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04/10/2021

Elezioni federali tedesche 2021, un’analisi dall’interno

Come Contropiano abbiamo offerto un commento alle elezioni parlamentari tedesche, prima “a caldo”, quando i risultati non erano ancora definitivi, e poi una ricognizione più ragionata, potendo accedere ai dati definitivi e alle stime sulla distribuzione geografica del voto, le sue fasce anagrafiche, ed i travasi degli elettori. La Germania si afferma come un sistema multipartitico con una cordone sanitario nei confronti dell’estrema destra dell’AFD – ormai con un consolidato consenso specie ad Est – ed una marginalizzazione della “sinistra radicale” della Die Linke, in drastico calo.

In realtà, la parte più a destra dei Conservatori, soprattutto ad Est, non è sorda alle sirene di una alleanza con l’AFD e non è detto che tale ipotesi non si affacci in futuro come extrema ratio, considerato che nella variegata famiglia europea dei Popolari l’alleanza con l’estrema destra è già abbondantemente praticata e sdoganata.

In più, come ricorda Kahrs parlando dei leader della CDU. «Quello che non avevano previsto però, era il fatto che per formare una maggioranza contrapposta ad un governo di centrosinistra guidato da SPD, con Verdi e Die Linke, avrebbero avuto bisogno del sostegno del AfD. Un sommesso messaggio venuto fuori già la sera delle elezioni era proprio che, se fosse stato necessario affondare i ‘rossi’, la CDU si sarebbe alleato anche con l’AfD».

Ma questa ipotesi non si è verificata, più a causa della deludente performance di Die Linke che per una volontà contraria da parte della dirigenza della CDU, non certo per una sorta di credo “anti-populista”, come blaterano gli opinion maker di casa nostra.

Questo voto è stato caratterizzato da una forte affluenza alle urne e dal voto per corrispondenza, l’estrema incertezza dei votanti rispetto alle scelte da fare e la grande volatilità del voto, che ha prodotto paradossalmente un risultato per cui i partiti, ed i loro gruppi parlamentari, ridiventano il centro gravitazionale della decisione sulla futura coalizione governativa, qualunque essa sia, e che può trarre ispirazione dalle differenti combinazioni attuate a livello di Stati Federali.

Il successo, molto relativo, della SPD è interpretabile anche come un parziale recupero di voti dei tradizionali votanti socialdemocratici in là con l’età, che avevano sostenuto la Merkel, grazie anche all’abile rivendicazione dell’eredità della cancelleria da parte di Olaf Scholz e nel sapere catalizzare il “voto utile” da parte anche di ex elettori della Die Linke, strizzando l’occhio a misure più progressiste che verrebbero azzerate (o quasi) in caso di governo con i Liberi Democratici.

È chiaro che la parte del leone la faranno i Verdi e proprio i liberal-liberisti della FDL.

Una parte degli elettori che avevano in cima alle proprie preoccupazioni il cambiamento climatico – la preoccupazione della maggioranza dei votanti – ha preferito dare il voto alla traduzione “centrista” dell’istanza, nonostante la rassicurante affidabilità che l’attuale dirigenza dei Die Grünen ha garantito all’establishment.

E questo la dice lunga sull’aspirazione alla “stabilità” della propria popolazione, nonostante gli evidenti disastri ambientali che hanno colpito il territorio tedesco.

L’FDP, il partito del rigore di bilancio e della rigidità fiscale, di cui gli elettori condividono molte preoccupazioni simili a quello conservatore, sarà probabilmente l’ago della bilancia e detterà la linea su alcuni aspetti della politica economica in senso fortemente ordo-liberista.

La coalizione che andrà al governo dovrà affrontare una serie di questioni, in parte ricordate nell’articolo che abbiamo tradotto, insieme ad altre, in un quadro in evoluzione.

Il rapporto economico con la Russia, che alimenta ed alimenterà il fabbisogno energetico tedesco anche grazie al completamento del Nord Stream 2, e la dipendenza delle esportazioni verso la Cina, costantemente in crescita a livello percentuale (circa l’8% di quelle complessive nel 2020), sono due dati strutturali che cozzano frontalmente con il clima da “Nuova Guerra Fredda” che gli USA vorrebbero imporre ai propri alleati atlantici contro quelle due potenze.

