Oggi avrei voluto proseguire il ragionamento sul M5s, ma ci sono due avvenimenti di cronaca che mi obbligano a rinviare di un paio di giorni, perché non è possibile passare su certe cose come se nulla fosse: la sentenza sul caso Cucchi e la carica contro gli operai di Terni. Le due cose sono indipendenti una dall’altra ma hanno un filo che le lega: la brutalità delle forze di polizia che sta raggiungendo livelli da Argentina anni settanta e la sistematica impunità che glielo consente.
La carica di Terni ha avuto aspetti di una bestialità come non si ricorda da lungo tempo, ha coinvolto anche il sindaco Leopoldo Di Girolamo che è del Pd (a proposito: ci sarà un parlamentare del Pd che avrà il coraggio di una interrogazione parlamentare in difesa del suo compagno e degli operai? Fortissimamente dubitiamo che ciò possa accadere in quel partito di molluschi).
La polizia si difende accusando un operaio di averlo colpito con un ombrello, ma la cosa è più che dubbia e lo stesso sindaco parla del colpo di un manganello. D’altra parte, difficilmente un ombrello avrebbe potuto provocare la ferita che si nota sul capo di Di Girolamo (in fondo, sia la stoffa che i raggi dovrebbero fare da ammortizzatore e l’asta, si suppone, non sia di acciaio massiccio). La cosa ci lascerebbe perfettamente tranquilli se ad indagare e giudicare fosse una magistratura degna di questo nome, ma a dissipare questa illusione (qualora ancora ne avessimo) arriva la sentenza di ieri sul caso Cucchi che condanna i medici, ma assolve i poliziotti.
Ovviamente non è ancora disponibile la motivazione di sentenza, per cui non sappiamo quale ragionamento abbiano seguito i magistrati, ma siamo molto curiosi di leggere, perché vorremmo sapere attraverso quali arditissimi voli pindarici siano riusciti a bypassare un punto della vicenda: chi ha ridotto Cucchi in quelle condizioni?
Insomma, Cucchi dai medici ci è arrivato con una serie di traumi, poi i medici (che si meritano tutta la condanna che hanno avuto, così la prossima volta imparano a fare da scudo ad altri) hanno pasticciato, cercando più di nascondere il fatto che di curare l’infermo ed il risultato finale è stato questo. Dunque, sicuramente un caso di malasanità, ma non solo questo, perché bisogna capire come e perché Cucchi è arrivato in ospedale.
Leggeremo, ma intanto non possiamo fare a meno di ripassare a memoria una serie di nomi: da Sandri al caso Genova G8 a Pinelli. Raramente, molto raramente – diremmo quasi mai –, la magistratura ha avuto il coraggio di condannare imputati appartenenti alle forze di polizia e, quando lo ha fatto, è stato con guanto di velluto e grande prudenza. Per il caso Sandri, l’agente Spaccarotella è stato riconosciuto colpevole di “omicidio volontario”: 9 anni e 4 mesi (per un omicidio volontario!). Nel caso Aldovrandi, i 4 agenti di Ps sono stati condannati per “eccesso colposo in omicidio colposo” (sic!): 3 anni e 6 mesi (e senza neanche l’interdizione dai pubblici uffici, per cui, finita la pena questi rientrano nei rispettivi corpi, perché nessun ministro dell’interno ha pensato a radiarli con un procedimento disciplinare). Genova per il mattatoio della Diaz: 25 poliziotti colpevoli di reati vari: da 3 a 5 anni.
Insomma poco più che pene da reati bagatellari, quando proprio non c’è l’assoluzione piena. La sensazione è quella di un tacito patto di non aggressione fra due corporazioni, per il quale una ha carta bianca senza alcun limite in cambio dei servigi che rende all’altra.
Il fatto è che il guasto profondo del nostro sistema costituzionale sta proprio in un assetto di poteri che ormai è del tutto degenerato. L’Italia ha la caratteristica di un sistema giudiziario basato sull’autogoverno della magistratura, come garanzia della sua indipendenza dal potere politico, realizzato attraverso un Consiglio Superiore eletto per 2/3 dagli stessi magistrati. Questo ordinamento fu attuato solo nel 1958 ed, occorre riconoscere, che, per qualche tempo, esso è effettivamente servito ad attenuare la pressione della classe politica sulla magistratura, garantendone una certa indipendenza. Che, tuttavia, non si è mai tradotta in un vero limite al potere politico ed all’amministrazione che hanno sempre goduto di un occhio di riguardo. Anzi, sino alla rottura di “Mani pulite”, va detto che la magistratura si è sempre mossa in rotta di collusione con il potere politico. Dopo le cose sono mutate, ma per ragioni ed in modi di cui occorrerebbe discutere a lungo.
