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09/06/2018

Francia: verso il “Fronte Popolare” e l’Europa dei non sottomessi

La riuscita mobilitazione unitaria del 26 Maggio: la “Marea Popolare” contro Macron, promossa da più di 60 realtà politiche, sindacali e associative ha portato in piazza circa 280.000 persone in più di 150 cittadine francesi, di cui 80.000 nella sola Parigi.

Questa iniziativa che si è dovuta misurare con tempi piuttosto stretti tra la sua proclamazione e la sua realizzazione, contando su una preparazione di soli 15 giorni, e la stigmatizzazione negativa dei media mainstream, ha comunque segnato la stabilizzazione di un quadro unitario tra tutti i promotori.

Come ha dichiarato Pierre Khalifa, uno dei promotori della mobilitazione unitaria: è una lotta di lunga durata, più simile ad una guerra di posizione che di movimento, come riportato da Cédric Clérin, nel suo articolo Contestation, quand la Marée monte, apparso sull’”Humanité Dimanche” del 31 maggio.

In questo contesto la CGT, come articola il cronista del giornale del PCF, preferisce per ora creare le condizioni di una mobilitazione sindacale unitaria, continuando comunque un lavoro comune con il collettivo unitario creato per la manifestazione del 26 Maggio.

Come ha dichiarato Catherina Perret, segretaria confederale della CGT: noi ci stiamo confrontando con FO per costruire un potente movimento sindacale prima dell’estate.

A differenza del sindacato Solidaires, FO e CFDT hanno disertato sia l’appello alle manifestazioni unitarie del 1 Maggio promosse dalla CGT, sia il cartello di forze che ha promosso la mobilitazione del 26, trincerandosi dietro una supposta “autonomia” sindacale indipendente dai processi di ricomposizione di un quadro unitario di fronte alla Macronie.

Èric Benynel, portavoce di Solidaires, esprime, invece, perfettamente questa necessità quando afferma: c’è bisogno di una risposta con un ampio orizzonte temporale a un governo e a un presidente che per il momento non vogliono mollare.

Una mobilitazione che ha trovato la sua base in numerose vertenze aziendali, di cui lo sciopero dei ferrovieri contro la privatizzazione di SNCF – iniziato il 3 aprile con la formula di due giorni di astensione dal lavoro alternati a 3 di servizio – è una delle più significative, nel movimento studentesco duramente represso, la lotta contro la modifica della legge sul diritto d’asilo e sull’immigrazione, insieme alla ZAD che è di fatto in uno stato di assedio permanente.

Il ritmo, l’ampiezza delle “riforme”, e la determinazione nel conseguirle imposte dal leader di En Marche, ad un anno dal suo insediamento stanno segnando un salto di qualità nelle politiche neo-liberali in Francia.

Si moltiplicano costantemente i dossier in cui si sta configurando l’azione (o l’inerzia) del governo, dando un quadro a tutto tondo di una filosofia di governance che già molto tempo fa il padronato francese aveva nominato “rifondazione sociale”.

In questo contesto, la questione dell’abbandono di fatto di ogni politica di promozione sociale delle periferie urbane (recentemente fotografate, insieme agli attori sul campo, dal Rapport Borloot), e la svendita del patrimonio immobiliare abitativo pubblico – attraverso il progetto di legge Elan (acronimo che sta per évolution du longement, de l’aménagement e du numérique) – costituiscono gli ultimi tasselli di un puzzle in cui si ridefinisce il quadro del “patto sociale” in Francia, ampliando la forbice tra le esigenze delle élites, che sono parte integrante delle oligarchie della UE, e quelle del blocco sociale.

Su questi aspetti, insieme alla questione legata a immigrazione e diritto d’asilo, ci soffermeremo più estesamente nelle settimane a venire, per ora forniamo qualche dato sintetico sui quartieri popolari, al centro delle politiche dei quartiers de la politique de la ville (QPV)s, per cui è destinato appena lo 0,42% del budget statale per le politiche riservate a queste zone “sensibili” del panorama urbano, dando una vaga idea della polarizzazione sociale e della ghettizzazione d’oltralpe.

Il 42,6% dei suoi abitanti vive al di sotto della soglia di povertà ufficiale, e il tasso di disoccupazione, che nel 2012 era già del 24%, è aumentato al 26%, contro una media del 10% del resto del territorio.

Sempre secondo l’Osservatorio Nazionale delle Politiche de la ville, più di un terzo di coloro che hanno meno di 30 anni in questi quartieri non hanno un lavoro, non studiano e non stanno seguendo alcun progetto formativo, contro il poco meno del 18% del resto del territorio. Meno di un quinto svolge la funzione di quadro o ha un profilo professionale qualificato, e a parità di titoli di studio i suoi abitanti svolgono un lavoro meno qualificato rispetto ad altre zone con uno scarto del 20%.

Ben 2/3 ricevono un aiuto per l’alloggio, contro più della metà degli abitanti dello stesso agglomerato urbano.

La questione delle periferie, appare sempre più un connotato della questione sociale all’interno del quadro europeo, in cui come annunciato, i vari fondi destinati dalla UE (tra cui i fondi sociali europei) alle politiche di coesione sociale verranno sempre più vincolati al rispetto dei Diktat della UE imposti ai singoli governi; in una gabbia che sviluppa un circolo vizioso per cui solo i Paesi che realizzano politiche di austerity made in UE possono pensare di accedere a quei fondi che cercano di mitigare la povertà che quelle stesse politiche contribuiscono a creare.

