di Liliana Adamo
“Ci sono temi
sui quali la giustizia è nelle mani di pochi coraggiosi, uno di questi
ha pagato con la vita…”. Così Sondra Coggio, giornalista per il Secolo
XIX (redazione di La Spezia), ripercorrendo le linee guida del suo libro
- inchiesta, “Il Golfo dei Veleni” (Cut - up Edizioni), appena
pubblicato. L’incipit introduce una data, il 13 dicembre 1995, giorno in
cui il capitano di corvetta Natale De Grazia, che indagava sulle navi
dei veleni e sui traffici illeciti dei rifiuti nel porto di La Spezia,
si ritrovò a morire per strada, a torso nudo sotto la pioggia, dopo aver
consumato un pasto in un autogrill della Salerno - Reggio Calabria. Per
diciotto anni, si è parlato di “morte naturale” fino alla
desecretazione degli atti che ne attesta, invece, l’omicidio; il libro
si chiude, quindi, con l’auspicio di un proseguimento d’indagini per la
magistratura spezzina.
Nondimeno, è da tutte le istituzioni
cittadine che si attende una risposta, un input d’orgoglio civile,
perché sono tanti i testi (fra tutti, “Trafficanti” di Andrea
Palladino), o le inchieste giornalistiche (L’Espresso) sui tavoli delle
procure di mezza Italia, storie agghiaccianti incentrate sugli
occultamenti o inabissamenti di materiali radioattivi e sempre, la città
di La Spezia, appare coimputata, crocevia indiscusso per queste
attività illegali. Se in trent’anni, le procure disseminate nel belpaese
non sono riuscite a spingersi oltre l’archiviazione per “mancanza di
prove oggettive”, al medesimo risultato potrebbe attenersi anche la
magistratura spezzina, a meno di un ultimo, sferzante exploit probatorio
che, dopo tante reticenze e ingiustizie, possa finalmente riannodare i
fili attraverso una discernibile realtà processuale dei fatti.
E
di fatti nuovi ce ne sono, come spiega la stessa Coggio: per esempio, la
testimonianza (1997) del pentito Schiavone, anche questa desecretata,
le prove inconfutabili che il capitano De Grazia fu avvelenato mentre si
apprestava a raggiungere La Spezia “dove non arriverà mai e dove
avrebbe acquisito l’ultimo tassello (quello definitivo) del suo
puzzle…”. Perché, è certo, che le navi “a perdere”, la Rigel, la Latvia,
la Rosso (ex Jolly Rosso), fatte debitamente “naufragare” o incagliate
lungo le rotte del Mediterraneo, parcheggiarono e mollarono gli ormeggi
nel e dal porto di La Spezia. E sempre a La Spezia c’è chi teneva i fili
tra la supervisione portuale e la criminalità organizzata, chi
assicurava un lasciapassare ai mercantili, spesso in pessimo stato,
raggirando passaggi importanti, verifiche e controllo dei carichi.
Già,
La Spezia: moli appartati, installazioni militari, fabbriche d’armi,
crocevia di servizi segreti deviati e uomini d’affari. Una città
portuale senza spiaggia, ultima chance per alzare il velo di silenzio e
omertà cui, in parte, è complice quella politica che paventa le verità
con omissis, riserbo, decretazioni: il lato più oscuro del nostro paese.
Dopo
quattro anni di nuove indagini, a seguito di un riscontro
fortissimamente voluto da Legambiente (tramite un esposto presentato nel
2009), la magistratura spezzina si ripresenta con un’archiviazione e
“nessuna notizia di reato”. Gli ambientalisti si oppongono, chiedendo al
Gip d’andare avanti ora che ci sono simmetrie e prove concrete:
“Elementi tali da far ritenere che a La Spezia, come in Italia, il
capitolo navi dei veleni connesso al tema dei rifiuti tossici, sia
ancora attuale; tanto in base alle dichiarazioni di collaboratori di
giustizia, quanto alla nuova perizia sulle cause del decesso del
capitano De Grazia, che stabilisce la morte non naturale
dell'investigatore…”.
Il riesame, rinviato al prossimo 22 gennaio, in virtù, appunto, di
una nuova documentazione presentata dalla dr.ssa Valentina Antonini,
legale di Legambiente, si evince “in un quadro indiziario emerso
dall’audizione di fonti testimoniali nell’ambito delle commissioni
parlamentari d’inchiesta…”.
A nulla sono valse le dichiarazioni
di Francesco Fonti (nel 2009), cui è scaturito l’esposto. Il pentito di
'ndrangheta (deceduto nel 2012), parlò di una nave carica di rifiuti
tossici, intenzionalmente “affondata” nel golfo di La Spezia, a
quattrocento miglia dalla costa, con il placet della criminalità
organizzata i cui target di scarico/rifiuti erano, secondo Fonti, anche
paesi africani come Kenya, Somalia, Zaire, oltre ai fondali dei nostri
mari: una deposizione reboante quanto inattendibile, secondo la
magistratura.
Tutto questo mentre la procura di Nocera Inferiore,
riapriva le indagini sulla strana dipartita del trentanovenne capitano
Natale De Grazia, ravvisando elementi utili nel formulare l’ipotesi
d’omicidio per avvelenamento, poiché, come scrisse Antonino Greco, capo
del nucleo operativo provinciale dei Carabinieri a Reggio Calabria: “Si
attivarono forze occulte di non facile identificazione” a seguire i
movimenti dell’investigatore in procinto di chiudere le sue indagini. A
De Grazia, infatti, mancavano i dati inerenti 180 imbarcazioni
affondate, e fu eliminato durante il viaggio in macchina verso La Spezia,
nel cui porto era stata ormeggiata, nel frattempo, l’ennesima carretta
del mare, la Latvia.