La concorrenza nel settore digitale, ed in generale dell’innovazione, vede la Germania indietro rispetto agli investimenti attuati da altri Paesi. Sebbene sia la quarta economia del mondo, il Global Innovation Index Ranking la dà solo al decimo posto in questo settore strategico; una posizione che dovrà essere colmata pena la perdita del suo status economico.

Questa esigenza stride con l’imposizione della rigidità fiscale, se si vuole mantenere una spesa sociale che bilanci la polarizzazione, universalmente percepita, e che legittimi l’azione delle élite politiche di fronte ai propri elettori.

Un altro aspetto critico è quello della concorrenza nel mercato mondiale dell’auto elettrica, e le sue ricadute occupazionali.

Il livello di capitalizzazione delle tre maggiori produttrici di auto tedesche (Volkswagen, Mercedes-Daimler e BMW) è inferiore ai 200 miliardi di dollari, un quarto dei 766 miliardi di Tesla.

Il settore auto impiega direttamente in Germania più di 800mila addetti, e circa ¼ di questi posti lavoro potrebbero andare persi in seguito alla ristrutturazione produttiva imposta dall’elettrico (tutta la motoristica scomparirebbe).

Per il Sistema-Paese si tratta di trovare una difficile quadratura del cerchio: come essere competitivi, senza perdere la pace sociale o gravare i conti dello stato con più di 200 mila disoccupati in più?

Vi sono poi alcuni nodi che la politica tedesca non ha affrontato nel campo delle scelte strategiche, ma che saranno nell’agenda del governo a venire: politica energetica, il futuro dell’Unione Monetaria e della Difesa Europea, la riforma delle pensioni, ecc.

Un quadro complesso, quindi, che moltiplica le criticità dell’azione di governo tedesca all’interno, così come la governance del processo di integrazione europeo, fin qui nelle sue mani.

Buona lettura

*****

L’elezione del ventesimo Parlamento della Germania, il Bundestag, ha segnato la fine della cancelleria di Angela Merkel, durata ben 16 anni.

Insieme alla sua amministrazione, è arrivato a compimento anche lo sconvolgimento del sistema dei partiti: infatti, i Social Democratici della SPD, i Cristiani Democratici e il loro partito gemello, l’Unione dei Social Cristiani, rispettivamente CDU e CSU – ultimi “partiti vecchio stile del popolo” rimasti – non riescono più a superare la soglia del 30 percento e aspirare ad un ruolo dominante nel governo. Il sistema dei partiti si è ampliato.

Come ci si poteva aspettare, dopo le recenti elezioni, il partito antidemocratico Alternative für Deutschland (AfD) ha consolidato la sua posizione. Finora erano presenti diversi partiti democratici, impegnati contro una forza politica che ignora ripetutamente le leggi costituzionali per innestare conflitti politici di interesse. Quanto resisterà questa barricata contro gli antidemocratici dipende da CDU e CSU.

In terzo luogo, la cancelleria Merkel delinea la fine di una decade di riluttante “ritorno dello Stato”. Nei vari scenari di crisi, dal 2008 in poi, lo stato tedesco si è posto come un’autorità salvatrice e protettiva dalle catastrofi (generate dalla mano dell’uomo) naturali e del commercio.

Dall’inizio della crisi da COVID-19 è diventato chiaro a tutti che le istituzioni pubbliche, come anche gli stati, hanno bisogno di modernizzarsi. Il nuovo governo dovrà decidere che piega far prendere alla trasformazione del “capitalismo verde”: se con piena fiducia nelle “illimitate” capacità del mercato, oppure guidata dagli investimenti e dalle regole imposte da uno stato democratico moderno? I risultati delle elezioni indicano che non c’è una strada prediletta dalla popolazione.

È probabile che il prossimo governo federale venga guidato da tre partiti o quattro (escludendo CDU e CSU nel primo caso, includendoli nel secondo). Il candidato per la cancelleria del CDU, Armin Laschet, ha suggerito già la notte delle elezioni che nuovi modelli di governo, come il “modello austriaco” (coalizione tra conservatori e Verdi), potrebbero avere il loro peso.

Dopo l’era Merkel gli equilibri di potere in Germania saranno ribaltati. La trasformazione in un sistema multipartitico sembra essersi completata, con tre partiti che vincono il 15-25 percento e diversi altri che guadagnano il 5-10 percento (senza escludere la possibilità che emergano nuovi partiti e spariscano i vecchi). Incertezza e mutevolezza continuano a crescere tra i votanti tedeschi.

