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04/02/2012

Grecia, morire di lunedì o di morte lenta?

Come nella favola di Esopo.
Puntuale, ogni fine settimana, da mesi e mesi, sembra essere quello cruciale, quello della svolta, quello della salvezza o perdizione. A seconda di come vanno trattative, incontri, ricatti, minacce. Poi viene il momento in cui la crisi del 2 percento del Pil europeo, di una Grecia piccola diventata importante per la maldestra politica europea e per la criminale gestione economica nazionale di due decenni, si trasforma in un brusio di sottofondo. Noioso, antipatico e marginale, fors’anche da abbandonare a se stesso: anche il lunedì che verrà, potrebbe essere l’ultimo della Grecia nell’area euro, addirittura nell’Ue.
Tra oggi o domani, il primo ministro, Loukàs Papadimos, incontrerà i tre capi dei partiti che sostengono il suo governo. Si tratta di carpire il consenso del Parlamento alle misure che verranno, le misure più pesanti da che, in Grecia, si parla solo e ossessivamente di crisi economica.
I tempi sono serratissimi: l’orizzonte era costituito da lunedì 6 febbraio e dalla riunione dell’Eurogruppo, prevista per quella data. È di poco fa la notizia, confermata da Jean-Claude Juncker, che la riunione è rimandata a quando Atene sarà pronta. Alla riunione,  quando ci sarà, Papadimos dovrà presentare l’accordo del governo con la troika dei creditori pubblici, come ultimamente sono definiti Fmi, Ue e Bce da una parte, con i creditori privati dall’altra (Private sector involvement nella ristrutturazione l debito, Psi+).
Stando che quest’ultimo pare essere definito nelle sue linee principali, il vero problema, in queste ore, è la troika. O meglio, le misure che essa richiede perché possa avviarsi il programma di salvataggio deciso a Bruxelles il 27 ottobre.
Al licenziamento di statali entro il 2015, agli ennesimi tagli alle pensioni, alle privatizzazioni, all’ulteriore riduzione delle spese per la salute, alla completa liberalizzazione delle professioni, al tipo di azioni che saranno concesse alle banche greche da ricapitalizzare dopo la ristrutturazione dei titoli di stato, si aggiunge quello che somiglia al colpo di grazia per l’economia nazionale e per la vita dei lavoratori greci: riduzione dello stipendio minimo garantito (660 euro) e sostanziale abolizione della tredicesima e quattordicesima.
Le parti sociali, sindacati, Confindustria e Confcommercio sono d’accordo: se ciò dovesse avvenire l’economia nazionale ne soffrirebbe irrimediabilmente. Il Ministro del Lavoro ha presentato, invano, studi in cui si dimostra come la non competitività delle imprese greche non deriva dai costi salariali.
Eppure, la troika insiste, ribattendo che i salari ellenici sono superiori a quelli spagnoli o portoghesi. Non rimane, pertanto, che tagliare.
Proprio su questo punto, il governo incontra le difficoltà maggiori, difficoltà che si incentrano sul partito di centro-destra Nea Dimocratia, guidato da Antonis Samaràs. Questi ha più volte ripetuto che i minimi salariali non devono essere toccati e, nelle ultime ore, tace i suoi intenti in vista dell’incontro, che ci sarà oggi o domani, tra il Primo Ministro e i capi dei partiti della coalizione governativa.
Solo se Papadimos avrà il via libera dalle forze politiche di governo, potrà annunciare che seguirà i diktat della troika e, pertanto, ottenere il prestito di cui la Grecia ha bisogno entro il 20 marzo.
Tutto sembrerebbe appeso a un filo, Papadimos minaccia di restituire al Presidente della Repubblica il suo mandato ma Antonis Samaràs forse non ha nessuna voglia di sostenere il peso che deriverebbe da un tale sviluppo. Si dovrebbe parlare, allora, dell’ ‘ultimo atto’ della Grecia nelle tormento del debito. Il sito skai.gr, infatti, ha pubblicato la notizia che fonti del Fmi lasciano trapelare che, nel caso la Grecia non si sottomettesse pienamente ai diktat, l’evento sarà interpretato, automaticamente, come una dichiarazione politica di abbandono della zona euro e dell’Ue. E, come che sia, il fallimento del Paese sarebbe dichiarato ufficialmente.

Fonte.

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