concentramento polacco di Plaszow.
In quegli anni conobbe Schindler e lo aiutò a preparare la "lista". La storia venne raccontata, tra l'altro, dal regista Steven Spierlberg nel 1993.
Fonte.
Il Brasile libera Battisti.
Dopo mesi di bagarre, la Corte Suprema brasiliana ha fatto i suoi conti e preso la propria decisione. Niente estradizione in Italia ed immediata scarcerazione per Cesare Battisti, l'ex membro dei PAC la cui vicenda è piuttosto emblematica circa i metodi (molto discutibili) con cui lo Stato italiano ha affrontato e sconfitto l'eversione rossa negli anni di piombo.
Mi piacerebbe pensare che la decisione brasiliana sia stata il frutto di un attento vaglio delle carte processuali di Battisti, ma ho idea che a pesare sul verdetto finale siano state questioni prettamente diplomatiche, legate all'insofferenza che Brasilia ha mostrato confronti della politica italiana dell'ultimo decennio, politica italiana a cui sarebbe interessante domandare (partendo da Napolitano) come mai il terrorismo degli anni di piombo continui ad essere valutato diversamente a seconda del colore della casacca.
Sarà mica che la società del capitale è più in sintonia col braccio teso piuttosto che il pugno alzato?
Mi piacerebbe pensare che la decisione brasiliana sia stata il frutto di un attento vaglio delle carte processuali di Battisti, ma ho idea che a pesare sul verdetto finale siano state questioni prettamente diplomatiche, legate all'insofferenza che Brasilia ha mostrato confronti della politica italiana dell'ultimo decennio, politica italiana a cui sarebbe interessante domandare (partendo da Napolitano) come mai il terrorismo degli anni di piombo continui ad essere valutato diversamente a seconda del colore della casacca.
Sarà mica che la società del capitale è più in sintonia col braccio teso piuttosto che il pugno alzato?
08/06/2011
07/06/2011
Main frame collapse
Sembra che i disservizi che hanno bloccato migliaia di sportelli postali nell'ultima settimana, siano imputabili al guasto del sistema operativo del mainframe IBM che gestisce tutti i terminali della rete di Poste Italiane.
Gli Schizo a sto giro sono obbligatori!
Gli Schizo a sto giro sono obbligatori!
06/06/2011
Saluti Santoro!
Dopo un decennio abbondante di piagnistei determinati dalla censura governativa che avrebbe quasi costantemente minato l'esistenza dei suoi programmi, Santoro pare aver finalmente chiuso il suo travagliato rapporto con l'emittente pubblica per approdare alla corte di Tronchetti Provera, dove negli anni sì sono ritrovati diversi naufraghi provenienti da Viale Mazzini e dal Biscione che hanno animato una rete alternativa nelle forme, ma assolutamente non nei contenuti (Mentana docet).
Mi auguro che almeno in casa Telecom, il buon Santoro non menerà il torrone con le sue ben pagate lagne...
Mi auguro che almeno in casa Telecom, il buon Santoro non menerà il torrone con le sue ben pagate lagne...
Brian Johnson e la religione.
Un paio di giorni fa, mentre bazzicavo su metal.it per cercare la recensione del nuovo disco dei Morbid Angel (una merdata epocale conclamata), mi sono imbattuto in questa notizia:
In giro a promuovere la sua autobiografia, 'Rockers and Rollers: A Full-Throttle Memoir", il cantante degli AC/DC, Brian Johnson, ci dice la sua sulla religione:
"Beh, non credo nella religione, mettiamola così. Credo che tutte le religioni siano un male. Penso che siano una perdita di tempo. Gesù era un uomo intelligente, non il figlio di Dio."
A parte la condivisione del punto di vista di Johnson (credo sia la prima volta che approvo il pensiero di un artista mainstream), la frase con cui chiude il suo discorso mi ha ricordato una delle migliori scene della cinematografia animata degli ultimi anni:
Della serie: come riassumere in 20 secondi 2000 anni di cazzate cattoliche.
In giro a promuovere la sua autobiografia, 'Rockers and Rollers: A Full-Throttle Memoir", il cantante degli AC/DC, Brian Johnson, ci dice la sua sulla religione:
"Beh, non credo nella religione, mettiamola così. Credo che tutte le religioni siano un male. Penso che siano una perdita di tempo. Gesù era un uomo intelligente, non il figlio di Dio."