Partecipazione elettorale e circostanze straordinarie

Complessivamente, l’affluenza è stata lievemente più alta rispetto al 2017. Il numero indefinito di voti ha ovviamente incoraggiato la partecipazione. Sembra che l’SPD abbia eccelso nella mobilitazione dei non votanti. C’erano lunghe file fuori dai seggi elettorali, nonostante il record storico delle votazioni per posta.

Le circostanze in cui i votanti hanno deciso la composizione del Bundestag sono per molti aspetti rilevanti rispetto a quelle delle precedenti elezioni. Particolarmente importanti sono le conseguenze della pandemia e le restrizioni legate a questa, che hanno stravolto la routine quotidiana e promosso l’isolamento sociale.

Dopo la terza ondata, il desiderio di stabilità e sicurezza ha avvolto la società tedesca. In molti stanno facendo fatica a tornare alla normalità, ed hanno percepito la stessa campagna come un evento “distante ed astratto”, come l’ha definita Stephan Grünewald del Rheingold Institute.

Queste elezioni sono state caratterizzate da diversi fattori:

- il cancelliere uscente non è andato alla caccia di una rielezione. Dunque, era chiaro che almeno in termini di gestione ci sarebbe stato un nuovo inizio. L’elezione è girata intorno al quesito di quanto sarebbe stato ingente questo “nuovo inizio”.

- Per la prima volta non erano due, ma bensì tre le persone a compere per la cancelleria. Solamente Annalena Baerbock dei Verdi veniva dall’opposizione, mentre gli altri due candidati, Olaf Scholz ed Armin Laschet, rappresentavano la coalizione che ha governato la Germania duranti gli ultimi otto anni.

- Durante l’ultima settimana di elezioni, nessun partito prevaleva totalmente sugli altri. Per la prima volta dal 2005 è stato impossibile prevedere chi avrebbe vinto. Questo è un chiaro indizio del cambiamento nell’organizzazione dei partiti.

- Per la prima volta nella storia del dopoguerra, una coalizione con tre partiti è l’esito più probabile delle elezioni. Sono state testate quattro forme di coalizioni tripartitiche all’interno di stati federali, e tutte sembrano possibili.

- Data la molteplicità di opzioni, è cambiato il carattere delle elezioni: l’elezione serviva a decidere la composizione del Bundestag, non il governo. Saranno i partiti ed i gruppi parlamentari a decidere chi governerà il paese. Ciò rinforza un aspetto della democrazia parlamentare che il presidente federale si è sentito costretto ad enfatizzare a seguito della scorsa elezione: i partiti sono obbligati a formare un governo dopo le elezioni.

Riorganizzazione del Centro

I Cristian Democratici e la loro controparte bavarese hanno ottenuto il peggior risultato della loro storia. Il CDU è sceso sotto il 20 percento (con il 18.9 percento), mentre il CSU ha superato a malapena la soglia per entrare in parlamento (con il 5,2 percento), totalmente sconfitte dal SPD per la prima volta dal 2002. I due partiti CDU/CSU non solo hanno proposto candidati non in grado di far avanzare il partito, ma hanno anche perso credibilità di fronte all’elettorato negli ultimi mesi e anni.

Nonostante ciò, la loro elezione è stata inaspettata rispetto ai pochi voti ricevuti – probabilmente grazie alla mobilitazione dei loro sostenitori più fedeli, terrorizzati all’idea di una “svolta a sinistra”. Avendo previsto questa dinamica, i leader politici di questi partiti hanno rivendicato la vittoria la sera stessa delle elezioni.

Quello che non avevano previsto però, era il fatto che per formare una maggioranza contrapposta ad un governo di centro sinistra guidato da SPD, con Verdi e Die Linke, avrebbero avuto bisogno del sostegno del AfD. Un sommesso messaggio venuto fuori già la sera delle elezioni era proprio che, se fosse stato necessario affondare i “rossi”, il CDU si sarebbe alleato anche con l’AfD.

