Con l’attenzione giustamente concentrata sul “tritacarne Bakhmut”, sulle slinguate vespiane al nazi-capo ucraino a Roma, sulla declamata e rinviata di settimana in settimana “controffensiva ucraina”... insomma, con gli occhi puntati sulla guerra guerreggiata, cade un po’ fuori dal raggio visivo la preparazione di altri fronti su cui USA e NATO pianificano di impegnare la Russia, data ormai per inevitabile la fine ingloriosa della cricca nazi-golpista di Kiev.
E di potenziali e programmati fronti, anche limitandosi al quadrante europeo, ce ne sono. Oramai da tempo si scrive delle ambizioni polacche di diventare il “centro di gravità” europeo e della conseguente corsa – oltre che a farsi hub gasiero nel Baltico per il GNL americano – ad attrezzarsi sul piano militare.
Si sono altre volte riportate le dichiarazioni del Ministro della guerra Mariusz Blaszczak sui piani di riarmo di Varsavia, con l’ambizione a divenire presto il più potente esercito di terra in Europa, con 300.000 uomini sotto le armi.
Di più, oltre a puntare freneticamente all’acquisto di missili, carri armati, elicotteri d’attacco da USA, Corea del Sud, Gran Bretagna, Varsavia parla ora della futura realizzazione di un centro di produzione e manutenzione per missili HIMARS e carri “Abrams”, che soddisfi le necessità anche di altri paesi europei.
Il governo sanfedista sogna anche di un centro polacco per la produzione di proiettili all’uranio impoverito con cui armare gli “Abrams”. Si parla poi dell’acquisto di missili aria-terra yankee “JASSM-XR”, in grado di colpire obiettivi a 1,6 km di distanza; di missili aria-terra “Hellfire” per gli elicotteri polacchi “AW149”. Si acquistano sistemi americani “Patriot” e britannici “SAMM”. Per l’anno prossimo e fino al 2030 è previsto l’inizio delle forniture alla Polonia di caccia-bombardieri F-35 “Lightning II Block 4”.
Tutto questo, senza dimenticare che la Polonia è praticamente il principale punto di passaggio per le forniture di armi alla junta di Kiev: Wirtualna Polska scrive che, a tutto febbraio 2023, Varsavia aveva trasmesso armi a Kiev per 2,2 miliardi di euro.
In soldoni, Varsavia stessa non nasconde di prepararsi a uno scontro armato con la Russia, anche se la cosa viene presentata come se Mosca, dopo la questione ucraina, punterà alla Polonia: ovviamente, per continuare a ricevere fondi UE necessari per portare il bilancio della “difesa” al 4% del PIL, non si può dire diversamente.
Ma a Ovest si mette a punto, come suol dirsi, anche un “piano b”: oltre l’armamento polacco, USA e NATO si danno da fare per rifornire sempre più anche quelli che Igor’ Veremeev, su Stoletie.ru, definisce con cognizione “i nani” baltici, per preparare anche un terzo fronte contro Mosca.
Del resto, quanto a fedeltà agli “ideali” di croci uncinate e denti di lupo, Estonia, Lituania e Lettonia non sono poi così da meno dell’Ucraina majdanista. E se Kiev può “vantare le gesta” dei terroristi di OUN-UPA, i baltici onorano i “fratelli dei boschi”, che non furono da meno, addirittura fino agli anni ’50 inoltrati, nel terrorismo anti-sovietico.
Se a Kiev si inscenano fiaccolate notturne (alla maniera hitleriana) in “onore” di Stepan Bandera, a Riga, Vilnius, Tallin, si sfila in uniformi della Wehrmacht e delle SS, con tanto di imprimatur governativo.
Da una parte e dall’altra, si mette in prigione (quando va bene) chiunque osi fare «propaganda dell’ideologia comunista». Tanto basta per il “democratico” viatico euro-atlantico.
Così, il Ministero della guerra lituano ha reso pubblici i piani per l’acquisto di munizionamento nel prossimo decennio, per oltre 3 miliardi di euro, motivandolo con «la lezione appresa dall’invasione russa dell’Ucraina».
Il tema è citato dal portale americano Defence News, insieme al progetto di Vilnius per l’acquisto di 120 trasporti truppe “Boxer”, all’interno di un pacchetto che dovrebbe raddoppiare il parco di veicoli corazzati dell’esercito lituano.
Defense News cita il Ministro della guerra lituano, Arvydas Anusauskas, secondo il quale l’ampliamento dell’arsenale militare è una delle priorità chiave per i prossimi anni, con l’acquisto del sistema di difesa aerea a medio raggio NASAMS, del complesso HIMARS, veicoli da combattimento “Vilkas”, oltre a “JLTV”, “PzH2000” e “Ceasar”, obici, droni tattici e altri mezzi.