A parte la condivisione del punto di vista di Johnson (credo sia la prima volta che approvo il pensiero di un artista mainstream), la frase con cui chiude il suo discorso mi ha ricordato una delle migliori scene della cinematografia animata degli ultimi anni:
Della serie: come riassumere in 20 secondi 2000 anni di cazzate cattoliche.
05/06/2011
Eternamente macabri
Probabilmente, così pensavano di (ri)apparire gli Autopsy a seguito della pubblicazione di Macabre Eternal, nuovo album che sigla il definitivo ritorno del gruppo sulle scene dopo 15 anni di silenzio.
Alla rediviva band di Chris Reifert, tuttavia, l'operazione non è andata proprio benissimo.
Tralasciando qualsiasi elucubrazione circa i modi e i tempi abbastanza sospetti con cui questo guru del marciume (nel caso il suo palmares vi risultasse sconosciuto, v'invito ad approfondirlo) ha gestito il rilancio degli Autopsy, Macabre Eternal mostra una generale spompatezza che non pensavo di riscontrare.
Nonostante non abbia seguito con le palpitazioni la gestazione di questa uscita, l'ascolto dell'EP The Tomb Within datato 2010, mi lasciò abbastanza fiducioso circa la qualità di Macabre che, invece, mi è risultato piuttosto piatto all'ascolto, privo di mordente ed al massimo in grado di rimandare alla lontana quei fasti che ancora oggi lasciano il segno quando si mette nello stereo Severed Survival o Mental Funeral. Ovviamente non speravo di trovarmi davanti a un capolavoro in grado di ridare spolvero al death in salsa Scream Blody Goore, ma ad un disco con un po' di tiro sparso qua e la certamente sì.
Macabre Eternal, invece, suona come tutti quegli album dei Motorhead (l'ultimo in ordine di tempo è The World Is Yours) che, per motivi contrattuali, Lemmy e soci sono costretti a pubblicare con risultati ovviamente poco stimolanti.
Manco a dirlo, questo inciampo di Reifert lascia con l'amaro in bocca, soprattutto pensando all'universo death metal americano, di questi tempi particolarmente avaro di qualità negli ambienti della vecchia scuola, in cui mantengono le posizioni giusto i Cannibal Corpse e le più recenti incarnazioni dell'estro di Kam Lee.
03/06/2011
Fincantieri, ritirato il piano sui licenziamenti.
L'annuncio è stato dato dall'amministratore delegato Giuseppe Bono durante l'incontro con governo e sindacati. Hanno quindi ottenuto quello che volevano i 2mila lavoratori in corteo oggi a Roma
L’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, ha ritirato il piano industriale dell’azienda che prevedeva il taglio di oltre 2mila posti di lavoro. Lo si apprende da fonti sindacali secondo cui, durante il tavolo con governo e sindacati, Bono ha detto: “Se queste sono le vostre richieste ritiro il piano”. Hanno ottenuto quindi quello che volevano i circa 2mila lavoratori arrivati a Roma dalla Campania e dalla Liguria per protestare contro il piano industriale dell’azienda triestina in occasione del vertice convocato dal ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, con azienda e sindacati.Tra le richieste dei manifestanti c’era infatti lo stop ai 2.550 tagli ipotizzati dal piano, che prevedeva la chiusura degli stabilimenti di Sestri Ponente e Castellamare di Stabia, nonché il ridimensionamento di Riva Trigoso. Il corteo è partito dalla stazione Ostiense al grido “Il cantiere non si tocca”. Gli operai si sono diretti verso il Colosseo e non sono mancati alcuni momenti di tensione con le forze dell’ordine. “Lo stato d’animo è di fibrillazione – ha detto un operaio – ci aspettiamo e vogliamo il ritiro del piano”. Alcuni dei manifestanti sono in cassa integrazione da un anno, altri addirittura da due. “La nostra situazione economica è pesante, la cassa integrazione si sente sia sullo stipendio che sul reddito – ha aggiunto un altro – e chi ha dei bambini sa cosa vuol dire”.
