Dagli avvenimenti greci degli ultimi giorni appare ovvio che l’eurozona
si salverà solamente se potrà garantire ai suoi cittadini occupazione e
miglioramenti degli standard di vita, consentendo alle economie più
deboli, in particolare del sud e del centro Europa, di guadagnare
competitività e di imboccare un sentiero di crescita. Per ottenere
questi risultati e’ indispensabile un radicale processo di riforma e di
trasformazione dell’assetto economico, politico ed istituzionale europeo
che, per avere possibilità di successo, non dovrebbe mettere in
pericolo la coesione sociale e lo stesso assetto democratico.
La Grecia e l’Ungheria stanno mostrando alle classi dirigenti
europee due modi diversi di reagire agli effetti causati dalle politiche
economiche realizzate per porre rimedio alla crisi dei debiti sovrani.
Altri paesi dell’area mostrano segni evidenti di stress economico e
politico come la Bulgaria e la Romania, e se la crescita non sarà presto
avviata, altri paesi non marginali come Spagna, Italia ed Inghilterra
si chiederanno se valga la pena di continuare a subordinare le proprie
politiche economiche ad un assetto economico ed istituzionale che
produce recessione e disoccupazione crescente. Certo che la situazione
europea è paradossale: la politica fiscale segue i dettami della
dottrina rigorista e neomercantilista tedesca, mentre la politica
monetaria, con buona pace dello statuto della Banca Centrale europea, è
espansiva secondo il modello americano per salvare il sistema bancario e
finanziario europeo, ma senza alcun effetto sull’economia reale.
Le previsioni di crescita dell’area euro per i prossimi due anni non
sono certo incoraggianti dato che tutti i paesi stanno riducendo la
spesa pubblica proprio nel momento in cui la domanda privata per consumi
ed investimenti è particolarmente bassa. Non vi è bisogno di molta
teoria economica per capire che i prossimi due anni non vedranno grande
crescita: le previsioni per Germania e Francia sono intorno all’0,5 %
per l’anno corrente ed intorno al 1,5 % per il prossimo anno; per
Italia, Spagna, Grecia e Portogallo la crescita sarà negativa e l’area
centro europea non farà certamente molto meglio.
Se questo è il mondo che ci attende nei prossimi due anni viene naturale
chiedersi quale sia la strategia tedesca, ammesso che ne esista una, al
di là di vincere le prossime elezioni. Sembra, ma si tratta di ipotesi,
che in qualche circolo politico tedesco si pensi che in fin dei conti
il futuro dell’economia tedesca sia ad est, verso la Russia, il
Kazakstan dove la signora Merkel ha appena firmato importanti accordi commerciali con il presidente Nazarbaev, e verso la Cina dove si trovano le nuove fonte di domanda per le esportazioni tedesche. Circolano
scenari geo-economici secondo cui l’Europa sarà in futuro divisa in tre
aree: un nucleo nord europeo che condivide i canoni rigoristi tedeschi,
un’area del centro Europa che continuerà a ospitare parte della
produzione tedesca decentrata e una periferia di paesi che usciranno
dall’euro per tentare una crescita tirata da una moneta nazionale
svalutata, dopo un durissimo adattamento economico e sociale.
Se qualcuno nella classe dirigente tedesca persegue una strategia di
questo tipo è sicuramente accecato da una arroganza che lo porta a
sovrastimare la forza dell’economia tedesca, pensando che esista ad est
un lebensraum, uno spazio vitale pronto ad essere il mercato delle
merci prodotte dalla efficiente macchina produttiva tedesca che peraltro
non ha ancora recuperato i livelli di investimenti precedenti alla
crisi del 2008.
Sostituire in parte i mercati europei in recessione con quelli dell’est
ad alta crescita non è una operazione immediata né di facile
esecuzione, poiché sui mercati ad est esistono concorrenti locali ed
internazionali che non renderanno facile trasformare questi mercati nel
giardino di casa rappresentato per ora dal mercato europeo. Quello che
sembra non venga preso in considerazione dalle classi dirigenti tedesche
è che perseguire testardamente un progetto di comando tedesco
sull’Europa può portare alla disgregazione della costruzione europea e
di conseguenza ad un possibile ruolo periferico della Germania sulla
scena mondiale.
Non basta essere forti ed efficienti per essere egemoni, bisogna anche offrire speranza e non la paura per il futuro.
Fonte.
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