Se riuscissero a trovare un accordo di governo con Verdi e FDP, CDU e CSU potrebbero ancora mantenere la cancelleria. Inoltre, è necessario che il cancelliere torni ad essere cristiano democratico, per alimentare il conflitto interno del partito ripetutamente messo in scena fino alle ultime elezioni del Bundestag, tenuto sotto controllo quanto bastava per evitare l’imminente disgregazione del partito. Dall’altra parte però, lo scontro rispetto alla linea strategica per il futuro era inevitabile.

L’SPD è il vero vincitore di queste elezioni. Olaf Scholz può aspirare alla carica da cancelliere e formare un governo di maggioranza. È impressionante – rispetto alle scorse tre elezioni – l’implementazione della strategia del SPD. Negli stati dell’est della Germania, l’SPD è chiaramente favorito rispetto al CDU. Ha riscosso il maggiore successo a Brandeburgo con il 29,5 percento. È il secondo partito, dietro all’AfD nella Turingia, con il 23,4 percento, ed in Sassonia con il 19,3 percento.

Il partito Socialdemocratico ha adottato fin da subito una strategia offensiva che ha mantenuto nonostante tutte le previsioni negative. Quando un anno fa Olaf Scholz ha annunciato la sua candidatura a cancelliere, i sondaggi riportavano l’SPD come nettamente sfavorito rispetto a CDU/CSU e Verdi. In molti si sono chiesti: come mai il partito aveva bisogno di un candidato alla cancelleria, se non per il proprio ego? Con chi potrebbe Scholz formare un governo?

L’SPD però, è stato l’unico partito a capire già in fase iniziale cosa avrebbero significato le dimissioni di Angela Merkel. Come ho scritto a settembre dello scorso anno, “se l’SPD vuole espandersi ed entrare effettivamente nella cancelleria, deve conquistare più elettori che preferiscano votare per Scholz piuttosto che per la CDU“.

Il fatto che altre crisi – il disastro delle inondazioni, gli incendi boschivi e il ritiro dell’Afghanistan – siano state virulente in prossimità delle elezioni potrebbe aver ulteriormente rafforzato lo slancio del “quasi-incombente”.

Politicamente, Olaf Scholz ha fatto affidamento sulla riconquista dei sostenitori socialdemocratici della Merkel con tre temi, tutti concreti e che potevano servire da schermo per tutti i tipi di proiezioni: “rispetto” e “dignità” per le persone che lavorano sodo, un aumento significativo del salario minimo insieme a moderati aumenti delle tasse per le persone che “guadagnano tanto quanto me o più”, e una politica industriale rispettosa del clima.

Cosa può ottenere un cancelliere SPD ed in quale costellazione politica e cosa Olaf Scholz rappresenta “veramente”, sono questioni aperte al dibattito. Ciò che è indiscutibile, tuttavia, è che è riuscito a dare alla SPD ciò di cui il suo partito aveva più urgente bisogno dopo una lunga fase di declino: la prospettiva di poter vincere e prendere di nuovo decisioni strategiche. Resta da vedere quanto questo durerà oltre il giorno delle elezioni.

I Verdi possono celebrare uno storico successo elettorale – il loro miglior risultato in un’elezione federale di sempre – anche se sono stati ben al di sotto delle aspettative, alimentate dai buoni numeri dei sondaggi fino all’inizio dell’estate.

Con ogni probabilità, faranno parte del prossimo governo federale e potrebbero avere a che fare con Christian Linder come ministro delle finanze, che non solo è impegnato a mantenere lo “zero nero” (un bilancio federale in pareggio) senza aumentare le tasse, ma ha anche una comprensione fondamentalmente diversa del ruolo dello stato nella vita pubblica.

Per molto tempo, i Verdi sono stati in cima ai sondaggi. Allo stesso tempo, l’esperienza ha insegnato che più si avvicinava il giorno delle elezioni, più gli elettori si sono chiesti se sono davvero d’accordo con i cambiamenti che i Verdi hanno proposto e come hanno pianificato di attuarli.

I Verdi, con la loro immagine di partito ambientalista e climatico, sono stati in più occasioni politicamente graditi, ma quando è arrivato il momento di impegnarsi nelle loro politiche, gli indici di approvazione sono diminuiti. Se i sondaggi devono essere creduti, non sono gli elettori più giovani ma quelli più anziani che tendono a optare per la trasformazione più rilassata verso il capitalismo verde con la CDU o l’SPD.

