Ieri si sono conclusi gli Stati Generali della Natalità a Roma, a cui hanno partecipato sia Giorgia Meloni sia Papa Francesco. Seppur su questioni di altro tipo, come la guerra in Ucraina, hanno evidentemente posizioni assai distanti, la famiglia rimane un cardine della visione ideologica e sociale da entrambi espressa.
La Presidente del Consiglio ha affermato che “le donne non sono libere se devono scegliere tra figli e lavoro” e che l’obiettivo del governo è quello di creare condizioni favorevoli a metter su famiglia attraverso un approccio sussidiario. Sembra quasi che la politica degli incentivi su cui campano tante aziende del paese voglia essere usata per stimolare la natalità.
Ma come in tanti altri settori, le ricette accennate dall’esecutivo servono solo a mostrare attivismo sui temi, senza però andare a colpire i nodi dirimenti che possono davvero cambiare la situazione attuale. Su questo abbiamo già scritto qualche settimana fa, con una disamina chiara della propaganda del governo che nasconde i problemi legati a occupazione, salari e servizi.
Il Papa, come al solito, si è mostrato molto più schietto e più lucido, dicendo che “le giovani generazioni sperimentano più di tutti una sensazione di precarietà. Difficoltà a trovare un lavoro stabile, difficoltà a mantenerlo, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti sono problemi reali che interpellano la politica”.
Mentre in tutta Italia si moltiplicano le tendate studentesche contro il caro-affitti siamo piuttosto certi che le parole scelte dal Pontefice non siano affatto casuali. Anch’egli, comunque, ha ribadito che da tutta questa situazione “le più danneggiate sono le giovani donne spesso costrette al bivio tra carriera e maternità”.
Più che un bivio però sembra quasi una scelta obbligata, a giudicare dai dati dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP). Dopo il parto una donna su cinque tra i 18 e i 49 anni smette di lavorare e meno della metà rimane occupata in un qualche modo; meno di un terzo al Sud e nelle Isole.
Il motivo principale è la difficoltà nel conciliare il lavoro comunemente inteso con il lavoro di cura, non retribuito e a malapena riconosciuto. Ciò riguarda il 52% delle madri, ma un altro 29% subisce semplicemente il mancato rinnovo del contratto o direttamente il licenziamento.
Un’indagine della multinazionale di consulenza IPSOS ha evidenziato come già il 32% delle lavoratrici si trovi in un rapporto part-time, ma se si ha anche un figlio minore, la percentuale sale al 37%. Per il 15% di loro si tratta di un part-time involontario, quando avrebbero bisogno di un impiego a tempo pieno.
Da questo studio emerge pure che sei mamme su dieci – di quelle intervistate – non hanno accesso agli asili nido, e in più di un caso su quattro ciò deriva da carenze del servizio pubblico. La metà del campione dell’indagine dichiara di non volere altri figli, per varie motivazioni, tra cui importanti sono proprio quelle legate alle difficoltà lavorative e al venir meno dello stato sociale.
Le ripercussioni sul mercato del lavoro femminile e sull’opportunità di avere figli diventano macroscopiche. Il tasso di donne occupate è 13 punti sotto la media UE e col record negativo di nascite del 2022 siamo ormai fanalino di coda anche per quanto riguarda il tasso di fecondità, dato che in tante devono comunque lavorare per poter campare.
L’organizzazione del lavoro e della vita di tutti i giorni penalizza la donna madre, e la carenza di servizi sociali rende letteralmente impossibile pensare di diventare genitore. Tirando le somme, possiamo quasi dire che non esiste l’alternativa tra il lavoro e un figlio, perché per come funziona l’Italia oggi, è un’impresa avere sia l’uno sia l’altro.
Andando avanti a suon di propaganda non ci sarà il rilancio delle ‘italiche genti’ come vorrebbe il governo. Finché non ci si metterà in testa che serve aumentare e ben indirizzare le spese sociali per i bisogni della collettività e costringere le aziende a pagare salari dignitosi, la situazione non potrà che peggiorare.
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