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18/03/2016

Vogliono fare un deserto e chiamarlo Roma

Roma non si vende. Con questo slogan sabato pomeriggio è probabile che migliaia di persone scendano in piazza a Roma contro i diktat contenuti nel DUP (Documento Unico di Programmazione) varato dal commissario/prefetto Tronca. Scorrendo le circa 800 pagine del documento che ha aggregato e dato attuazione alle delibere messe insieme nei due anni di Giunta Marino, dietro il linguaggio tecnico-burocratico simile in tutto a quello dei tecnocrati di Bruxelles, viene rivelata una visione della città e della sua vita sociale, dei capitoli di spesa e dell’approccio con cui si intende dare soluzione ai serissimi problemi di bilancio, investimenti e priorità su Roma.

Tra i primi cardini dell’attuazione del DUP abbiamo visto la privatizzazione di alcuni asili nido, gli sfratti per gli inquilini delle case popolari o comunali, la richiesta di cifre esose ed impossibili per centinaia di associazioni culturali, sportive, sindacali o per centri sociali sorti in edifici o luoghi abbandonati e poi occupati e riutilizzati da anni. Mentre si annunciano le privatizzazioni delle aziende municipalizzate nei trasporti, nei rifiuti e nei servizi, l’elenco dei posti che il Comune commissariato intende recuperare per fare cassa – ponendo fine a canoni sociali lì dove c’erano, aumentando gli affitti e chiedendo arretrati “a prezzi di mercato” per gli anni addietro – è impressionante. Municipio per municipio è visibile tutta la rete di associazioni o spazi sociali che per decenni hanno reso più vivibile la città e soprattutto i quartieri disagiati. Facendo una simulazione e immaginando i quartieri senza più quegli spiragli di vita e attività socio-culturale se ne ricava una immagine di vera e propria desertificazione in una città che ha già visto migliaia di esercizi commerciali abbassare le serrande, crollare le condizioni di vita (è sufficiente farsi un giro nei centri per l’impiego, agli sportelli dell’Inps, nei Caf o nei patronati per verificarlo), aumentare gli edifici e gli spazi rimasti vuoti, inutilizzati, abbandonati al degrado.

Il commissario Tronca e i dirigenti comunali messi sotto pressione o minacciati dalla Corte dei Conti per danno erariale, qualora non procedano a recuperare locali del Comune da mettere in vendita o in affitto a prezzi di mercato (spesso sopravalutati oltre ogni decenza), non sono stati nominati per avere una visione della città che tenga conto della sua vita sociale ma solo per fare cassa. Grigiume tecnocratico e burocratico portato agli estremi livelli. Zero mediazioni e zero empatia verso ogni istanza sociale, con una rimozione della politica come strumento ormai inservibile per fare sintesi tra interessi diversi e neutralizzata nel senso comune della gente dal verminaio emerso con Mafia Capitale. Ma con parecchi convitati di pietra. Infatti mentre i “politici” sono stati messi alla gogna e marginalizzati, i dirigenti comunali sono ancora tutti lì, a far quadrare i conti che hanno contribuito a far saltare ed a sperare nella “catarsi” qualora svolgano bene il loro compito di azzeramento e di recupero crediti. Ma anche il vecchio Mondo di Sopra fatto di palazzinari e faccendieri cova qualche preoccupazione. Facendo saltare con Mafia Capitale il Mondo di Mezzo fatto di galoppini e spezzapollici, di fascisti e consiglieri comunali corrotti, di funzionari fin troppo bendisposti e manager del terzo settore, la vecchia classe dominante della Capitale si è scoperta fragile e vulnerabile verso i nuovi poteri forti: quelli che con le banche e i fondi di investimento sono assai più integrati di quanto lo fossero i palazzinari indebitati con le stesse, quelli che coincidono più con multinazionali straniere (francesi, cinesi, arabe, russe, statunitensi) che con le vecchie dinastie di costruttori, quelli che hanno tanta, tantissima liquidità da investire perché i ripetuti quantitative easing fatti dalle banche centrali statunitense ed europea hanno messo a disposizione delle banche risorse finanziarie a costi irrisori.

Alla fine della “cura Tronca”, dovrebbe arrivare con le elezioni di giugno una nuova giunta comunale. Nessuna invidia verso coloro che questa volta vinceranno nelle urne, perché o accetteranno di infilarsi dentro la camicia di forza approntata con il DUP e il pareggio di bilancio, oppure dovranno avere tantissimo coraggio da vendere per mettersi di traverso e far saltare il tavolo rischiando le sanzioni e le ritorsioni del governo e di Bruxelles. Ma quello che spaventa veramente e che vale la pena di far saltare è anche la visione di città con cui stiamo facendo i conti. Il processo – e forse il progetto non ancora confessato – di distruzione di Roma come Capitale è in corso da tempo. La desertificazione sociale e culturale ne è solo un aspetto, forse non quello centrale ma sicuramente quello che più altri intende spegnere le luci nella e sulla città di Roma. Cercare di impedirlo non è un problema solo degli attivisti delle reti sociali o degli spazi occupati. Sabato 19 marzo ci si vede in piazza, perché almeno Roma non venga spenta e venduta.

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