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15/10/2017

Il 15 ottobre 1987 veniva ucciso Thomas Sankara, rivoluzionario africano

Il 15 ottobre 1987 veniva assassinato Thomas Sankara, rivoluzionario comunista e presidente del Burkina Faso.

CAPITAN FUTURO

Marinella Correggia (Il Manifesto)

Ecologia, femminismo, fame e povertà zero, cultura, altermondialismo, il credito e non il debito dell’Africa. A 25 anni dall’assassinio di Thomas Sankara, la rivoluzione del giovane presidente del Burkina Faso è ancora più che attuale

«Lo supplicavo di proteggersi la vita, gli dicevo che un eroe morto non serve a niente. Adesso però penso che un eroe morto serva da riferimento». Così il giornalista malgascio Sennen Andriamirado, nella biografia postuma Il s’appelait Sankara sottolineava il lascito di quel Che Guevara africano diventato nel 1983 presidente rivoluzionario del poverissimo Alto Volta, rinominato Burkina Faso ovvero «paese degli integri». Una vicenda luminosa e breve come un lampo. Sankara fu ucciso a soli 38 anni in un colpo di stato cruento. Interessi interni di risicati ceti privilegiati saldati a quelli di poteri regionali e internazionali ebbero la meglio su un’esperienza scomoda e potenzialmente contagiosa, ma al tempo stesso ancora solitaria, perciò debole. Era il 15 ottobre 1987: venti anni e una settimana dopo l’assassinio del Che.

Come una parola d’ordine

Quattro anni sono troppo pochi perché una rivoluzione sopravviva alla scomparsa violenta della sua guida, soprattutto se di tutta la testa superiore agli altri politici. E tuttavia Sankara, eroe senza corona e senza privilegi, rimane un mot de passe , una specie di parola d’ordine. Un richiamo a ideale e pratiche locali e internazionali adatti al futuro. «Se ci fosse ancora Sankara», si intitolò un convegno a Torino, nel 2007. Non c’è angolo che la rivoluzione burkinabè al tempo di Sankara non abbia esplorato: «Vogliamo essere gli eredi di tutte le rivoluzioni del mondo». Una sfida enorme, in quel «concentrato di tutte le disgrazie del mondo» (aspettativa di vita di 40 anni, 98% di analfabetismo, poca acqua, tanta fatica) nel quale però «donne, bambini e uomini hanno deciso di prendere in mano il proprio destino« (dal discorso all’Assemblea dell’Onu nel 1984, v. Thomas Sankara, i discorsi e le idee, edizioni Sankara). Ma ecco un popolo, fatto al 90% di contadini e donne oppresse, tentare la fuoriuscita dalla miseria, sulla via di uno sviluppo autonomo, partecipato, egualitario, ecologico per necessità. Il paradigma sociale e culturale della rivoluzione sankarista era proiettato nel futuro. Cos’è infatti il buen vivir (o vivir bien) ora rivendicato da diversi paesi latinoamericani se non la ricerca di un semplice benessere per tutti, nel rispetto della natura e dei beni comuni, da raggiungere con strumenti quali democrazia diretta, economia popolare, risorse endogene? «La nostra rivoluzione avrà valore solo se, guardando intorno a noi, potremo dire che i burkinabè sono un po’ più felici grazie ad essa», disse il presidente a Bobo Dioulasso il 2 ottobre 1987.

