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06/10/2017

Incontro Salman-Putin, geo-diplomazia strategica

Con enfasi la stampa saudita lancia notizie e immagini dell’incontro tenutosi a Mosca fra un’ampia delegazione guidata da re Salman e lo staff del presidente russo Putin, presenti i rispettivi ministri degli Esteri Al-Jubeir e Lavrov. Il tutto per “cementare” le relazioni fra i due Paesi, che in realtà in questi anni attorno a questioni mediorientali come la guerra civile siriana sono stato tutt’altro che benevoli. Eppure la linea della modernità del binomio Salman-Salman bin (sovrano ed erede al trono) segue logiche rinnovate rispetto alla statica tradizione della petromonarchia, o almeno così mostra riguardo a tattiche d’alleanza strategica. Ne segue questo discorso a tutto campo con Putin, che proprio in Medio Oriente sta giocando le sue carte geopolitiche più azzeccate. Dagli accordi scaturisce un piano d’investimenti militari da un miliardo di dollari, una briciola rispetto ai 110 miliardi concordati con Trump in occasione della famosa “danza delle spade” del maggio scorso. Eppure l’apertura alla Russia ha un gran peso. Sia perché segue altri patti coi russi, relativi a piattaforme missilistiche da collocare nella penisola arabica, ma soprattutto per il valore politico che si trascina dietro. Gli accordi prevedono anche sostegni economici e tecnologici per trasporti, telecomunicazioni, tecnologia energetica e agricoltura.

E ancora prossime sinergie che coinvolgono le aziende d’eccellenza delle due nazioni: Sibur e Saudi Aramco e vanno dalla progettazione di espansione del settore petrochimico all’incremento dell’industrializzazione di aree arretrate della penisola arabica, con lo sguardo sicuramente rivolto agli alleati più stretti dei Saud. Poiché le petromonarchie sono, in gran parte, partner economici e geostrategici statunitensi, la mossa dei Salman fa scalpore e mostra come in questi anni la dirigenza russa riesce a tessere tele diplomatiche a lei decisamente redditizie. Ovviamente nella partita delle firme rientrano le armi, consistente nella fornitura di missili difensivi S400, una delle piattaforme missilistiche più avanzate presenti sul prolifico mercato bellico internazionale. E’ una tecnologia che i ricercatori russi hanno messo a punto dal 2007 e che continua a migliorare, basata su missili balistici a lungo-medio e corto raggio (dai 400 ai 40km per neutralizzare attacchi aerei). In un’ottica di potenziamento del proprio arsenale, l’acquisizione di questi prototipi non può che accrescere la capacità militare di Ryad. Coordinare e far coesistere la presenza di “consiglieri” russi con quelli statunitensi di stanza nella penisola arabica e nelle basi Nato si presenta come tappa diplomatica ulteriormente complessa per i Saud.

Per tacere delle alleanze e dei veti incrociati, che avranno ripercussioni a Teheran e Ankara. Certo, tutto può rientrare in quella che appare chiaramente come una nuova fase di “armamento dissuasivo” a livello globale che, se non raggiunge i toni della passata Guerra Fredda, cerca di emularli con condizionamenti di vario genere. Seppure differenze rispetto a un tempo traspaiono da alleanze duttili e flessibili che, in taluni scenari ma solo in quelli, superano l’appartenenza a blocchi precostituiti. Dal punto di vista della politica strategico-militare il blocco fortificato ed espanso è quello Nato, con l’ampliamento verso est del territorio di controllo e di creazione di nuove basi sin dal 2006-07. Nelle aree di crisi mediorientale i focolai sono accesi e contesi e la quadratura di accordi come questo firmato al Cremlino dovrà fare i conti con interessi contrapposti. Parlando di sicurezza i Salman si sono pronunciati a favore della conservazione dell’unità della Siria, sostenuta da Putin, e sulla sorte di Asad si è addirittura sorvolato. Ma hanno pesantemente accusato l’Iran di lavorare per lo squilibrio dell’area (il riferimento allo Yemen è stato diretto) e non è detto che non si troveranno ad appoggiare la mossa trumpiana di smembramento dell’accordo sul nucleare siglato da Obama. Se così dovesse essere le qualità sportive della diplomazia di Putin dovranno dar fondo a chissà quali salti-giro poiché né Khamenei e neppure Rohani si dicono disposti a far marcia indietro.

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