Un’ottima e chiarificatrice intervista ad un leader Houthi, stranamente ad opera di Repubblica (una testata fine corsa, inattendibile come “voce del padrone” in condominio tra Usa e Israele). Prevedibilmente non letta dalla classe politica nostrana, ma abbondantemente citata a sostegno di frasi senza senso come “non ci faremo intimidire”, “nessuno può pensare di minacciare l’Italia” e via di testosterone mediatico...
Eppure, a leggerla con la dovuta attenzione, l’intervista di Laura Lucchini a Mohamed Ali al-Houti contiene tutti gli elementi necessari per inquadrare la crisi della navigazione commerciale occidentale nel Mar Rosso.
Intanto perché, appunto, non c’è alcun “blocco del commercio mondiale”, ma una attenta selezione (negativa ovviamente) che riguarda le navi collegate ad Israele e – man mano che si allarga la coalizione militare anti-Houthi – i paesi che vi partecipano bombardando lo Yemen.
Il che mette l’autonominata “comunità internazionale” – in realtà la coalizione militare occidentale e imperialista – in una posizione indifendibile. Non è infatti spendibile come “difesa della legalità internazionale” (compito che spetterebbe all’Onu, ormai svuotato di riconoscimento sia dall’Occidente imperialista che dalla sua testa di ponte mediorientale, ossia Israele), nonostante lo sforzo retorico di presentarsi come tale (ormai solo “a beneficio” dell’opinione pubblica interna).
In secondo luogo l’intervista mette in luce chiaramente anche l’unica soluzione immediata possibile: il cessate il fuoco a Gaza e il ritorno dell’Idf sulle sue posizioni precedenti, sospendendo ogni bombardamento della Striscia e ogni assalto militare in Cisgiordania. Come sappiamo, la via fin qui scelta dall’Occidente è opposta: allargamento del conflitto e bombardamenti, per ora, sulle posizioni yemenite.
Il che, ovviamente, non può che comportare l’allargamento del numero dei paesi coinvolti nonché delle navi commerciali che farebbero bene a circumnavigare l’Africa, anziché addentrarsi nel Mar Rosso.
In fondo, a ben guardare, gli yemeniti stanno a casa loro e non hanno mai attaccato altri paesi. Stati Uniti e Occidente imperialista, invece, non fanno altro da secoli. Contro ogni diritto...
Eppure, a leggerla con la dovuta attenzione, l’intervista di Laura Lucchini a Mohamed Ali al-Houti contiene tutti gli elementi necessari per inquadrare la crisi della navigazione commerciale occidentale nel Mar Rosso.
Intanto perché, appunto, non c’è alcun “blocco del commercio mondiale”, ma una attenta selezione (negativa ovviamente) che riguarda le navi collegate ad Israele e – man mano che si allarga la coalizione militare anti-Houthi – i paesi che vi partecipano bombardando lo Yemen.
Il che mette l’autonominata “comunità internazionale” – in realtà la coalizione militare occidentale e imperialista – in una posizione indifendibile. Non è infatti spendibile come “difesa della legalità internazionale” (compito che spetterebbe all’Onu, ormai svuotato di riconoscimento sia dall’Occidente imperialista che dalla sua testa di ponte mediorientale, ossia Israele), nonostante lo sforzo retorico di presentarsi come tale (ormai solo “a beneficio” dell’opinione pubblica interna).
In secondo luogo l’intervista mette in luce chiaramente anche l’unica soluzione immediata possibile: il cessate il fuoco a Gaza e il ritorno dell’Idf sulle sue posizioni precedenti, sospendendo ogni bombardamento della Striscia e ogni assalto militare in Cisgiordania. Come sappiamo, la via fin qui scelta dall’Occidente è opposta: allargamento del conflitto e bombardamenti, per ora, sulle posizioni yemenite.
Il che, ovviamente, non può che comportare l’allargamento del numero dei paesi coinvolti nonché delle navi commerciali che farebbero bene a circumnavigare l’Africa, anziché addentrarsi nel Mar Rosso.
In fondo, a ben guardare, gli yemeniti stanno a casa loro e non hanno mai attaccato altri paesi. Stati Uniti e Occidente imperialista, invece, non fanno altro da secoli. Contro ogni diritto...
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Mohamed Ali al-Houti, classe 1979, è uno dei leader di spicco del movimento Ansar Allah, i ‘partigiani di Dio’ meglio conosciuti come Houti, nonché cugino dell’attuale leader Abdul-Malik Al-Houti.
È stato capo del Comitato rivoluzionario supremo tra il 2015 e il 2016, quando gli Houti hanno preso il potere. Nell’intervista a Repubblica si rivolge al nostro Paese che sta per prendere parte alla missione Ue nel Mar Rosso: «L’Italia sarà un bersaglio se parteciperà all’aggressione contro lo Yemen».
La notte tra sabato e domenica ci sono stati raid massicci. Che danni vi hanno causato fino ad ora queste operazioni? Risponderete?
«Sono aggressioni illegali e di un terrorismo deliberato e ingiustificato. Gli aerei d’aggressione americano-britannici hanno lanciato 48 attacchi aerei contro lo Yemen, colpendo Sana’a e Hodeida insieme ad altri obiettivi.