Si presume che la morte del capitano e la
presenza della Latvia siano due elementi irrimediabilmente connessi;
tant’è che due giorni dopo la nave prese il largo con il suo carico
misterioso. C’è voluto un intervallo lunghissimo per smentire la “verità
ufficiale” di un “attacco di cuore improvviso”, accertare, invece, che
De Grazia morì per “cause tossiche”, avvalorando la tesi dell’intrigo
internazionale, a riprova di quanto sostiene anche la relazione
conclusiva della Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti.
Uno
scenario accuratamente ricostruito nei “Trafficanti” di Andrea
Palladino, un testo che, se non fosse tragicamente autentico, si
potrebbe definire come la trama di una narrazione noir: nella notte del
10 settembre 1983, sul confine di Ventimiglia, un trasporto speciale
pervenuto da Seveso, con quarantuno bidoni di diossina, passa di mano in
mano, da un senatore italiano a un trafficante marsigliese, ex
paracadutista. S’intraprende così una caccia in tutta Europa: dov’è
finito il carico mortale, zeppo di scorie dell’Icmesa? E’ da quel giallo
internazionale che ha origine il traffico dei rifiuti.
Dalle navi dei veleni e dal porto di La Spezia si arrivò a eliminare
un investigatore integerrimo e scomodo come Natale De Grazia,
all’esecuzione della giornalista del TG1, Ilaria Alpi e del suo
operatore, Miran Hrovatin, in Somalia (dietro il duplice omicidio,
transazioni d’armi e rifiuti tossici), fino al veneficio sistematico
della Terra dei Fuochi nel Casertano, dove, come afferma Schiavone,
“moriranno di cancro, nel giro di vent’anni…”.
Il sottobosco dei
“trafficanti” è nel cosiddetto “mondo degli affari”, con persone prive
di scrupoli che eludono le leggi vigenti sullo smaltimento,
economizzando con la “sparizione”, l’inabissamento o l’interramento. Al
loro servizio si offrono “professionisti” e “consulenti” come l’ingegner
Giorgio Comerio, esperto di mine marine, che aveva progettato un
vettore capace d’affondare nelle acque del Mediterraneo le scorie
radioattive. O insospettabili manager al servizio di una società
finanziaria svizzera che recapitavano alle aziende chimiche europee vere
e proprie “circolari”, annunciando la possibilità di far sparire i
rifiuti tossici nei paesi africani.
Tutti s’incontravano, si
scambiavano “favori”, intrecciando legami con la malavita, dividendosi i
mercati e le contabilità “in nero” delle tangenti. Un sistema molto ben
congegnato, una geografia complessa che l’autore traccia anche
attraverso fonti e rivelazioni inedite di “collaboratori” che tutt’oggi
vivono sotto copertura.
Quando Palladino scrive che “la discarica
Pitelli e La Spezia sono il simbolo vivo dell’Italia dei veleni”,
ricordiamoci che per vent’anni, dai settanta ai novanta,
nell’immondezzaio spezzino, un sito, tra l’altro, definito d’alto valore
paesaggistico, sono finiti rifiuti nocivi al massimo grado (scorie
nucleari, diossina di Seveso, scarti tossici sbarcati dalle prime navi
dei veleni), mentre il processo per “disastro ambientale” terminato nel
2011, ha visto assolti tutti gli imputati per “inconsistenza dei fatti”.
A
La Spezia, in quel “golfo dei poeti” tra Liguria e Toscana che
Napoleone definì “il più bello del mondo”, dove soggiornò D.H. Lawrence
decantandone le meraviglie e Richard Wagner ne fu tal punto ispirato che
vi compose il preludio all’Oro del Reno, il crocevia internazionale dei
veleni si inaugurò nel 1997. Il primo mercantile fu Lorna I, svanito
nel nulla nel Mar Nero assieme al suo equipaggio, come pure
dall’inchiesta sul traffico d’armi intrapresa alla procura di Trento dal
giudice Carlo Palermo.
Seguì la motonave Nikos I, partita alla volta di Lomè in Togo, mai
arrivata a destinazione, sparita in circostanze nebulose. Toccò poi alla
Panayota, partita da La Spezia il 2 febbraio 1986, affondata l’11 marzo
nei pressi dell’isola di Pianosa, dove testimonianze dell’epoca
(raccolte da Legambiente), riferirono di un non meglio identificato
“fango nauseabondo con vaste zone schiumose in evidente stato di
putrefazione…”.
Al largo di Capo Spartivento scomparvero la Rigel
e il suo carico ritenuto “sospetto” dalla procura di Reggio Calabria.
Nel 1989, la Jolly Rosso, fu inviata in Libano dal governo italiano per
il recupero di 2mila tonnellate in rifiuti tossici scaricati in
precedenza da una società lombarda. Il mercantile, rinominato Rosso,
prese il largo dal porto di La Spezia il 4 dicembre 1990 per incagliarsi
a ridosso di Amantea, piccolo comune sulla costa calabra.
Ufficialmente, il carico trasportava innocui generi di consumo, ma erano
note agli inquirenti le attività illecite intorno al suo andirivieni;
anche l’ultima delle tre inchieste (2009), sul caso Amantea, si è chiusa
con un nulla di fatto.
Fonte
Bell'articolo, però cari giornalisti (anche "contro") finitela di chiamarli "servizi segreti deviati" e smettete di descrivere queste congreghe di disgraziati come anomalie del sistema perché non lo sono, si tratta invece delle avanguardie più spinte dell'accumulazione capitalistica, quelle per cui il profitto è l'unico comandamento, a scapito di ogni altra considerazione, ambiente e salute inclusi.
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