Nel 2016, Vilnius aveva contrattato col consorzio tedesco-olandese Artec (Krauss-Maffei Wegmann, Rheinmetall Landsysteme e Rheinmetall Defense Nederland BV), la fornitura di 88 veicoli “Boxer” (variante “Vilkas”), al costo di 386 milioni di euro.
Vilnius ha anche concordato con la Germania il dispiegamento di una brigata della Bundeswehr sul proprio territorio, che va ad aggiungersi ai 1.600 militari NATO di Belgio, Rep. Ceca, Lussemburgo, Olanda, Norvegia, stanziati ormai da anni, nel quadro dei cosiddetti “battaglioni multinazionali” NATO, cui partecipa anche l’Italia.
Si sta procedendo all’ampliamento delle basi di Rukla e Pabrada, ove dislocare quattromila uomini e altri duemilacinquecento a Šiauliai. Secondo il consigliere per la sicurezza nazionale Kestutis Budrys, entro il 2027 la Lituania sarà pronta per il dispiegamento permanente di brigate NATO.
Si arma anche l’altro “nano”, la Lettonia, che quest’anno prevede di spendere poco meno di un miliardo di euro (circa il 2,25% del PIL) e il cui governo la settimana scorsa ha votato l’acquisto di missili anti-nave “Naval Strike Missile” (NSM), dopo che il Dipartimento di Stato aveva approvato una vendita di armi all’estero per circa 110 milioni di dollari.
Il sistema di superficie NSM, sviluppato dall’americana Raytheon e dalla norvegese Kongsberg, ha una portata di circa 115 miglia e i missili dovrebbero essere consegnati a Riga dopo il 2025. Oltre ai NSM, in programma l’acquisto anche di sei sistemi “M142” (HIMARS).
Anche l’Estonia ha firmato un contratto per l’acquisto di HIMARS. Già lo scorso dicembre, l’allora ambasciatore russo a Tallin, Vladimir Lipaev, aveva parlato di piani occidentali per la fornitura all’Estonia «dei più moderni tipi di armi convenzionali, in grado di tenere sotto mira Sankt-Peterburg; si sta mettendo a punto un sistema di difesa antimissilistica a medio raggio».
Insomma, scrive l’estone ERR, la NATO intende espandere la propria presenza militare nei paesi baltici sullo sfondo del conflitto ucraino. «È necessario disporre di una potente forza militare, prima che si apra una finestra di opportunità per il nemico» sostiene il maggiore generale estone Veiko-Vello Palm; e «questo è ora un cambiamento fondamentale nei cosiddetti nuovi piani della NATO».
Ma le maggiori speranze USA e NATO sono oggi riposte nella Finlandia: se i negoziati per l’Accordo di cooperazione alla difesa (DCA) andranno in porto, scrive Defence News, truppe yankee potrebbero avere accesso a una serie di basi militari vicine ai confini con la Russia.
E da parte sua, Helsinki Sanomat scrive che l’Accordo potrebbe consentire maggiori investimenti nelle infrastrutture militari del paese, a partire dall’acquisto di nuovi F-35. Già lo scorso anno, Helsinki aveva perfezionato un ordine per 64 F-35, in sostituzione degli F-18 “Hornet”: le consegne sono previste a partire dal 2026.
In generale, non si deve dimenticare che i famigerati contingenti multinazionali, stanziati ormai da almeno otto anni in Polonia e nei Paesi baltici e che in precedenza seguivano il principio della rotazione ogni tre mesi, ora stazionano in Estonia, Lettonia e Lituania su base permanente.
Il contingente della cosiddetta ‘Forza di reazione rapida’ della NATO, che dieci anni fa contava quattromila uomini, oggi è passato a quarantamila e, in base alle decisioni del vertice di Madrid, entro dieci anni in Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania si arriverà a 140-150.000 e, in futuro, fino a 200-250.000.
Per quanti lutti possano ancora provocare in Donbass i missili britannici “Storm Shadow”, come accaduto anche ieri a Lugansk e alla periferia di Donetsk; per quanto il miserevole consigliere “presidenziale” in camicia nera, Mikhail Podoljak, possa pubblicamente minacciare l’Europa di ondate di terrorismo «non appena si interromperanno le forniture di armi» a Kiev; a dispetto delle “scommesse” dei fascisti di governo «sulla vittoria ucraina», là dove non ci si limita a dar aria alla bocca, si dà per persa la partita majdanista a Kiev e ci si affretta a mettere a punto i piani per nuovi fronti anti-russi.
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