In Francia, la possibilità auspicata dal leader di France Insoumise di costituire un “Fronte Popolare” declinato secondo le attuali condizioni politiche si gioca sempre più nella capacità di dare “rappresentanza” non solo politico-elettorale, ed essere vettore di mobilitazione di queste parti rilevanti del blocco sociale (già co-protagoniste delle mobilitazioni degli ultimi mesi), in una prospettiva che si orienti verso una netta rottura con le politiche imposte dalla UE.

In questo contesto, le elezioni europee del prossimo anno stanno diventando un banco di prova interessante nel dibattito politico francese e nella capacità di costituire a livello continentale forze che convergono sulla necessità di rimettere al centro “la questione sociale”, la sovranità popolare e la prospettiva di rottura con la UE.

Uno degli aspetti rilevanti, pertinenti a questi nodi, è l’orientamento politico del PCF e dei suoi rapporti con France Insoumise, e l’asse politico che quest’ultima sta creando con una parte di Die Linke, che farà nascere un nuovo movimento in Germania a settembre.

Questa novità è stata recentemente annunciata dalla sua principale promotrice Sara Wagenknecht in una intervista a Mediapart, che Contropiano ha prontamente tradotto.

Il PCF, che un tempo fu il secondo più importante partito comunista dell’Europa Occidentale, ma che ha conseguito il più basso risultato elettorale della sua storia alle ultime elezioni legislative – 600.000 voti, pari al 2,7% – , è alle prese con un dibattito interno molto accesso in cui di fatto si “contrappongono” tre ipotesi politiche radicalmente differenti che si confronteranno al prossimo congresso che si terrà questo autunno, a fine novembre.

Della situazione interna del PCF, fa una panoramica, Pauline Graulle, per “Mediapart” in un articolo dall’eloquente titolo: le europee rianimano la crisi interna al PCF.

Il 3 giugno, il consiglio nazionale del PCF, ha designato il 38enne Ian Brossat come capofila per le prossime elezioni politiche.

Nonostante la giovane età, Brossat ha una lunga carriera politica alle spalle ed è attualmente maire adjont alle politiche abitative per il comune di Parigi, in cui il PCF è parte dell’amministrazione insieme al partito socialista.

Brossat rappresenta quell’anima del partito incline a prediligere una alleanza con il Partito Socialista e ad escludere una ipotesi di rottura con l’UE; fa parte di quell’ala che ha sempre ostacolato un processo di avanzamento unitario di ciò che era stato il Front de Gauche, di cui il PCF era il perno insieme al Parti de Gauche, fondato da Mélenchon dopo la sua uscita dal partito socialista successivamente al referendum vittorioso del 2005 contro l’adesione della Francia ai trattati europei, e che “spaccò” il partito rispetto alla posizione da tenere al referendum.

Un’altra ala del PCF, critica con il testo che avrebbe dovuto essere la base per la discussione all’interno dell’organizzazione, e che ha preso parola attraverso il social network con un posizionamento che preannuncia un testo “alternativo” a quello finora licenziato dalla direzione, è costituita da quel gruppo di cui fa parte Elsa Faucillon, parlamentare del PCF che, insieme ad altri, è incline ad un riavvicinamento a FI, dopo il raffreddamento delle relazioni tra le due formazioni.

Un’altra componente, di cui è esponente l’economista Frédéric Boccara, propende per una politica di “autonomia” del PCF – anche se non ha ancora realizzato un testo alternativo alla “base comune” – che miri a riaccreditare la formazione come un soggetto indipendente alieno ad alleanze sia con i socialisti sia con la FI.

Dal 2011, il rapporto con Mélenchon è uno dei maggiori temi di discussione che scuotono la formazione comunista, i cui voti alle ultime elezioni legislative sommati a quelli dei socialisti sono risultati largamente inferiori a quelli della formazione di Mélénchon.

Per Catherine Tricot, che scrive per il Trimestrale “Regards”, la designazione di Brossard mostra in maniera evidente la fine di qualsiasi prospettiva di discussione con la FI. Per la giornalista, Brossard è il simbolo della discordia che mise fine al Front de Gauche in seguito alla decisione dei comunisti parigini di andare al primo turno con Anna Hidalgo, futura sindaca di Parigi.

Il segretario del PCF, Pierre Laurent e il socialista Benoit Hamon (leader di Génération.S) intrattengono pubblicamente ottimi rapporti, mentre il primo non lesina critiche al leader della FI, mettendone in discussione l’orientamento politico scelto per le europee classificandolo come “populista” e “sovranista”.

Dal suo canto, Mélénchon, in un recente articolo nel proprio blog, la jour où une bonne nouvelle est venue d’Allemagne, in cui dà il giusto rilievo all’annuncio di Sara Wagenknecht, attacca frontalmente l’ala del PCF che ha combattuto a fondo qualsiasi tentativo di ri-avvicinamento alla FI (di cui il segretario del PCF è espressione) e quella parte della Linke ostile al progetto di Mélenchon a difesa del “monopolio tedesco” sulla sinistra alternativa europea.

Una polemica che rinfocola, dopo la proposta avanzata dal leader di France Insoumise di espellere la formazione di Tsipras dal gruppo della sinistra alternativa europea, respinta con forza da Die Linke.

Mélénchon conclude il suo intervento affermando: D’ora in avanti, l’emersione di una corrente movimentista e dégagiste (per una rottura con la UE, NdC) a partire dalla Linke conferma il cambiamento della fase. Si può dire che è stata scritta una pagina nuova. Questa è una buona notizia che proviene dalla Germania: ci saranno anche i tedeschi per formare l’alternativa europea all’estrema destra e ai liberali. È nostro dovere, in questo momento storico, questa alternativa in Europa.

E questa è una priorità sempre più impellente anche nel nostro Paese.

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