In precedenza, hanno preso di mira le nostre pattuglie nel Mar Rosso, causando il martirio delle forze navali.
Questi bombardamenti non influenzeranno le nostre capacità. Anzi ci rafforzano. Gli americani e i britannici devono capire che in questa fase siamo pronti a rispondere, e il nostro popolo non conosce la resa. Le nostre acque e i nostri mari non sono un parco giochi dell’America».
Il blocco nel Mar Rosso minaccia la libertà di navigazione, ha un impatto duro sull’economia globale e in ultima istanza provoca inflazione colpendo indirettamente i civili delle fasce più deboli. È necessario?
«In primo luogo, non c’è alcun blocco nel Mar Rosso. Prendiamo di mira solo le navi associate a Israele, che si dirigono verso porti occupati, di proprietà di israeliani, o entrano nel porto di Eilat. Qualsiasi nave non legata a Israele non subirà danni.
Non abbiamo intenzione di chiudere lo stretto di Bab el Mandeb o il Mar Rosso. Se volessimo farlo, ci sarebbero altre misure più semplici rispetto all’invio di missili».
Qual è la vostra posizione riguardo all’uccisione di tre soldati americani nell’attacco contro la Torre 22 in Giordania?
«Questi attacchi sono una reazione naturale alle azioni ostili compiute dagli Stati Uniti. È essenziale che gli americani comprendano che chi attacca affronterà una ritorsione, come espresso nel proverbio arabo: “Chi bussa alla porta troverà risposta”».
Un’ulteriore escalation potrebbe portare a un intervento di terra in Yemen. Non temete questo scenario?
«La guerra terrestre è ciò che desidera il popolo yemenita, poiché si troverà finalmente di fronte a coloro che sono responsabili delle sue sofferenze da oltre nove anni. Se gli Stati Uniti inviano truppe nello Yemen, dovranno affrontare sfide più difficili di quelle in Afghanistan e Vietnam.
Il nostro popolo è resiliente, pronto e ha varie opzioni per sconfiggere strategicamente gli americani nella regione».
Qual è la sua posizione sulla decisione dell’amministrazione Biden di classificarvi come “terroristi”?
«Essere classificati come terroristi per sostenere Gaza è un onore per noi. Questa classificazione è politica e scorretta, senza giustificazione, e non influisce su di noi. Non entriamo negli Stati Uniti, non abbiamo aziende internazionali o interessi bancari all’estero. La soluzione sta nel fermare l’aggressione a Gaza e permettere l’ingresso di cibo e medicine». L’Occidente accusa gli Houti di essere uno strumento nelle mani dell’Iran. Recenti report suggeriscono che gli Stati Uniti abbiano chiesto alla Cina di mediare per la fine del blocco sul Mar Rosso. Che rapporti avete con Iran e Cina?
«Il nostro leader stimato (Abdul-Malik Al-Houthi, ndr), ha affermato che “i raid americani e britannici sono fallimentari e non hanno alcun impatto; non limiteranno le nostre capacità militari.” E che “il tentativo dell’America di cercare l’assistenza della Cina per mediare e convincerci a interrompere le nostre operazioni è un segno del suo fallimento”.
Ha anche spiegato che “la Cina non si lascerà coinvolgere per servire l’America, riconoscendo che i suoi interessi non sono allineati con quelli americani, data la politica ostile dell’America e l’entità della cospirazione americana attraverso la questione di Taiwan”.
Abbiamo il controllo delle nostre decisioni, e gli americani e gli israeliani ne sono consapevoli».
Esiste un canale di negoziazione diretta tra voi e gli Usa? Come si può de-escalare il conflitto?
«Non abbiamo negoziato direttamente con gli americani, nonostante loro lo abbiano richiesto. Non vediamo la possibilità di intraprendere un dialogo diretto con gli americani, considerandoli come criminali terroristi. Se c’è qualsiasi comunicazione, questa avviene attraverso il nostro team di negoziazione nel Sultanato dell’Oman. È l’unico modo».
L’Unione Europea ha annunciato una nuova missione militare difensiva nel Mar Rosso...
«Consigliamo agli europei di aumentare la pressione sui responsabili degli orrori a Gaza. Le nostre operazioni mirano a fermare l’aggressione e a sollevare l’assedio. Qualsiasi altra giustificazione per l’escalation da parte degli europei è inaccettabile».
L’Italia ne prenderà parte. I beni italiani saranno dunque bersagli senza eccezione?
«L’Italia diventerà un bersaglio se parteciperà all’aggressione contro lo Yemen. Il suo coinvolgimento sarà considerato un’escalation e una militarizzazione del mare, e non sarà efficace. Il passaggio delle navi italiane e di altri durante le operazioni yemenite a sostegno di Gaza è una prova che l’obiettivo è noto».
Qual è il vostro messaggio per il nostro Paese?
«Il nostro consiglio all’Italia è di esercitare pressione su Israele per fermare i massacri quotidiani a Gaza. Questo è ciò che porterà alla pace. Consigliamo all’Italia di rimanere neutrale, che è il minimo che può fare. Non c’è giustificazione per qualsiasi avventura al di fuori dei suoi confini».
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