I sondaggi indicano che una netta maggioranza della popolazione è aperta al cambiamento quando si tratta di politica climatica, senza dubbio a vari livelli. Ma ciò che travolge e disturba molti è la sensazione che, come consumatori e cittadini, solo loro dovrebbero essere responsabili di evitare la catastrofe climatica.

Al di là delle linee di partito, si è parlato di responsabilità personale in molte aree della società per decenni. La paura di essere spinti in una spirale così sovraccarica dalle politiche dei Verdi, porta molte persone il cui umore politico è più o meno rispettoso del clima e verde, a votare altrove.

Consolidamento a destra, Catastrofe a sinistra

Die Linke ha ottenuto un risultato disastroso. Lontano dal suo obiettivo di un risultato a due cifre e dalla partecipazione al governo, con il 4,9% non è riuscito a raggiungere la soglia per entrare in parlamento e ha perso oltre 2 milioni di voti, quasi la metà del suo voto del 2017. Secondo le stime preliminari di Infratest dimap, ancora una volta, circa la metà dei voti persi è andata ai suoi due partner di coalizione, l’SPD e i Verdi.

Tuttavia, poiché il partito è stato in grado di difendere tre mandati diretti a Lipsia (Sören Pellmann) e Berlino (Gesine Lötzsch e Gregor Gysi), dopo tutto entrerà nel Bundestag con un gruppo e i diritti parlamentari presumibilmente limitati, grazie alla “clausola del mandato di base”. Il caso peggiore in assoluto è stato quindi evitato per un pelo.

Nei cinque stati della Germania orientale, Die Linke ha ottenuto risultati a due cifre solo in Turingia (11,4%) e Meclemburgo-Pomerania occidentale (11,1%). Nel Brandeburgo, con l’8,5 per cento, è addirittura dietro i Verdi (9,0 per cento). La media per tutti e cinque gli stati era solo del 9,8%.

Sono prevedibili dure lotte interne al partito sulla direzione futura. In superficie, le debolezze tattiche possono essere lette come ragioni per il risultato elettorale. In realtà, queste debolezze tattiche elettorali sono solo la conseguenza di problemi più profondi e persistenti debolezze strategiche.

Come la CDU, anche Die Linke non è stata in grado di cambiare la sua leadership in tempo per le elezioni a causa della pandemia. Così, la nuova direzione del partito non ha avuto il tempo di stabilire i propri accenti positivi e quindi distinguersi.

Dal crollo del governo di minoranza di Hannelore Kraft nella Renania Settentrionale-Vestfalia e dal successivo fallimento di Die Linke nel vincere la rielezione al parlamento statale nel 2012, il partito si è trovato di fronte al compito di sviluppare una strategia degna di questo nome.

Le strategie sono rivolte a orizzonti temporali a medio termine. Includono promesse elettorali programmatiche su principi politici generali e normativi, risposte a domande su quale ruolo dovrebbe svolgere la massimizzazione del voto e/o il potere contrattuale politico e quali promesse elettorali possono essere soddisfatte dato l’equilibrio di forze tra i diversi partiti.

Tali considerazioni probabilmente non mancano in Die Linke, al contrario. Ciò che manca, tuttavia, è un centro strategico che possa radunare gli attivisti del partito dietro una strategia che consenta loro di convincere gli elettori a sostenere il programma del partito. Questo è il compito che la leadership del partito dovrà svolgere nei prossimi due anni: riconoscere e lavorare attraverso gli “errori degli ultimi anni” e “riqualificare il partito”, come ha dichiarato domenica sera la co-presidente del partito Susanne Hennig-Wellsow.

I Liberi Democratici (FDP) entrano nel nuovo Bundestag con un solido risultato a due cifre. Ancora una volta, devono la propria vittoria a una campagna incentrata sul leader del partito Christian Lindner. È sorprendente che gli elettori attribuiscano al partito una notevole competenza nella “digitalizzazione”, in particolare i giovani elettori (maschi).

Allo stesso tempo, una piccola “ala” social-liberale è emersa negli ultimi anni come antitesi a una comprensione dello stato e della libertà che Christian Lindner promuove: lo stato come un mostro burocratico che deve essere ridotto e domato.

L’FDP è riuscito a presentarsi come una voce della società civile moderata critica delle misure introdotte contro la pandemia. Nel far ciò, ha oltrepassato la sottile linea rossa tra i diritti civili liberal democratici e il risentimento libertario contro lo stato che considera tutte le attività dello stato come una minaccia nei confronti delle libertà del libero mercato.