Sovranità alimentare nel Sahel

L’obiettivo era immenso e immane in quel contesto. La prova del nove fu superata: risultati materiali inauditi in poco tempo e quasi senza mezzi. Tutto all’insegna del motto di Sankara: «Contare sulle proprie forze». Coltivare e irrigare con poche risorse per garantire due pasti e dieci litri d’acqua al giorno a ognuno. La sovranità alimentare: «Produrre e consumare burkinabè». «Operazioni commando di alfabetizzazione» degli adulti. I progetti «un villaggio un bosco, un villaggio un ambulatorio, un villaggio una scuola». Le «tre lotte contro il deserto» per un commovente Burkina verde. Il faso dan fani , abito di cotone locale lavorato artigianalmente. La «battaglia per la ferrovia». L’informazione partecipata con la «radio entrate e parlate». I lavori comunitari anche per i funzionari (un tentativo di redistribuzione della fatica). La cultura, inventare il Festival del cinema africano, le proiezioni nei villaggi, lo sport di massa per la salute… E i soggetti. La mobilitazione tentata a tutti i livelli nei comitati rivoluzionari. Al centro di tutto, i contadini e le donne, anche contro i capi villaggio e gli sfruttatori della tradizione. Presidente femminista, un otto marzo dichiarò: «Se perdiamo la lotta per la liberazione della donna avremo perso il diritto di sperare in una trasformazione positiva. (…) Una società come la nostra deve lottare contro l’escissione e ridurre anche i lunghi tragitti che la donna percorre per andare a cercare l’acqua, la legna . Non possiamo parlare di liberazione della donna senza parlare del mulino per macinare il grano, dell’orto, del potere economico» (da Thomas Sankara. I discorsi e le idee , edizioni Sankara).

Un presidente senza privilegi

Per investire tutto nei bisogni di base Sankara impose una spending review all’osso: «Non possiamo essere i dirigenti ricchi di un paese povero». Senza accettare imposizioni dal Fondo Monetario internazionale (che «va oltre il controllo di bilancio e persegue un controllo politico»), l’austerità fu autogestita: stipendi modestissimi a presidente e ministri, niente sprechi di rappresentanza, vendute le auto blu, aboliti gli eventi di lusso, rimpicciolita ogni spesa amministrativa. Ma non riuscì a Thomas Sankara la lotta contro la corruzione, e contro gli abusi di potere nei Comitati rivoluzionari. L’impegno antimperialista fra i non allineati e a fianco delle esperienze rivoluzionarie. La lotta contro il debito estero e per il disarmo. Nel suo discorso di fronte ai capi di stato africani, alla Conferenza dell’allora Organizzazione per l’Unità Africana (Oua) ad Addis Abeba, 29 luglio 1987, Sankara ripeteva l’invito fatto al Movimento dei paesi non allineati tre anni prima a New Delhi: «Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non ne siamo responsabili. (…) Abbiamo il dovere di creare il Fronte unito contro il debito». Ma al tempo stesso tutta l’Africa doveva farla finita con la corruzione, i privilegi e le spese per le armi. Le risorse liberate erano necessarie alla fuoriuscita dalla miseria e all’integrazione regionale (sul modello dell’attuale Alleanza bolivariana Alba in America Latina): «Facciamo sì che il mercato africano sia davvero il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa e consumare in Africa (…) È per noi il solo modo di vivere liberamente e degnamente».

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CRONOLOGIA DELL’UOMO INTEGRO

Thomas Sankara nasce il 21 dicembre 1949 a Yako nell’Alto Volta, allora colonia francese che diventerà indipendente il 5 agosto 1960. Non avendo i mezzi per studiare medicina come vorrebbe, intraprende la carriera militare. Inizia a formarsi alla politica anche nel corso di soggiorni in Marocco e Madagascar. Fra il 1981 e il 1983 viene chiamato a far parte di governi dei quali presto denuncia malefatte e corruzione, fino a essere imprigionato. Con un’alleanza fra militari e forze popolari arriva al potere il 4 agosto 1983. Il 4 agosto 1984 l’Alto Volta diventa Burkina Faso. Intanto governo e comitati popolari lavorano alla «rivoluzione degli integri» a ritmi accelerati. Nel 1987 iniziano a serpeggiare i dissidi e i malcontenti fra i capi storici della rivoluzione. Il 15 ottobre 1987 Sankara con dodici collaboratori viene assassinato in un colpo di stato ordito dal suo vice Blaisé Compaoré, il quale assume la presidenza e reprime le proteste con diversi morti. La rivoluzione è finita. Elezioni successive alle quali partecipa una minoranza della popolazione hanno continuato a rieleggere Compaoré il quale anche grazie alle divisioni e debolezze dei “sankaristi” è tuttora capo di stato, ben introdotto in Occidente e oscuramente coinvolto in diversi conflitti africani. Mai chiarite le circostanze e le responsabilità di quel 15 ottobre. La petizione «Giustizia per Sankara» (www.thomassankara.net) ha raccolto 10mila firme.