In testa al corteo alcuni sindaci liguri, che hanno sottolineato “l’importanza che gli stabilimenti Fincantieri hanno per il territorio”. Tra loro anche rappresentanti di centrodestra. E’ il caso di Claudio Muzio, sindaco di Casarza Ligure, comune di settemila abitanti che “vive grazie allo stabilimento di Riva Trigoso”. Ha raccontato il sindaco: “mio padre, che ha 90 anni e con 40 anni di stabilimento sulle spalle, ha pianto. L’ho dovuto vedere piangere come un bambino quando gli ho detto che lo stabilimento, probabilmente, avrebbe chiuso”. Roberto Bagnasco è invece un consigliere regionale del Pdl: “Il Governo deve darci risposte e sbloccare il piano di ristrutturazione. Per anni ho fatto il sindaco di Rapallo e posso dire che questi comuni, senza gli stabilimenti, moriranno”.
”E’ necessario che nell’incontro di oggi il governo tolga dal tavolo il piano di Bono (amministratore delegato di Fincantieri, ndr) – aveva detto il segretario generale della Fiom Maurizio Landini -. Ed entro sera si sappia che non chiudono i cantieri e si possa così aprire una trattativa”.
Fonte.
Il dietrofront dei vertici Fincantieri mi fa ovviamente piacere, tuttavia, non riesco a districare la matassa delle reali considerazioni che hanno portato Bono a mettere in atto, nel giro di 20 giorni, una capriola di questa portata che partiva dal quasi totale smantellamento aziendale, all'odierno "non tocchiamo nulla".
Più che una strategia industriale a me questo teatrino pare costruito ad hoc per tastare il terreno dei rapporti sindacali e soprattutto delle tensioni sociali che attualmente serpeggiano nel Paese.
02/06/2011
Appunti su Wojtyla.
Chi era Wojtyla prima di diventare Papa?
Wojtyla già prima di diventare Papa era un "asset" atlantico, una risorsa essenziale nel progetto di distruzione dell'impero sovietico. Wojtyla fu individuato e scelto per una brillante carriera ecclesiastica da un principe della Chiesa, l'arcivescovo di Cracovia Adam Sapieha, una figura provieniente da una famiglia di politici e diplomatici polacchi, egli stesso uomo di altissima caratura, tanto che partecipò alla Conferenza di Yalta che ridisegnò l'Europa del dopoguerra.
Sapieha, l'uomo che deteneva i segreti delle fosse di Katyn, lo iniziò all'arte dell'"intelligence", gli insegnò il valore dell'informazione, gli speigò i delicati rapporti con il potere comunista. Wojtyla era l'unico prelato che sin dal 46-47 potè muoversi liberamente attraverso la cortina di ferro, recandosi frequentemente in Vaticano e in altri paesi europei. La sua carriera, appoggiata da tre papi (Pio XII, Giovanni XIII, Paolo VI) fu fulminante: vescovo ausiliare di Cracovia a soli 38 anni, arcivescovo a 44, cardinale a 47: un'ascesa irrestistibile che fu frutto di un piano per fare di una risorsa chiave nella lotta al comunismo e nella Ostpolitik.
Come lo è diventato?
A sostenere Wojtyla nell'ascesa al soglio pontificio furono più forze: certamente l'Opus Dei, un movimento cui si avvicinò sin dal primo dopoguerra e che frequentò assiduamente negli anni 60 e 70. Ma anche ambienti americani e in particolare il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter Zbigniew Brzezinski, influentissimo polacco professore ad Harvard e alla Columbia, esperto di soviet studies, artefice di una raffinata strategia che vedeva nella religione lo strumento per abbattere l'impero sovietico. Brzezinski e Wojtyla si frequentarono assiduamente almeno dal 76, due anni prima del conclave che lo elesse. Brzezinski esercitò forti pressioni sui cardinali americani affinché eleggessero il suo amico Wojtyla. Ad essi si unirono quelli sudamericani vicini all'Opus Dei e anche settori del clero tedesco.
Quali le ombre della sua vita?
L'uso disinvolto dello Ior e dell'Ambrosiano per finanziare Solidarnosc. La distruzione della teologia della liberazione in America Latina. La copertura del problema pedofilia nella Chiesa. L'appoggio acritico e indiscriminato a movimenti integralisti come l'Opus Dei, Cl, Focolarini, Neocatecumenali, Legionari di Cristo.
Cosa sapeva di Calvi? Sapeva che sarebbe stato ucciso?
