di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Sono più gravi
le dichiarazioni del presidente al Sisi dal palco del World Youth Forum
di Sharm el Sheikh o le reazioni del ministro degli esteri Alfano?
Scelta difficile, ma viene da dire le seconde. Mercoledì il
generale golpista è tornato a parlare di Giulio Regeni di fronte a
giovani da tutto il mondo, ospiti della piattaforma sponsorizzata dal
Cairo (nell’idea, come raccontavamo su queste pagine il 2 novembre, di
«dare voce ai giovani», purché non contestino).
Lo ha fatto tirando fuori la stessa narrativa di un anno e mezzo fa: la
barbara uccisione di Giulio serviva a non meglio precisati nemici del
regime per vanificare gli investimenti italiani in Egitto.
«Desideriamo scoprire i colpevoli e stiamo agendo in maniera molto
trasparente con le autorità italiane – ha detto – (...) Pensiamo ci sia
stato un tentativo, durante la visita di uomini d’affari e imprenditori
italiani (la missione guidata dall’ex ministra allo sviluppo economica
Guidi, proprio il giorno del ritrovamento del corpo martoriato di
Regeni, ndr) pronti a compiere investimenti, di distruggere
quell’iniziativa».
E, aggiunge, i «complottisti» ci sarebbero riusciti.
Sbagliato: gli investimenti italiani in Egitto non si sono mai fermati, a
partire dai mega progetti di Eni nel giacimento off shore di Zohr,
quelli di Edison nei bacini di Abu Qir, West Waidi El Rayan e Rosetta,
la vendita di armi (2.450 chili ad aprile 2016, un milione di euro), 2,5
miliardi in appalti ad aziende italiane e un interscambio totale
aumentato del 30% nel primo semestre di quest’anno.
Il business continua ancora oggi, con buona pace dei «complottisti» di cui sopra: il nuovo ambasciatore al Cairo, Giampaolo Cantini, fa la spola da settimane da un ministero egiziano all’altro per portare a casa nuovi accordi commerciali. Ieri era in visita al ministero dell’agricoltura per esaminare nuove potenziali collaborazioni in campo agricolo.
È in tale contesto che vanno lette le dichiarazioni che ieri il ministro degli Esteri Alfano
ha rilasciato in reazione a quelle di al Sisi: «Siamo convinti che il
presidente al Sisi sia un interlocutore appassionato alla ricerca di
questa verità. Abbiamo scelto di riprendere un certo livello di rapporti
perché crediamo che la cooperazione con l’Egitto sia indispensabile
perché la morte di Regeni non potrà restare impunita».
Il trionfo di una real politik molto dolorosa. Perché va di pari passo con i
tentativi di sviare le attenzioni su Cambridge, mentre Roma non ha mai
rotto i rapporti con un regime liberticida e repressivo. E perché nega, a
monte, la responsabilità politica della morte di Giulio. Al
netto dei carnefici materiali, è in alto che si deve salire, ai vertici
di una macchina repressiva tentacolare e paranoica che continua a
operare indisturbata.
Gli ultimi esempi sono di questi giorni, storie simili a quelle di altre migliaia di cittadini egiziani. Mercoledì
la Corte di Cassazione ha confermato la condanna a cinque anni per uno
dei leader di piazza Tahrir, il blogger e attivista politico Alaa Abdel
Fattah, colpevole di aver protestato.
L’unica concessione è che gli anni che restano – la prima
sentenza è stata comminata nel febbraio 2015 – li trascorrerà in un
carcere comune e non di massima sicurezza. Quindi, spiega il suo
avvocato, Mokhtar Mounir, non andrà ai lavori forzati.
Poche ore prima manifestanti nubiani venivano arrestati per aver protestato per la morte in custodia di Gamal Sorour,
prigioniero in coma diabetico dopo aver iniziato con altre centinaia di
detenuti uno sciopero della fame dietro le sbarre. «I manifestanti
hanno bloccato la superstrada e la ferrovia tra Il Cairo e Aswan –
racconta l’attivista nubiano Abdel Dayem Ezz Eddin
all’agenzia indipendente Mada Masr – Sono scoppiati scontri con la
polizia. Alcuni di loro, tra i 7 e i 13, sono stati arrestati».
Sono ora nel centro di detenzione di Shallal, con i 24 nubiani
detenuti a settembre per aver partecipato alla tradizionale marcia che
ricorda l’espulsione del loro popolo dalle terre di Aswan, negli anni
’60.
AGGIORNAMENTO
Fratoianni: governo s’impegni davvero nella ricerca verità
Nicola Fratoianni protesta con il premier Gentiloni. “Ieri il
ministro degli Esteri Alfano ci ha fatto sapere che il capo del regime
egiziano al Sisi “è un interlocutore appassionato nella ricerca della verità sulla morte di Regeni. Ci rivolgiamo direttamente al premier
Gentiloni: ma l’Italia può coprirsi di ridicolo in questo modo, mandando
in giro per il mondo uno che fa dichiarazioni di questo tenore?” ha
detto in un comunicato il segretario nazionale di Sinistra italiana. “Se
dopo quasi due anni dalla tragedia – prosegue – i responsabili
dell’omicidio di Regeni non sono ancora stati affidati alla giustizia, e
se ci sono stati mesi di continui depistaggi è evidente il ruolo della
dittatura del Cairo. Un po’ più di misura non guasterebbe, il governo si
impegni davvero nella ricerca della verità”.
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