Recentemente siamo intervenuti sul tema dei tagli ai fondi per i consultori, austerità particolarmente odiosa e deleteria poiché distruttiva per un’importante tipologia di presidio dei diritti della donna e della sessualità libera. Aggiungiamo ora che l’offensiva dell’austerità non risparmia neanche gli asili nido, risorsa fondamentale per permettere di coniugare lavoro e cura familiare.
Analizziamo infatti la situazione degli asili nido dai dati ISTAT sul biennio 2021-2022. Verificando il numero di posti negli asili nido rispetto ai bambini, a fronte di un target di livello europeo del 33%, solamente il centro Italia e il nord-est rispettano questo requisito; in particolare nel sud si è ben lontani (16%). Inoltre, solamente il 48,8% degli asili nido è pubblico (meno della metà) e le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte: 66,4% nel pubblico e 48,7% nel privato. Il rapporto dell’ISTAT prosegue con altri dati interessanti e inquietanti, questi i titoli dei vari paragrafi: “Sotto la media europea la frequenza del nido”, “Grandi divari territoriali nella spesa pubblica per i servizi all’infanzia”, “Eterogenei i criteri di accesso al nido utilizzati dai Comuni”, “Lo svantaggio economico non sempre prioritario nell’accesso al nido pubblico”, “I contributi statali non riequilibrano le diseguaglianze”, “Persistono squilibri socio-economici nell’accesso al nido”.
Sul tema degli asili nido, molte parole sono state spese circa presunti interventi salvifici del PNRR: peccato però che i fondi ivi previsti (circa 3 miliardi) non saranno assolutamente sufficienti né a portare la media dei posti disponibili a livello degli altri paesi europei, né a risolvere gli squilibri territoriali sopra evidenziati. Inoltre questo intervento, come molti altri contenuti nel PNRR, riproduce la solita ipocrisia di prevedere (pochi) fondi per “l’investimento”, ma nessun finanziamento per gli operatori, cioè per quella “spesa corrente” che più sarà colpita dal nuovo patto di stabilità.
Non solo: se dovesse andare in porto lo scellerato progetto dell’autonomia differenziata, le differenze regionali verosimilmente si amplieranno ulteriormente: come noto, il Governo afferma che – prima di procedere con la concessione dell’autonomia alle Regioni che ne fanno richiesta – lo Stato dovrebbe definire per ogni materia oggetto di autonomia dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), cioè livelli qualitativi e quantitativi minimi da assicurare su tutto il territorio per i quali lo stesso Stato dovrebbe garantire un adeguato finanziamento. Ebbene, allargando un attimo lo sguardo dagli asili nido all’istruzione primaria, è stato calcolato che il finanziamento del solo LEP relativo all’istruzione comporterebbe un impegno di spesa di almeno 4 miliardi all’anno!
Ecco i risultati dell’austerità. Il sistema degli asili nido richiede più fondi, una gestione migliore e una particolare attenzione alle famiglie di lavoratori meno abbienti. Invece, grazie alla scarsità di fondi il sistema è al collasso e il privato sguazza in questa melma, lucrando e guadagnando sui figli della classe lavoratrice, sopperendo alle mancanze dello Stato. Il gioco è sempre lo stesso: ridurre la qualità e quantità dei servizi pubblici, privatizzare il servizio dicendo che il privato è più efficiente e poi lasciare il servizio allo sfacelo. Magari spesso con laute mance per il privatizzatore di turno.
L’unico elemento di apparente miglioramento è che il calo demografico sembra stia facendo migliorare il rapporto tra posti negli asili nido e bambini. Ma questo è mostruoso! Infatti, una delle ragioni del calo demografico è proprio la precarietà della vita dei giovani e la mancanza di servizi. Se non ci sono asili nido i giovani genitori dovranno mettere in conto grandi spese per i bambini, ma se il lavoro non c’è o è precario è difficile fare piani a lungo termine e trovare i soldi necessari, specialmente senza l’aiuto di nonni o bisnonni. Ecco il risultato finale dell’austerità e dei tagli: una popolazione più austera e una popolazione “tagliata”, in diminuzione e con sempre meno sorrisi dei bambini. Meno soldi per la popolazione si traducono alla fine in meno popolazione in un contesto demografico come quello italiano, in cui i genitori vorrebbero dare una vita di un certo livello ai figli.
C’è da dire infine un’ultima cosa. Più che di sgocciolamento della ricchezza dai ricchi ai poveri – un’insulsa teoria di destra secondo cui i ricchi dovrebbero essere ancora più ricchi cosicché un po’ di grasso possa sgocciolare dalle loro mani ai poveri, dimenticando che la torta del prodotto nazionale è una e che se uno prende una fetta più grande, l’altro l’avrà più piccola – l’austerità sta realizzando uno sgocciolamento della povertà verso le classi medie. Certo i ricconi e nababbi riusciranno sempre e comunque a cavarsela, ma per le classi medie una parte sempre più grande del loro reddito viene spesa per sopperire a quei servizi pubblici che lo stato ha tagliato o non ha mai finanziato a dovere.
Insomma, il Governo che si riempie la bocca con la difesa della famiglia e la dignità della donna in realtà è complice e attore attivo di un attacco diretto alla possibilità di metter su famiglia e al contempo avere una vita lavorativa normale; e questo è un attacco che colpisce in maniera sproporzionata le donne, su cui ancora oggi ricade la maggior parte del lavoro di cura.
L’austerità non è questione del vicino di casa, o del collega sfortunato o di quell’altro, ma non mia. L’austerità colpisce i servizi assistenziali minimi, l’austerità colpisce tutti, e sono sempre molto pochi quelli che ne beneficiano.
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