Tuttavia, l’FDP di Lindner ha approfittato principalmente della debolezza della CDU/CSU e della forza della SPD: la CDU/CSU non sembrava più forte abbastanza da poter nominare un cancelliere in un’alleanza a due partiti (con i Verdi), mentre l’SPD si è rafforzata talmente tanto nei voti da poter nominare un cancelliere in un’alleanza a tre partiti.

In entrambi i casi, L’FDP giocherà un ruolo centrale: assieme ai Verdi, potrebbe far nominare Armin Laschet cancelliere e prevenire un “governo di sinistra” con a capo Olaf Scholz. Era da un po’ di tempo che al partito del libero mercato non veniva data così tanta importanza dopo un’elezione. Lindner ha spinto su ciò chiedendo per sé il posto da ministro delle finanze. Nel 2021, è meglio governare male che non farlo proprio.

Con pochi voti persi, l’AfD entra nel Bundestag per la seconda volta. Non sarà probabilmente più il più grande partito d’opposizione, a meno che SPD e CDU/CSU non formino un governo di coalizione di nuovo. In Turingia, dove il partito è guidato dall’estremista di destra Bjorn Hocke, è diventato il primo partito con il 24% (e 5 seggi diretti), così come in Sassonia con il 24,6% (e 10 seggi). In tre altri stati tedeschi dell’Est, i suoi risultati sono tra il 18 e il 19,6%.

I risultati dell’AfD, assieme ai risultati delle elezioni statali, che hanno permesso un ritorno nelle istituzioni parzialmente più debole, dimostrano che il partito si è finalmente cementato nel sistema elettorale ed ha una base elettorale.

Questo elettorato di base sembra essere collegato, in molte regioni del paese, alla formazioni di ambienti politici propri, che, chiudendosi al flusso delle informazioni sui social e al dibattito pubblico, ha creato dei propri canali informativi, convinzioni di gruppo e realtà.

Dopo le elezioni del Bundestag, il partito deciderà il proprio percorso futuro: la trasformazione in un partito parlamentare che cerca di diventare parte di un blocco conservatore, o continuare con un movimento spinto contro ogni forma di politica statale come mezzo per la radicalizzazione e l’ostilità nei confronti della democrazia.

Quando agli elettori è stato chiesto il giorno delle elezioni di cosa fossero “preoccupati”, gli sono stati dati una serie di questioni che si dividevano chiaramente lungo la faglia dei partiti: la preoccupazione secondo cui troppi immigrati stessero arrivando in Germania era condivisa dagli elettori dell’FDP e dell’AfD; l’idea che l’Islam abbia troppa influenza era condivisa dalla maggioranza degli elettori dell’AfD e un po’ meno da quelli dell’FDP e della CDU/CSU e anche in parte da quelli dell’SPD.

Preoccupazioni riguardo gli standard di vita erano concentrate principalmente tra gli elettori dell’AfD, così come l’idea che la Germania stesse cambiando troppo. Preoccupazioni riguardo il cambiamento climatico erano condivise dagli elettori della Linke fino a quelli della CDU ed era di poco prominente tra quelli della FDP ma non più tra quelli dell’AfD.

Nonostante il dibattito riguardo le crescenti divisioni sociali tra ricchi e poveri e le minacce al centro politico, la maggioranza degli elettori pensano che le cose siano “più giuste” che ingiuste in Germania. Più dei ⅔ degli elettori della CDU, dei Verdi e dell’FDP erano di questa opinione, assieme a una sottile maggioranza di quelli dell’SPD. Solo i sostenitori della Linke e dell’AfD vedono le cose in maniera radicalmente differente. Un futuro governo federale, dominato dalla CDU o dalla SPD, sarebbe un governo i cui sostenitori considerano l’attuale situazione sociale come “abbastanza giusta”.

La situazione però è differente quando si parla di distribuzione della ricchezza. Il 77% degli elettori, che va da un minimo del 57% tra quelli della CDU e un 96% di quelli della Linke, dice che la ricchezza economica non è distribuita equamente. Com’è possibile che solo il 45% degli elettori (tra cui il 19% di quelli della CDU) pensano che le cose siano ingiuste in Germania, ma il 77% di loro (tra il 57% di quelli della CDU) dicono che la ricchezza sia mal distribuita? Ricchezza non redistribuita non scuote la visione secondo cui l’ordine sociale sia giusto (e quindi legittimo).

