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07/01/2019

Allo stadio soltanto se accompagnate dagli uomini? Vallo a spiegare alle donne del Kerala!

La finale di Supercoppa italiana tra Juventus e Milan si giocherà in Arabia Saudita. Mercoledì 16, per l’esattezza. Al King Abdullah Sports City Stadium di Gedda. Già venduti molti dei biglietti a disposizione: sia quelli della tribuna riservata ai soli uomini, sia quelli delle aree “miste” alle quali le donne possono accedere solo se accompagnate da un uomo. Perchè in Arabia Saudita funziona così. Le donne non possono andare dove vogliono.

“Fermate questa vergogna!”, tuona la politica in modo assolutamente bipartisan: dalla Meloni alla Boldrini, passando per Salvini. Perché oggettivamente fa schifo, è discriminazione allo stato puro, sessismo medioevale. Che in Arabia Saudita però alle donne fossero preclusi molti diritti era noto. Lo era anche prima di quando, mesi fa, la Lega Calcio ha firmato un accordo milionario per disputare una serie di eventi proprio in Arabia Saudita.

Chi guarda con un minimo di sguardo critico e consapevolezza a quello che avviene nel mondo, questa ipocrisia non lo stupisce: i sauditi sono tra i più importanti partner commerciali dell’Italia in Medio Oriente. Lo sono nonostante la scarsa considerazione dei diritti umani, delle donne, nonostante la guerra in Yemen e la morte di migliaia di civili (tra cui molti bambini), nonostante il finanziamento al jihadismo, nonostante l’attiva partecipazione alla destabilizzazione della Siria. Sono tanti i “peccatucci veniali” perdonati all’Arabia Saudita in nome dei buoni affari e delle possibilità commerciali. Figuriamoci cosa conta, dinanzi a tutto questo, il divieto per le donne di assistere ad una partita di calcio se non accompagnate da un uomo.

E cosa c’entra il Kerala? C’entra, perché proprio in questi giorni è teatro di una importante battaglia di uguaglianza e di tutela dei diritti fondamentali.

Il Kerala è uno stato dell’India meridionale. In Italia è noto per essere il luogo dove iniziò la vicenda dei due marò. Attualmente è governato dal Partito Comunista d’India, che si trova a gestire la protesta di milioni di donne che vogliono che sia abolito il divieto di andare a pregare in un tempio. Si, perché per le donne in età mestruale non è possibile entrare nel tempio di Sabarimala, uno dei luoghi più sacri per gli induisti. Anzi, non era possibile fino a quando la Corte Suprema non ha deciso di eliminare quel divieto così discriminatorio. L’ala più oltranzista della comunità indù ha reagito violentemente, provando ad impedire l’ingresso delle donne nel tempio. C’è voluto l’intervento della polizia per permettere a due donne, all’inizio dell’anno, di entrare nel luogo sacro. Ma forse più della forza pubblica, a dare una spallata decisiva all’oltranzismo teocratico e sessista degli estremisti indù è stata la gigantesca manifestazione di milioni di donne che hanno formato una catena umana lunga oltre seicento chilometri: mano nella mano per prendersi un diritto che nel 2019 dovrebbe essere scontato, ma che non lo è.

Milioni di donne in piazza nonostante la violenza di chi si oppone ai diritti e all’uguaglianza. Una società che cerca di liberarsi da catene anacronistiche e ingiuste.

E mentre in un luogo del mondo si lotta per essere uguali, in un altro – in nome del profitto – si accetta che un diritto tra i più inviolabili, quello dell’uguaglianza di genere, venga calpestato. Perché nonostante l’indignazione a scoppio ritardato, la partita si farà, statene certi.

Però, almeno per decenza, non ditelo alle donne del Kerala. Potrebbero prenderla male.

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