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20/01/2015

Juncker e Lagarde minacciano i greci. I comunisti: “mai con Syriza, fuori dall'Ue”


Mancano pochi giorni al voto che sta tenendo tutta l’Unione Europea col fiato sospeso su opposti fronti. E, come era avvenuto in occasione dello scioglimento del parlamento di Atene dopo il flop del governo sull’elezione del presidente della Repubblica, ieri due pezzi da novanta dell’establishment continentale sono di nuovo intervenuti per bacchettare la Grecia all’insegna del refrain: chiunque governi dovrà rispettare le regole o ne subirà le conseguenze.

Dopo la fuga di capitali dalle banche elleniche delle ultime settimane, conseguenza del panico di alcuni cittadini ma anche strumento di formidabile intimidazione da parte dei mercati finanziari continentali, ieri è toccato a Jean-Claude Junc­ker e a Chri­stine Lagarde intervenire nella campagna elettorale greca.

Il presidente della Commissione Europea lo ha fatto ricordando che «Il governo che uscirà dalle urne dovrà rispet­tare gli impe­gni assunti coi part­ner e pro­se­guire nelle riforme e nella respon­sa­bi­lità finan­zia­ria». E poi, ancora: "L'Europa sosterrà la Grecia. Ma l'Europa attende dalla Grecia che rispetti gli impegni assunti coi partner". Insomma, anche ammesso che vinca, Syriza dovrà continuare a gestire l’austerity e a pagare il debito perché “un contratto è un contratto e va rispettato”.

Da parte sua la leader del Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale, approfittando di un’intervista concessa al quotidiano Irish Times – anche in Irlanda i sondaggi danno lo Sinn Fein, critico con l’austerity, in prima posizione – ha esplicitamente minac­ciato Atene che, nel caso in cui il prossimo esecutivo dovesse procedere a una ristrutturazione del suo debito, verrà sanzionata. «Default, ristrut­tu­ra­zione, modi­fi­che nei ter­mini hanno conse­guenze sulla firma e sulla fidu­cia nella firma» ha detto perentoria la Lagarde.

Intanto i sondaggi continuano a prevedere tutti un sostanziale vantaggio della sinistra sugli attuali partiti governativi. Il quotidiano Kathimerini ha pubblicato quello che potremmo definire il “sondaggio dei sondaggi”, cioè la media di ben 13 rilevazioni effettuate dal 7 al 15 gennaio scorsi da istituti demoscopici diversi. Il risultato è che Syriza è dato addirittura al 34,7% dei voti mentre al centrodestra di Samaras – Nea Dimokratia – andrebbe solo il 30,2; molto dietro il centrosinistra di To Potami (Il Fiume) con il 7%, poi i ­na­zi­sti di Chrysi Avghi (Alba Dorata) con il 6,2%, i comunisti del Kke con il 5,6%, e i socia­li­sti del Pasok, fermi al 4,7%. Solo sette partiti entrerebbero in parlamento, mentre tre eventuali partner di governo di Syriza – la destra antiausterity dei Greci Indipendenti (Anel), il Movi­mento dei Socia­li­sti demo­cra­tici appena fondato dall’ex leader socialista Papandreou e i socialdemocratici di Dimar – rimarrebbero tutti fuori, essendo tutti al di sotto del 3% dei consensi.

In base ai dati del maxisondaggio se Syriza aumenta il vantaggio non arriva comunque ad ottenere una percentuale sufficiente ad assicurargli la maggioranza assoluta dei seggi. Ne prenderebbe tra 140 e 145, qualcuno in meno rispetto ai 151 che gli permetterebbero di formare un governo monocolore. Forse potrebbero convincersi a permettere la nascita di un “governo Tsipras” – o, più probabilmente, con un premier diverso – quelli di To Potami. Non sicuramente la pattuglia del Partito Comunista il cui leader, Dimitris Koutsoumpas, ha ribadito la propria distanza siderale dalla sinistra riformista.

Il segretario generale del Comitato Centrale del KKE, in una dichiarazione alla stampa, ha spiegato l’impossibilità di ogni collaborazione con Syriza. "Tsipras rassicura Bruxelles, la 'Bilderberg italiana' di Como e la City di Londra. Collabora con la Confindustria e ha il sostegno delle grandi imprese. Una nostra partecipazione o anche una tolleranza ad un governo Syriza sarebbe un grosso errore, che danneggerebbe i lavoratori e il popolo" accusa Koutsoumpas.

D’altronde, spiega il leader comunista ellenico, i programmi dei due partiti sono assai diversi sia sul fronte interno sia su quello internazionale: "Il KKE è a favore della cancellazione unilaterale del debito, del disimpegno dall'UE e dalla NATO (…). Inoltre crediamo che i lavoratori possano organizzare la produzione (…)". "I dati mostrano stagnazione o addirittura una nuova crisi nell'economia della zona euro – osserva Koutsoumpas – Su questo terreno aumentano i litigi per quale ricetta economica di gestione borghese sia migliore per assicurare la redditività dei monopoli, la loro posizione nella concorrenza mondiale, chi perderà e chi vincerà e l popoli saranno sempre quelli che pagano il conto. Per questo motivo si sviluppano persino tendenze centrifughe. La questione a nostro avviso non è di fallimento o successo dell'euro. Persino paesi che non appartengono alla zona euro affrontano gli stessi temi e prendono le stesse misure anti-popolari. Questo è il culmine dello stesso sistema capitalista, che a questo punto genera solo crisi, guerre, e miseria. In ogni caso, la questione è che i popoli non dovrebbero intrappolarsi e soffermarsi sulla concorrenza attorno alla moneta e alla gestione della crisi, e non dovrebbero dimenticare che lo sviluppo capitalistico, o la cosiddetta ripresa, quando, e se, avverrà, poggerà sui loro diritti azzerati".

Considerazioni condivise anche da una parte di coloro che voteranno Syriza, a partire da un’identità politica radicale, ma desiderosi di un miglioramento immediato di una situazione economica e sociale ormai insostenibile.

Con l’avvicinarsi del giorno delle elezioni i sondaggi – più o meno pilotati – potrebbero orientare la scelta degli indecisi o di coloro che voterebbero per i partiti minori ma che, in nome del “voto utile”, potrebbero spostare il loro consenso su uno dei due grandi blocchi politici che si sfidano per il governo del paese. Una logica che potrebbe premiare soprattutto la sinistra, visto che si presuppone che la maggioranza dell’elettorato di Anel, Dimar e Papandreou – in tutto un 7-8% almeno stando ai sondaggi – è abbastanza critico nei confronti delle politiche di austerity e potrebbe decidere di votare un partito che ha fortemente moderato programma politico, linguaggi ed identità. Ma il rafforzamento nei sondaggi di Tsipras potrebbe sortire anche un effetto opposto, mobilitando la base popolare reazionaria e conservatrice del paese a favore di Nea Dimokratia, considerata come argine all’avanzare delle sinistre vissute come “irresponsabili” e “avventuriste”, oltre che nemiche della tradizione ellenica. La Grecia, nonostante tutto, rimane un paese in buona parte conservatore e l’appello al voto di Samaras alla vigilia del 25 gennaio potrebbe sortire effetti consistenti, grazie anche al sostegno di settori della Chiesa Ortodossa e della burocrazia sempiterna. La sfida, è evidente, si gioca all’ultimo voto.

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