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07/01/2019

Al dio sconosciuto. Il fuoco e i migranti perduti

Oggi farò una rivoluzione da solo. Benvenuti coloro che mi seguiranno. Mi immolerò nel fuoco. Se qualcuno troverà lavoro allora il mio gesto non sarà stato inutile. Da otto anni ci hanno fatto promesse menzognere. Io non appartengo a nessun partito politico. Voi dimenticate i senza lavoro e assumete chi già possiede il necessario. Qui c’è gente che non ha nulla. Nel Paese ci sono regioni relegate ai margini. C’è gente che vive ma che in realtà è già morta. Perché dovrei attendere fino a gennaio, febbraio oppure fino a marzo?

Smettiamola per una buona volta. Fossimo seri non ci sarebbe proprio nulla da festeggiare di questi tempi e non è certo andasse meglio in quelli trascorsi. Festeggiare un anno che passa o un Natale che viene senza di noi non ha senso. Meglio scendere alla prima fermata del treno che non va da nessuna parte. All’insaputa dei potenti e dei distratti l’unico anniversario che dovremmo festeggiare è già passato e pochi se ne sono accorti. Poi, senza preavviso, accade quello che non dovrebbe mai succedere in questo mondo.

Il testamento che il giornalista tunisino Abderrazak Zorgui ha lasciato scritto prima di immolarsi nel fuoco lo ricorda. Le parole sopra riportate ne sono un estratto.

Il senso del nome del giornalista, Abderrazak, significa ‘servitore di Colui che provvede’ e il suo ultimo scritto è un grido buttato nel fuoco a Kasserine in Tunisia. L’ultima rivolta nello stesso Paese era nata in circostanze simili. Le rivoluzioni tradite si trasformano presto in cimiteri di cenere e sabbia. In quest’ultima si pensa che i morti negli anni passati siano stati senza numero. Il progetto ‘Missing Migrants’ (Migranti Perduti) attesta la morte nel continente africano, nei vari transiti e frontiere, di 6 mila 615 migranti. Per l’anno scorso, nel nostro continente, si sono contati mille 386 decessi e questo fa dell’Africa il continente più mortale per i migranti. Immolati alla sabbia, ai sassi, alle malattie e soprattutto alle politiche.

Finiamola se ancora siamo in tempo. Fossimo in ascolto della sofferenza del mondo avremmo da tempo cambiato il tipo di festa. I morti nel mare dell’anno appena trascorso sono stati stimati ad almeno 2 mila e 260. Questo assicura al Mediterraneo il triste primato di essere il mare più mortale del mondo. Più morti dell’anno precedente malgrado ci siano state meno traversate del mare. Conseguenza delle scelte politiche dell’Europa dove si pagano gli aguzzini perché in Libia facciano bene il lavoro a loro richiesto. Arrestare, detenere, vendere, torturare e infine buttare a mare prima che sia troppo tardi. Non lo si voleva sapere perchè solo si vede ciò che importa vedere. Esattamente come i campi di concentramento nazisti o la ‘soluzione finale’ degli ebrei col genocidio annunciato. Chi sapeva non parlava.

Come per non lasciare dubbi in proposito, ancora l’Europa, ha stanziato qualcosa come 41,7 milioni di euro allo stato del Niger a fine dicembre 2018. Il tema del controllo migratorio e della sicurezza alle frontiere è al cuore delle prerogative europee. Gli altri interessi sono subalterni al principale citato. Consolidare lo Stato, riforme, politiche dell’educazione e la sicurezza alimentare completano il panorama dei progetti da finanziare in fretta. Detto versamento completa quanto già effettuato a suo tempo che porta ad un totale di 92, 7 i milioni di euro sbloccati. Ormai più nessuno oserebbe negare che le migrazioni siano il business più redditizio del Paese in questione.

La vera festa, superstite del naufragio, comincerà il giorno nel quale si apriranno gli occhi dei ciechi, le orecchie dei sordi e il Dio che provvede troverà dei bambini con cui giocare.

Niamey, gennaio 2019

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