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1987-2012

Un viaggio in Renault 5
Dalle parole ai fatti e alla macroeconomia

Eugenio Lorenzano

Uomo e politico di grandi parole e fatti concreti, Thomas Sankara è stato forse il leader africano più carismatico del XX secolo. Stupisce l’efficacia politica e la concretezza con la quale riuscì a realizzare incredibili obiettivi in soli quattro anni e mezzo al potere (1983-87) in Burkina Faso. Il giovane capitano-presidente licenziò circa 10 mila dirigenti, funzionari, quadri e impiegati statali, retaggio clientelare del vecchio impero coloniale francese; con i soldi risparmiati fu capace in soli 8 mesi di costruire una ferrovia di comunicazione tra le due principali città del paese. Rilanciò alla grande l’artigianato tessile locale obbligando i nuovi impiegati statali assunti ad indossare esclusivamente abiti in cotone naturale di produzione nazionale, proibendo l’utilizzo e l’importazione di quello acrilico. Emancipò le donne ed i bambini burkinabè con la realizzazione di progetti di alfabetizzazione rurale e costruzione di scuole rispettose dello stile, degli usi e tradizioni del Sahel. Inorgoglì i suoi connazionali istituendo il più bel festival folklorico, musicale, artistico e cinematografico del continente. Con l’aiuto di pochi tecnici e medici cubani riuscì a portare ausilio medico, infermieristico sinanche nei villaggi più sperduti del paese e soprattutto riuscì ad incrementare la superfice arativa del paese del 40 %, di quel territorio semidesertico chiamato Sahel. Irrise senza cattiveria, ma anzi con ironia ed autoironia gli osservatori europei ai vertici dei paesi dell’Oua, l’organizzazione dei paesi africani, dove si discuteva sul debito dei paesi del terzo mondo verso quelli più ricchi. Conseguì la sua più grande vittoria proprio dove nessuno se l’aspettava: in macroeconomia… Infatti dimezzò letteralmente la povertà del suo paese in meno di un lustro, portandolo dal 143˚ al 78˚ posto. Lui cristiano, richiamò le alte sfere delle religioni monoteistiche a un maggior rispetto delle religioni ancestrali burkinabè ed africane in generale. Con integerrima onestà intellettuale, da marxista eterodosso e gramsciano convinto si distaccò dallo sterile carro dello statalismo sovietico e dei paesi dell’est. Pochi giorni prima di essere assassinato ricordò in un memorabile discorso all’Onu il suo idolo e punto di riferimento: Ernesto Che Guevara. Riuscì in quel famoso discorso addirittura ad essere profeta del suo imminente destino e del suo incombente assassinio da parte del suo migliore (si fa per dire) amico Blaise Camporè, attuale presidente del Burkina Faso. Viveva in una semplice casa di Ougadougou di tre vani ed accessori con moglie e figli. Dopo aver venduto tutte le auto blu dello stato per invece costruire due ospedali, si vide obbligato ad utilizzare una Renault 5 presidenziale, ovvero una delle sole 4 utilitarie gemelle del parco macchine nazionale. Si decurtò lo stipendio del 500% abbasandolo sino a 200 dollari mensili, imponendo col suo esempio il tetto massimo per qualsiasi salario statale. Suonava la chitarra nelle sue frequenti visite nei villaggi rurali più remoti. Riuscì anche qualche volta a rimanere senza soldi in tasca, tanto da farseli prestare dalle sue guardie del corpo. Ma più di ogni cosa Thomas Sankara riuscì a trasmettere a tutti i suoi connazionali l’entusiasmo per un cambiamento, per una rivoluzione pacifica, filantropica ed umanista. Insomma l’esperimento di Thomas Sankara e dei burkinabè divenne un “cattivo esempio” per i paesi limitrofi, tanto da riuscire a far alleare i servizi segreti statunitensi, francesi e libici al fine di assassinarlo.

Vedi anche Thomas Sankara e la lotta per il non pagamento del debito

articoli tratti da Il Manifesto 14.10.2012

leggi anche:

LA RIVOLUZIONE DEL BURKINA FASO, UN DISCORSO DA RIPASSARE A MEMORIA


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