Queste contraddizioni apparenti nella coscienza di tutti i giorni continuano quando viene chiesto all'elettorato se volesse vedere qualche “cambiamento di sistema” (51%), un “cambiamento fondamentale” (40%), o che “tutto rimanga essenzialmente com’è” (6%), per il futuro del Paese. Mentre il 21% in più vorrebbe vedere un “cambiamento fondamentale” rispetto al 2017, questo tema è allo stesso livello del 1998 e del 2009, ma più basso del 2005.

Attualmente, il desiderio per un cambiamento fondamentale è polarizzato fortemente lungo le linee di divisione politiche: i sostenitori della Linke, dei Verdi e dell’AfD vorrebbero che questo accadesse per più dei ⅔ ma solo una minoranza degli elettori degli altri partiti.

Comunque, le ragioni di queste decisioni elettorali non sono da ritrovarsi in queste visioni, preoccupazioni e desideri necessariamente. Secondo Infratest, il 48% degli elettori dell’SPD dicono che senza Olaf Scholz non avrebbero votato il partito. Questo corrisponde più o meno ai sondaggi di fine 2020/inizio 2021.

Aldilà di chi finirà per formare il prossimo governo in Germania, dovrà affrontare una serie di problemi che sono stati trattati come elefanti nella stanza durante la campagna elettorale:

- rifugiati e immigrazione: l’immigrazione di lavoratori (professionisti), la loro integrazione, e il loro status legale stanno prorompendo sempre di più nel dibattito politico alla luce della struttura di età della forza lavoro domestica, dell’immigrazione nel mercato del lavoro e la politica sui rifugiati mai risolta.

- La democrazia come stile di vita: i toni sempre più accesi della politica di tutti i giorni e le minacce a politici locali fino ad arrivare a insinuare omicidi mettono in pericolo la risoluzione del conflitto democratico nella società e, assieme a bolle di comunicazione identitaria, promuovo esclusione reciproca invece che compromessi. Il principio democratico e deliberativo secondo cui l’avversario potrebbe aver ragione è sempre meno condiviso, e si stanno abbandonando le basi per un dibattito democratico e il riconoscimento di una realtà comune.

- Il futuro delle pensioni e il finanziamento del welfare: la generazione dei baby boomer ha appena iniziato ad andare in pensione. In connessione con l’avanzamento della digitalizzazione nel mondo del lavoro da una parte e la politica sul clima dall’altra, i conflitti lungo l’asse temporale “per oggi/per dopodomani” arriveranno ad un apice. In altre parole, sempre più cittadini dovranno essere convinti da progetti politici nei prossimi dieci anni, dei cui frutti non gusteranno mai il sapore.

- L’Europa e l’Unione Europea come contesto per l’azione: non ci sono opinioni discordanti al fatto che problemi centrali quali i rifugiati e le migrazioni, l’energia e la politica climatica, e l’infrastruttura pubblica digitale possono essere risolti solo all’interno del contesto europeo. Ma questioni centrali nel futuro sviluppo dell’Unione Europea – una comunità di investimenti, un’unione di trasferimenti, la politica di contrattazione collettiva europea etc – sono state evitate nella campagna elettorale.

- La politica estera tedesca: il dibattito sulle lezioni da imparare dalla guerra della NATO in Afghanistan (con un mandato ONU) con la partecipazione della Germania è stato posticipato, nonostante sia ovvio che gli Stati Uniti manterranno la propria attitudine stravolta riguardo la NATO, iniziata sotto Obama e inasprita sotto Trump, così come sotto l’attuale presidente Biden. Cosa significa questo per il ruolo della Germania nel mondo e per la politica estera strategica della Germania?

Il governo futuro avrà subito il compito di tirar fuori riforme importanti per i prossimi quattro anni, il che avrà ripercussioni sugli standard di vita tra 20 o 30 anni. Perfino se queste questioni saranno affrontate coraggiosamente, non c’è nulla che possa suggerire che il bilancio politico del potere si stabilizzerà sotto condizioni intensificate di trasformazione. Infatti, è possibile che il prossimo governo sia semplicemente un governo di transizione.

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