Di Calvi e delle sua attività sapeva certamente, lo incontrò diverse volte come mi ha raccontato Clara Canetti Calvi. Lo utilizzò per Solidarnosc e per l'appoggio ai regimi dittatoriali sudamericani, sapeva certamente delle sue difficoltà quando scappò a Londra. Ma non fece nulla per aiutarlo, lo abbandonò al suo destino.
Cosa sapeva della pedofilia nella Chiesa?
Giovanni Paolo II era stato informato dello scandalo dei Legionari di Cristo e degli abusi compiuti dal loro fondatore Marcial Maciel, ma non fece nulla e lo protesse sino alla fine con la collaborazione del cardinale Ratzinger. Anche altri casi di pedofilia gli erano certamente noti, ma non si mosse, difendendo la Chiesa anche in situazioni inaccettabili. Le sue responsabilità in tema di pedofilia sono quindi gravi, purtroppo.
Fonte.
Wojtyla già prima di diventare Papa era un "asset" atlantico, una risorsa essenziale nel progetto di distruzione dell'impero sovietico. Wojtyla fu individuato e scelto per una brillante carriera ecclesiastica da un principe della Chiesa, l'arcivescovo di Cracovia Adam Sapieha, una figura provieniente da una famiglia di politici e diplomatici polacchi, egli stesso uomo di altissima caratura, tanto che partecipò alla Conferenza di Yalta che ridisegnò l'Europa del dopoguerra.
Sapieha, l'uomo che deteneva i segreti delle fosse di Katyn, lo iniziò all'arte dell'"intelligence", gli insegnò il valore dell'informazione, gli speigò i delicati rapporti con il potere comunista. Wojtyla era l'unico prelato che sin dal 46-47 potè muoversi liberamente attraverso la cortina di ferro, recandosi frequentemente in Vaticano e in altri paesi europei. La sua carriera, appoggiata da tre papi (Pio XII, Giovanni XIII, Paolo VI) fu fulminante: vescovo ausiliare di Cracovia a soli 38 anni, arcivescovo a 44, cardinale a 47: un'ascesa irrestistibile che fu frutto di un piano per fare di una risorsa chiave nella lotta al comunismo e nella Ostpolitik.
Come lo è diventato?
A sostenere Wojtyla nell'ascesa al soglio pontificio furono più forze: certamente l'Opus Dei, un movimento cui si avvicinò sin dal primo dopoguerra e che frequentò assiduamente negli anni 60 e 70. Ma anche ambienti americani e in particolare il consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Carter Zbigniew Brzezinski, influentissimo polacco professore ad Harvard e alla Columbia, esperto di soviet studies, artefice di una raffinata strategia che vedeva nella religione lo strumento per abbattere l'impero sovietico. Brzezinski e Wojtyla si frequentarono assiduamente almeno dal 76, due anni prima del conclave che lo elesse. Brzezinski esercitò forti pressioni sui cardinali americani affinché eleggessero il suo amico Wojtyla. Ad essi si unirono quelli sudamericani vicini all'Opus Dei e anche settori del clero tedesco.
Quali le ombre della sua vita?
L'uso disinvolto dello Ior e dell'Ambrosiano per finanziare Solidarnosc. La distruzione della teologia della liberazione in America Latina. La copertura del problema pedofilia nella Chiesa. L'appoggio acritico e indiscriminato a movimenti integralisti come l'Opus Dei, Cl, Focolarini, Neocatecumenali, Legionari di Cristo.
Cosa sapeva di Calvi? Sapeva che sarebbe stato ucciso?
Di Calvi e delle sua attività sapeva certamente, lo incontrò diverse volte come mi ha raccontato Clara Canetti Calvi. Lo utilizzò per Solidarnosc e per l'appoggio ai regimi dittatoriali sudamericani, sapeva certamente delle sue difficoltà quando scappò a Londra. Ma non fece nulla per aiutarlo, lo abbandonò al suo destino.
Cosa sapeva della pedofilia nella Chiesa?
Giovanni Paolo II era stato informato dello scandalo dei Legionari di Cristo e degli abusi compiuti dal loro fondatore Marcial Maciel, ma non fece nulla e lo protesse sino alla fine con la collaborazione del cardinale Ratzinger. Anche altri casi di pedofilia gli erano certamente noti, ma non si mosse, difendendo la Chiesa anche in situazioni inaccettabili. Le sue responsabilità in tema di pedofilia sono quindi gravi, purtroppo.
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