Qui ci limitiamo a dire che, nel frattempo, il sistema dell’autogoverno è degenerato ed ha avuto prevalenti effetti di segno negativo: abbiamo assistito alla nascita di una corporazione giudiziaria sempre più chiusa ed autoreferenziale, afflitta da devastanti pratiche nepotistiche, con una produttività sempre più inadeguata ed una giurisprudenza spesso assai discutibile. Per di più, negli ultimi tempi, abbiamo assistito anche a scontri interni che ci hanno confermato un’immagine assai deprimente.
Sin qui la magistratura ha goduto di uno straordinario pregiudizio favorevole, in particolare da parte dell’opinione pubblica di sinistra che, dopo tangentopoli, ha sognato il “giudice buono” che l’avrebbe liberata del Cavaliere, come aveva fatto con la classe politica di pentapartito alla fine della Prima Repubblica. E gli attacchi sgangherati della destra, il cui garantismo peloso nasconde solo una sostanziale pretesa di impunità, hanno confermato nella testa della gente questo pregiudizio per cui occorre difendere la magistratura a tutti i costi e qualsiasi cosa faccia. E’ nato un fastidioso populismo giustizialista che pretende il rispetto delle pronunce giudiziarie sempre e comunque.
Capiamoci: è ovvio che nella normalità dei casi le sentenze vadano rispettate, ma questo non significa sempre e senza distinzioni. Se una sentenza è palesemente ingiusta, fa strame dell’elementare buon senso, si basa su palesi violazioni procedurali e grida vendetta al cospetto di Dio (per usare una espressione che renda l’idea) come si fa a non rivoltarcisi contro?
E, per proseguire, se il magistrato è una bestia che non sa dove sta di casa il diritto (e ce ne sono, ce ne sono…) possiamo sbatterlo fuori? Se un magistrato è un corrotto, possiamo spostarlo dal suo ufficio alla galera? Se un magistrato non decide una causa e la rinvia per 37 volte senza nessun plausibile motivo, possiamo assumere provvedimenti disciplinari adeguati e, se insiste, licenziarlo?
Queste mi sembrano semplici affermazioni di buon senso, ma ormai sembrano eresie impronunciabili, perché si fa una gran confusione. Intanto questa immagine “eroica” della magistratura baluardo della democrazia si basa sull’operato di un ristrettissimo gruppo di magistrati inquirenti, dimenticando che le Procure inerti sono molte di più. In secondo luogo, non si tiene presente che la magistratura inquirente è solo una parte, neppure maggioritaria, della magistratura penale e che lo scandalo vero della nostra giurisdizione sono proprio i collegi giudicanti.
Infine ci scordiamo troppo spesso che il grosso della magistratura non sta nel penale ma nel civile dove il funzionamento è quanto di peggio si possa immaginare: tempi medi superiori agli 8 anni per una sentenza definitiva, la giurisprudenza del lavoro in gran parte favorevole ai datori di lavoro (guarda un po!), sezioni fallimentari che – diciamo così – non profumano di bucato…
Occorre prendere atto che la giustizia è una delle principali emergenze nazionali e non perché processa troppo Berlusconi (semmai lo fa troppo poco, male e più lentamente di quel che sarebbe necessario), ma perché è inefficiente, tardiva, ambigua ed ha perso ogni autorevolezza. D’altro canto, una magistratura che non riesce a condannare neppure i responsabili delle stragi che autorevolezza volete che abbia?
Per tornare a livelli minimamente decenti, almeno sul piano della durata dei processi civili (non dico altro) è necessario superare l’attuale modello costituzionale. Con tutta la gradualità opportuna, è necessario tradurre in pratica quella formuletta di rito: “In nome del popolo italiano”. Se la giustizia deve essere amministrata in nome del popolo, occorre trovare un modo che renda i magistrati responsabili di quello che fanno di fronte al popolo. Le forme possono essere diverse e smettiamola con il solito ritornello per cui se non c’è il Csm eletto in casa dai magistrati, l’alternativa è la subordinazione alla politica. Nel mondo esistono sistemi molto diversi: negli Usa la magistratura è in buona parte elettiva, in Francia c’è un Csm nominato dal Presidente, in Giappone la lista dell’organismo simile al Csm è sottoposta a referendum popolare, in Inghilterra e Spagna il ruolo più delicato è giocato dal Re, in Svezia le funzioni sono divise fra l’omologo della Corte costituzionale e altri organi giudiziari. Per l’Italia penso si potrebbe studiare qualcosa di più adatto alle condizioni ambientali (ad esempio personalmente ho molti dubbi sull’elettività dei magistrati). Insomma, pensiamoci, ma l’attuale condizione di totale irresponsabilità della magistratura è una anomalia italiana che va cancellata.
Fonte
Un bella analisi fondata sul buonsenso che si sa, in Italia non è mai stato di casa.
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