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03/05/2019

Ucraina - Cinque anni fa la strage di Odessa

Vasilij Prozorov, ufficiale dei Servizi ucraini (SBU), ma da anni al servizio dell’intelligence russa, (lo scorso marzo, in una conferenza stampa a Mosca, aveva rivelato la mano ucraina nell’assassinio dei comandanti più in vista delle milizie del Donbass, del leader della DNR Aleksandr Zakharčenko e nell’abbattimento del Boeing malese) continua la pubblicazione di documenti riservati, da lui stesso denominati “UkrLeaks”.

Prozorov parla ora della strage del 2 maggio 2014, alla Casa dei sindacati di Odessa, in cui 48 attivisti anti-majdan (questa è la cifra ufficiale fornita dai golpisti, ma si parla addirittura di oltre trecento uccisi) morirono bruciati vivi dalle molotov lanciate contro l’edificio dai gruppi neonazisti, con la partecipazione delle forze di sicurezza ucraine – le immagini trasmesse all’epoca, con la presenza di numerosi uomini in uniforme, parlavano chiaro – mentre coloro che cercavano scampo calandosi dalle finestre, venivano finiti in strada, a pistolettate e anche a bastonate.

Prozorov produce documenti che provano la responsabilità dei Servizi di Kiev in quella strage. In particolare, un rapporto datato 2 maggio 2014 (ore 19), indirizzato al Centro antiterrorismo del Servizio di sicurezza ucraino, e un secondo rapporto dello stesso Centro, sul monitoraggio degli eventi di massa, stilato sulla base delle informazioni inviate al Quartier generale dai vari dipartimenti.

In base a quel secondo rapporto, nel pomeriggio del 2 maggio, nel corso della marcia “Per l’unità dell’Ucraina”, elementi delle organizzazioni nazionaliste “Maidan”, “Pravyj Sektor”, “Autodifesa”, insieme a ultras del “Černomorets” di Odessa e del “Metalist” di Kharkov (circa 600 persone), prima dell’incontro di calcio attaccarono un presidio di circa 300 filo-russi, accampati da giorni nei pressi della Casa dei sindacati. Alla fine della partita, verso le 19, gli stessi elementi mossero ancora verso il Campo di Kulikov, devastarono la tendopoli degli attivisti filo-russi e cominciarono ad assaltare la Casa dei sindacati, dove questi ultimi si erano rifugiati. Le prove di come la strage fosse premeditata, sono fornite dal fatto che numerosi elementi neonazisti erano già appostati sul tetto dell’edificio e altri fossero già penetrati all’interno, muniti di maschere antigas, pronti a lanciare materiale infiammabile: i rifugiati non avevano scampo.

Tutto ciò è noto da cinque anni. E non è nemmeno un segreto, dice Prozorov, che, sia tra i “nazionalisti”, sia tra gli “ultras”, i Servizi, per dirla nella loro lingua, tenessero “alcune posizioni operative”. Ciò è ora confermato dall’altro documento presentato dall’ex ufficiale del SBU; un documento che non si riferisce però a Odessa, bensì a Kiev, nel febbraio 2016. In quell’occasione, i nazionalisti insoddisfatti dei risultati del majdan, tentarono di dar vita a nuove azioni di massa. Nessuno scontro violento, nessun appello al rovesciamento del potere; ma i Servizi tenevano ovviamente sotto controllo gli avvenimenti e dunque ci sono informazioni su chi, dove e in quale entità li avesse organizzati, chi li avesse finanziati, quali “informazioni” fossero state diramate a media e social network.

E’ questo un documento voluminoso, dice Prozorov, “ma vorrei concentrare l’attenzione su alcuni nomi”: “Forze patriottiche” (Jaroš, Berëza, Levus); speaker “Medved” (30 persone, responsabile D. Dotsenko); Stelmaščuk (50 persone, responsabili Greščuk e Ševčenko); speaker Andrej “Vysota”, Autodifesa majdan (20 persone, responsabili Greščuk e Ševčenko); Kostyančuk (50 persone, responsabile Petrov), speaker “Bišut”; “Centuria Nera”, Ruslan (30 persone, responsabile Petrov), speaker “Ruslan”. Chi sono le persone presentate nel documento come “responsabili”, dice Prozorov? Danil Dotsenko: attualmente Maggiore-Generale, Capo del Dipartimento per la Difesa nazionale. All’epoca del majdan, era stato trasferito a Kiev, incaricato dei contatti con Pravyj Sektor e Dmitro Jaroš. Stepan Greščuk, nel 2014 addetto dell’Ufficio centrale del SBU; nel 2015, “per meriti nella lotta contro il separatismo”, nominato a capo dell’Amministrazione SBU per la regione di Kiev. Da questi documenti emerge chiaramente come le “forze patriottiche” siano pienamente controllate dal SBU e lo fossero già nel 2014 e sapessero cosa si stesse preparando”.

Ora, come suol dirsi: lo sapevamo, ma non disponevamo delle prove. Si sapeva come, durante la strage, il capo dell’Amministrazione regionale di Odessa, Vladimir Nemirovskij, fosse in continuo contatto con l’oligarca Igor Kolomojskij, (all’epoca, governatore della regione di Dnepropetrovsk) finanziatore ufficiale di Pravyj Sektor e come quest’ultimo assicurasse all’allora presidente ad interim golpista, Aleksandr Turčinov, che avrebbe pacificato la recalcitrante Odessa.

Cinque anni da quella strage nazista: nessun colpevole, nessun mandante, secondo la magistratura golpista di Kiev. Anche il nuovo presidente ucraino, Vladimir Zelenskij, che di Kolomojskij è la pedina e che ha promesso di consegnare alla giustizia i responsabili delle sconfitte di Ilovajsk e Debaltsevo, non ha detto una parola su autori e mandanti della moderna “Katyn” nazista, quella di Odessa.

E anche in Occidente nessuno ha mai scritto je suis Odessa. Nessun “democratico”, di quelli che declamano la “democrazia assoluta”, senza distinzioni di classe e di epoche, che strepitano contro “i fascio-razzisti amici di Mosca”, che a suo tempo hanno chiesto con quale “spirito” il Presidente del Consiglio “intende soggiornare alla corte di Putin” e lo hanno esortato a “non rinunciare a fare sentire la nostra voce in difesa dei diritti umani ... a riprova del nostro tradizionale impegno nella protezione e promozione dei diritti fondamentali nel mondo”, nessuno di loro ha mai tremato stringendo la mano ai golpisti ucraini, mandanti ed esecutori diretti della strage di Odessa.

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